Anni fa quando si parlava della destinazione delle aree circostanti il nostro ospedale e dei faticosi accordi con i privati che le detenevano, un'amica straniera mi fece arrivare una foto (che purtroppo non mi ritrovo più) di un cartello posto nelle vicinanze di una struttura ospedaliera o forse una scuola, di una località scandinava, e poiché lo svedese non è lingua accessibilissima, la signora cortesemente me ne aveva tradotto il testo: esso recitava se non sbaglio: "Area espropriata per fini di pubblica utilità dalla comunità della città di Malmo nell'anno 1903" E la nostra corrispondente chiosava: "voi italiani non siete normali"
Malmo in effetti si dovrebbe scrivere con sopra la "o" l'umlaut o dieresi (due puntini, colto assessore, la dieresi non attiene, come lei pensa, all'apparato urinario) ma ci siamo capiti lo stesso.
Oggi piuttosto arrabbiato per la richiusura della Villa Romana delle Grotte, dopo averne per anni denunciato la vergogna della sua sottrazione alla pubblica fruibilità, mi sono imbattuto in un atto esplicativo del Ministero dei Beni Culturali - Direzione Generale per le Antichità titolato: "Espropriazione di beni culturali" e che recitava nell'attacco:
"Lo Stato può entrare in possesso di un immobile a scopo di pubblica utilità e a fini di tutela, fruizione pubblica e ricerca, corrispondendo un'indennità al proprietario" e che dopo aver citato la normativa di riferimento proseguiva: "... in campo archeologico l'espropriazione si realizza in genere per ricerche archeologiche complesse, sulla scorta di progetti orientati alla creazione di parchi e aree archeologiche da salvaguardare e offrire alla pubblica fruizione, e si rivolge ad immobili già dichiarati di interesse archeologico (decreto di vincolo) ed aventi un assetto urbanistico compatibile..."
ed ancora
"La proposta di espropriazione è elaborata dalla Soprintendenza competente; la Direzione Generale per le Antichità la esamina dal punto di vista tecnico-scientifico e la accoglie, compatibilmente con le dotazioni di bilancio."
Seguiva la descrizione delle procedure attraverso le quali quanto sopra si poteva concretizzare. Quindi gli strumenti ci sarebbero anche.
Orbene, cari lettori, vi pongo e mi pongo una domanda - partendo dal fatto che stiamo ragionando probabilmente della più importante emergenza archeologica (dopo l'ipogeo marcianese ovviamente) dell'Isola - è giusto, è logico, è accettabile che un tale complesso resti nella disponibilità di soggetti privati (ancorché fusi in una fondazione)?
Mi immagino che ci sia qualcuno che a questo punto storca il naso e dica: "Ecco il solito bolscevico!", ma io non pretendo che con 111 anni di ritardo (e per un bene credo un po' più importante) ci si comporti da svedesi.
Mi accontenterei di molto meno, mi accontenterei che entrasse davvero in campo il Comune, prima del Ministero, e sarei disposto a transare, magari a proporre alla proprietà un vantaggioso scambio, tenuto conto che tutto manca a Mortoferraio fuorché immobili demaniali.
Potremmo proporre uno cambio alla pari tra la Villa delle Grotte e La Gattaia (visto che quel troiaio ormai c'è) e se non bastasse, ai proprietari, potremmo, mettendocela in sovrappiù, offrire La Topa (i malpensanti si tranquillizzino, mi riferivo al cosi ufficialmente chiamato Palazzo comunale di Via Victor Hugo).
Tornando, ma solo per un attimo, ad un tono più serio, mi permetto di sottoporre una riflessione agli amministratori ferajesi.
Credo di conoscere abbastanza bene i miei concittadini, e li so mediamente indolenti, ma li so anche capaci di sonore incazzature, pure collettive, quando si toccano determinate corde. Ricordando un paio di indiscutibili fesserie (che gridano peraltro ancora vendetta) ascrivibili all'ultima amministrazione targata centrodestra: la chiusura del canile e lo scempio del Puntale, segnalo che anche la vicenda delle Grotte sta generando un diffuso malcontento se non indignazione. Agite in modo che i cancelli delle Grotte riaprano il più presto possibile. Nell'interesse della vostra immagine di governo della città, e soprattutto nell'interesse della comunità.
(nella foto: La Topa)