“E beviti meno ponci – e guarda come ti conci – il sabato la domenica – e anche il lunedì”. A nostro parere l’antico e tradizionale sfottò labronico, cantato sull’aria di una allegra marcetta, potrebbe fungere da commento ai risultati del voto livornese,e soprattutto a commento dei commenti espressi da un partito che, dopo 70 (settanta) anni di governo della sinistra, è riuscito a perdere contro un candidato che aveva raccolto al primo turno il 19%, mandando a guidare il comune un sorpreso cittadino, tanto spaventato, che davanti all’enorme attenzione dei media nazionali per la sua impresa, sembrava uno che non sapeva se c’era o ci faceva, se c’era venuto o ce l’avevano mandato.
Partiamo da alcuni punti fermi:
a) le sentenze dell’elettorato si rispettano sempre,
b) Nogarin – come il parmigiano Pizzarotti - è evidentemente una persona che gode di stima ben oltre l’area dei grillini,
c) a commentare le vittorie sono buoni tutti, è quando si perde che – pena l’apparire ridicoli – occorre usare acume critico per capire le lezioni che ci vengono imposte.
Uno degli argomenti auto-consolatori più usati dagli sconfitti nelle ultime ore è stato: “abbiamo più perso noi che vinto loro”, che parrebbe prodromo di un “… se solo avessimo etc …” che, oltre a violare il sacro principio logico fissato dall’antico adagio “se fossimo e se avessimo era il patrimonio dei coglioni”, appare perfino un po’ spocchioso, in un momento nel quale, a chi ha guidato la schiera dei perdenti, è soprattutto umiltà intellettuale che si chiederebbe,
Ora dopo averne sentite di ogni sorta, imitando un nostro antico compagno, ci consentirete di dire cari lettori: “Fatemi di’ du’ stronzate anche a me”
1) Non sappiamo giudicare quanto male abbiano governato i due sindaci che negli ultimi venti anni ha espresso Livorno, ma siamo certi che c’era (e non da poco) tra i livornesi la diffusa percezione di essere stati governati male, o quanto meno di essere stati pilotati da una “sala comandi” in orbita geostazionaria nei cieli sovrastanti;
2) L’attuale PD livornese quanto a capacità di rappresentare le istanze dei più umili dei cittadini, quanto a capacità di domare con la dialettica e la mediazione (politica si dovrebbe chiamare) le spinte più radicali, e trasformarle in positivo stimolo, quanto a capacità di essere punto di aggregazione delle “energie culturali” della città, ci appare più che una stinta copia, una grottesca caricatura di quello che fu il PCI che poteva alternare un sindaco operaio ad un sindaco raffinato intellettuale, nel diffuso consenso.
Questo lo stato dell’arte, ed a nostro fallibile giudizio, il problema del PD Livornese non è quello di essere troppo bersaniano o troppo poco renziano.
Vero è che la virata (renzianamente vincente) ha condotto il PD nazionale, non tanto ad essere una nuova DC, ma ad occuparne le praterie interclassiste ed interculturali (rendendo peraltro improrogabile il formarsi di una sinistra vera ed alternativa), ma il problema del Partito Democratico dei Quattro Mori è quello di essere avulso dal contesto cittadino.
Il dilemma del PD livornese ha due corna:
Il corno drammatico del far tabula rasa per tornare all’antico, al partito di Berlinguer, non per applicare ricette politiche scadute, ma per recuperarne serietà, rigore, senso del servizio, trasparenza e tensione ideale.
Il corno comico del lasciare tutto com’è, mettendoci al massimo qualche pecetta, finché lo strumento di democrazia-partito diverrà quello che nella matematica degli insiemi si definisce “insieme vuoto” – uno Zero.
In questo caso la colonna sonora potrebbe rappresentarla la fine etilicamente gioiosa della marcetta iniziale: “Briaco fisso – anche stasera – domani sera – briaco ancor!"