Ore 14 di un giorno qualunque. Sono in macchina e, come sempre a quest'ora, sto rientrando a casa. Stesso viale, stesso semaforo, stesso incrocio e, purtroppo, stessa strada. Anche se, a chiamarla strada, non si può che esagerare. È vero che a certe cose ci si abitua, ci si fa il "callo", ma arriva il momento in cui il nostro cervello, anche inconsciamente, dice basta.
Accosto e mi fermo, subito dopo il bivio del Bucine. Devo prendere la strada che va a Lacona, se voglio andare a casa: so che è messa male, da anni. Ed è peggiorata piano piano, per un sacco di motivi, ma ormai il mio istinto mi guida e percorro questa via praticamente con un pilota automatico dentro la scatola cranica: schivo buche, evito frontali con autoarticolati (con i quali avrei la peggio), mi allargo un po' qui per non prendere in pieno un ramo di un albero, strettisco un po' di là per non finire in una voragine etc etc...
Il cervello, che organo meraviglioso, mi fa fare delle fantastiche evoluzioni con la precisione di un chirurgo mentre ascolto la radio oppure parlo al telefono (rigorosamente con l'auricolare, s'intende), piuttosto di preservare il mezzo e chi ci sta dentro.
Ma oggi il mio pilota, quello nella scatola cranica, vuole che rifletta su che lavoro enorme deve fare per percorrere qualche centinaio di metri di strada, ma non una strada qualunque, quella di Colle Reciso. Deciso nell'impresa, faccio un bel respiro, metto la prima, e parto.
Ho già fatto 15 metri e mi accorgo che devo tenere la macchina quasi al centro della carreggiata se non voglio che le ruote di destra finiscano in un rattoppo lungo circa 50 metri fatto a regola d'arte: peccato sia arte barocca, forse futurista, non sono un grande esperto, ma il senso del movimento quell'asfalto ce l'ha di sicuro. Per fortuna sono in un rettilineo e posso permettermi di starmene un po' a sinistra.
Non ho ancora finito di pensare al Futurismo che devo fare attenzione alla prima curva. Non riesco a vedere chi viene da sinistra, ma so che dalla parte opposta ho un grosso pino e degli oleandri che ormai stanno letteralmente gettando i loro rami verso la strada: morale della favola, anche qui ci siamo giocati un metro e mezzo di corsia.
Mi avvicino cautamente tenendo la destra il più possibile, ma appena la curva si scopre arriva una macchina. Goccia di sudore sulla tempia, battiti in aumento, muscoli tesi: la macchina viene giù e non rallenta. Mi accosto ancora, stringo anche i gomiti (come se servisse a qualcosa), accelero un pochino per uscire dal collo di bottiglia prima che arrivi l'altra macchina e... ce l'ho fatta!
Esulto.
Dallo specchietto una piccola nuvola di polvere mi fa notare che le ruote sono passate sulla sabbiolina che si è depositata proprio sotto l'oleandro, ergo, ho strusciato la fiancata sui rami. Impreco.
Proseguo e, con il secondo rettilineo, comincia la danza per schivare i dossetti e le buche di quel fondo stradale unico ed inimitabile. Lì un po' a destra, qui un pochino a sinistra, ora tengo la buca grossa tra le ruote... Sto andando bene, ma il mio Arbre Magique ondeggia come un matto e mi fa segno che sta per vomitare. Non so se il vomito di Abete abbia un buon profumo, tipo di resina, ma decido di non sperimentare e prendo un'andatura più uniforme ma indubbiamente più sobbalzante. Ho fatto un altro centinaio di metri (in linea d'aria, ma se considero le manovre i metri sono già 120) e arrivo alla curva a gomito che mi piace chiamare in confidenza "La Grande Roulette Russa" perché 5 volte su 6 non succede nulla.
Qui qualche mese fa potevo prendere una decisione: potevo allargarmi e stare tranquillo, anche se nella corsia opposta passava un Tir. Ma ora non posso più: un simpatico movimento di terra (uno "smottamentino") ha deciso di impossessarsi di un pezzo di curva. Peggio per me, che devo stringere la Grande Roulette. Ma non sono il solo che si dispera per la frana: un giovane e solitario Pino domestico si è ritrovato con le radici all'aria proprio sull'argine sopra la curva. Quando lo guardo mi dà l'idea che voglia suicidarsi gettandosi fra le macchine. Quello che mi preoccupa è il fatto che probabilmente lo farà in un giorno con tanta pioggia e tanto vento: speriamo non succeda mai.
Proseguo e comincia un'altra opera d'arte: "La Monorotaia". La Monorotaia è un rattoppo di un lungo scasso fatto probabilmente per le tubazioni dell'acqua che con il tempo è sprofondato lasciando un lunghissimo fossetto sull'asfalto. L'ho chiamato così perché se ci finisci col motorino non puoi venirne più fuori, come in una rotaia: devi rimbalzarci dentro finché non è finito (o il fossetto, o il motorino). In macchina posso anche decidere di metterci le ruote di destra, ma se la strada è libera il mio pilota automatico valuta quanto costino i pneumatici e le sospensioni e mi ci tiene lontano. Risultato: sono ancora a due metri dal bordo destro della carreggiata.
Questo punto diventa comico quando sopraggiungono delle macchine nel senso opposto e devo gettarmi nella monorotaia per forza. Sembra di cavalcare un toro: gli oggetti sul cruscotto cascano in terra, i parasole cascano giù, persino lo speaker alla radio si mette a balbettare... e il mio solito Arbre Magique (che già è di cattivo umore perché il suo amico Pino si vuole suicidare) sgrana gli occhi come per dire: -Ecchecca***!
Non sono ancora a casa, ma già qui mi rendo conto della grande abilità del mio pilota automatico e penso se non sia il caso di ringraziarlo. Lui se ne accorge e gongola. Forse è così bravo perché ha alle spalle tanto allenamento: questa strada se non ti stronca, ti fortifica. Quasi quasi mi dispiacerebbe se fosse larga e liscia; probabilmente sarebbe anche noiosa. Allora penso ad alta voce:
- Questa strada è perfetta così.
Do un'occhiata allo specchietto e incrocio lo sguardo dell'Arbre Magique: fa un ghigno e mi sputa in un occhio.
Ora so che lo sputo di abete non ha un buon odore.
Francesco De Pietro
Lei ha del talento, coltivi questa sua vena ironico-satirica, forse non riuscirà a diventare un Jerome K. Jerome, un Frank Mc Court, e neppure un David Lodge o uno Stefano Benni (che certamente l'assessore conosce), ma qui siamo tra i Barudda (misterioso popolo primitivo spesso citato dal Pugginco Serni) pure amministranti, siamo a Macondoferraio, dove le opposizioni in aula consiliare in luogo della claque, secondo chi governa, si portano la clack (e lasciano a casa il click?); per prenderli adeguatamente per il culo basta e avanza anche un vecchio cialtrone come me, si figuri!
Seriamente (si fa per dire) se lei impara a contenersi in lunghezza e se Michelino Melis si sgrezza un po', almeno un paio di eredi forse li ho trovati, accomodatevi in redazione che io me ne vado a pesca' a cannella. No? Mai una gioia eh!
Devo in ultimo una spiegazione della inusuale zuzzerellante impaginazione di un divertente racconto/corsivo in copertina. Il fatto è che mi sono messo nei panni di quei poveracci che si leggono tutto il giornale e che domattina si troveranno almeno una dozzina di articoli di politica, freschi di giornata (sai che godìo!) per viatico domenicale, ed ho deciso che era meglio, prima di zampicargli in maniera così prolungata sulle palle, di indurli almeno ad un sorriso iniziale - grazie della collaborazione.
sergiorossi