La figura dell’archeologo continua a suscitare nell’immaginario collettivo varie e talvolta surreali suggestioni. Facendo questo lavoro da più di un decennio siamo ancora incuriositi dalle reazioni delle persone quando alla domanda: -che lavoro fai?- noi rispondiamo: “l’archeologo”. Talvolta i nostri interlocutori rimangono attoniti, con un espressione del tipo “ah, perché, è una professione?”. Più spesso ci sentiamo dire “anche io da piccolo avrei voluto fare l’archeologo!”. Nel sentire comune questa figura professionale conserva tratti di eroismo e di romanticismo ispirati, forse, dall’ampia cinematografia su questo tema: chi non ha sognato di partecipare con Harrison Ford ad una delle sue epiche imprese? chi non è rimasto colpito dalle tenebrose forze oscure e maledizioni che nei film inesorabilmente si abbattono sugli egittologi di turno? Per i più, l’archeologo è una sorta di cacciatore di tesori preziosi nascosti nei recessi della terra o nelle profondità marine. I più disincantati ci immaginano dotati di pennellino a spolverare qualche mosaico o il braccio di una statua di marmo che emerge dalla terra.
Il nostro ruolo ha molte facce. Proviamo a descriverne brevemente due: la formazione e le ricadute sociali del nostro lavoro.
La professionalità dell’archeologo si forma con anni di studio, almeno 5, in cui si conseguono ben due lauree, integrati ovviamente da innumerevoli e imprescindibili esperienze sul campo. Per il nostro Ministero dei Beni Culturali l’archeologo, per poter esercitare la professione, deve possedere un ulteriore titolo (dottorato di ricerca o diploma di specializzazione). Questo equivale ad altri 2, 3 anni di studi, almeno. Fra l’altro, l’archeologia è una disciplina al limite tra competenze umanistiche e scientifiche. La preparazione degli archeologi si confronta spesso con ambiti molto lontani tra loro ed estremamente specialistici: antropologia fisica, lettere classiche, geomorfologia, storia dell’arte. Gli archeologi sono una sorta di polizia scientifica, che studia il passato, indagando gli spazi geografici, i siti archeologici, gli oggetti antichi, elaborando in maniera integrata tutte queste informazioni, per dar vita a modelli storici e restituire al pubblico una conoscenza del passato altrimenti perduta. Tutto ciò che l’uomo ha creato o manipolato, conserva un alto tasso di informazioni che uno specialista può estrapolare e questo specialista è l’archeologo. In questo è forse possibile leggere qualcosa di eroico e di romantico, nel restituire alle cose inanimate, alle tracce, la memoria taciuta di eventi passati. Per quanto l’Italia sia uno dei luoghi al mondo più ricchi di storia sepolta, gli archeologi che resistono alla dura preparazione e finiscono gli studi, spesso non trovano sbocchi lavorativi per la loro professionalità. Questo è il motivo per cui si abbandona sempre di più questo paese o, più frequentemente, questo lavoro. Non è questa la sede per la polemica in merito alla scarsa importanza riconosciuta in Italia alla conoscenza del proprio passato, settore per altro ricco di potenziali e possibili risvolti anche economici.
Nella cronica scarsità di fondi per la ricerca il volontariato può diventare una risorsa fruttuosa. Alla professionalità degli archeologi nella pianificazione-realizzazione di progetti nell’ambito della ricerca archeologica vanno, pertanto, affiancate competenze ed entusiasmo di diversa provenienza, energia e forza che possono virtuosamente sostenere la causa storico-archeologica.
Da questo punto di vista il progetto di ricerca archeologica nel sito di S. Giovanni, nella rada di Portoferraio, rappresenta un esempio virtuoso. Vari gradi di volontariato hanno reso possibile alla équipe coordinata dalla Università di Siena ma composta da molte altre realtà di ricerca, lo svolgimento di un lavoro di ricerca di alta qualità. Il sito archeologico si trova nella proprietà Gasparri ed è stato indagato in una breve campagna di sole tre settimane nel 2012, in cui è stato constatato l’ampio potenziale archeologico del sito: si tratta infatti della pars rustica della già nota villa romana delle Grotte, situata a breve distanza. Quest’anno grazie alla reiterata disponibilità della famiglia Gasparri che ha offerto gratuitamente l’alloggio e grazie a finanziamenti di privati con cui è stato possibile sopperire alle spese di vitto e di materiali necessari, il nostro gruppo, coadiuvato da volontari del luogo, ha potuto indagare un’ampia area del sito e raccogliere nuove informazioni. Il volontariato si è estrinsecato in varie forme: nella sensibilità e generosità della famiglia Gasparri, nel sostegno dato dalle associazioni e dalle imprese del luogo, nell’aiuto dei volontari venuti ad aiutare praticamente gli archeologi nei momenti più faticosi dell’indagine archeologica .
Questa ricerca nasce e cresce all’intersezione fra tre aree usualmente separate fra loro: la ricerca al servizio della comunicazione, la passione delle associazioni per il territorio in cui vivono, il desiderio delle imprese di mostrare il loro radicamento nelle società i cui operano. Siamo molto grati alla comunità elbana per l’interesse e il sostegno dimostrato in questi due anni, fa ben sperare per il futuro per una ripresa della ricerca da cui ripartire per migliorare il nostro territorio. Lo scavo di San Giovanni è stato raccontato nell’Aula Magna dell’Istituto Cerboni e visitato da diverse centinaia di studenti delle scuole elementari e medie di Portoferraio, di Porto Azzurro, di Capoliveri. All’Elba c’è una società sana, con una grande fame di sapere: sapere da dove veniamo, che cosa siamo stati e che cosa siamo diventati. Un desiderio manifestato da un numero crescente di associazioni. Gli Elbani hanno voglia di ascoltare delle storie vere. Storie che possono essere fatte di storia, di geologia, di ambiente, di archeologia, di attualità. Certo non fantarcheologia e neanche archeosofia.
Un altro settore nel quale pensiamo, in tutta onestà, di poter dare un contributo concreto, è quello della comunicazione museale e della valorizzazione dei luoghi, dai più vari punti di vista: ambientale, geologico, storico, archeologico, paesaggistico.
A cura della Associazione Aithale (Scuola Normale Superiore di Pisa, Università di Firenze e di Siena, Consiglio Nazionale delle Ricerche di Pisa, Soprintendenza per i Beni Archeologici della Toscana, Musei di Portoferraio e di Rio nell'Elba). Le ricerche archeologiche sono sostenute da: Comune di Portoferraio, Famiglia Gasparri, Assoshipping Elba, Italia Nostra, Accademia della Cucina, Antonio Arrighi vitivinicoltore, Paolo Mercadini, i ristoranti 2001 di San Giovanni, Delfino Verde, La Risacca, Locanda Cecconi, Cutty Sark, La Caravella, di Porto Azzurro.
I giovani del Gruppo Aithale