Quando l'orologio suonò i 12 rintocchi sapevo che quel momento stava per arrivare.
Ed infatti di fronte a me si posizionò l'altro, il mio sfidante, in attesa di cominciare il duello. Da una parte io: calmo, strategico, riflessivo. Dall'altra lui: giovane, scaltro, sfuggente, veloce. Nel suo sguardo si potevano leggere chiaramente una determinazione ed un distacco emotivo, verso ciò che stavamo per affrontare, quasi soprannaturali. D'altra parte questo era il suo punto di forza: la quasi totale assenza di una legge morale, di un sano rimorso, di un briciolo di senso di colpa, mi confondeva; ma era soprattutto la consapevolezza da parte mia che la controparte era disposta a tutto pur di non cedere, che mi preoccupava, e mi indeboliva.
Dalla mia avevo l'esperienza, acquisita con gli anni, che mi avrebbe aiutato nell'impresa: sapevo che sarebbe servita, soprattutto di fronte a qualcuno che invece non ne aveva, ma ancora di più sapevo che avrei dovuto farci affidamento per colmare le lacune della mia forma fisica non più da ventenne.
Cadde il silenzio, e l'atmosfera si fece più tesa, i nostri sguardi si incontrarono e, senza che nessuno dicesse una parola, iniziò l'incontro.
Afferrai subito il mio ferro e cercai di affondarlo nel bersaglio: andò a segno, immediatamente, senza che lui potesse reagire. Mi guardò impassibile, e potevo sentire di avere la situazione completamente nelle mie mani. Mi sbagliavo. Lo aveva fatto di proposito: voleva testare di che pasta fosse fatto il mio fendente, e me ne accorsi nel mio secondo attacco che schivò con un movimento quasi felino.
Riprovai entrando dalla parte opposta con un'imboccata pulita, ma evitò anche quella, quasi se lo aspettasse. Cominciai a pungolarlo, a fare qualche finta, tutto inutile. Mi ritrassi un attimo per studiare meglio la situazione e cercai di cogliere in lui un punto debole, un'apertura da sfruttare, ma niente. Lo scontro riprese senza nessuna risoluzione: entrata mia... schivata, riaffondo... respinto, attacco... parato. Cominciammo così una sorta di danza, fatta di movimenti ritmici, continui, stereotipati. Questo copione (quasi fosse già scritto) andò avanti ancora e ancora, lasciando me quasi senza forze, ma lui fresco come prima di cominciare, sempre con quel suo spirito imperturbabile in bella mostra. Sembrò che niente, di tutto quello che stava succedendo, potesse scalfirlo in qualsiasi modo. Raccolsi tutta quanta la mia pazienza ed andai avanti, sperando che crollasse, ma non sapevo che di lì a poco avrei commesso l'errore che mi costò la sconfitta.
Forse in cerca di ispirazione, forse perché avevo voglia di sfogarmi ed imprecare, feci l'infelice mossa di guardare in alto per un decimo di secondo. Decisamente un'azione sbagliata. Fu lui ad attaccare, fulmineo, immediato, deciso e decisivo. Il tempo di rendermi conto di cosa fosse successo e cominciai a sentire del liquido caldo che dal mio addome scendeva verso le ginocchia. Ero stato sconfitto, e non avevo più possibilità di controbattere. Ebbi solo la forza di guardarlo ancora una volta nei suoi occhi da finto innocente ed esclamai:
- BELLO DI BABBO, LA PROSSIMA VOLTA LA PAPPA TE LA FAI DA' DALLA TU' MAMMA, PERCHE IO MI SO' STUFATO!!!
Fu anche inutile piangere sulla minestra versata.