Uaterfront, giobsact, spendingreviù, misscion, smart, brand, step, locàscion, filmacher, governans, uichend, bisness, fasscion, spred, cul, coffibrech, reveniu, luk, consept, slaid, stor, megastor, defolt, e si potrebbe andare avanti per pagine con questa lingua farlocca. E’ la versione attuale del latinorum di Don Abbondio, quando il pretone terrorizzato dai bravi cerca di intortare Renzo e convincerlo a non sposarsi:
Don A. - Sapete voi quanti siano gl'impedimenti dirimenti?
Renzo - Che vuol ch'io sappia d'impedimenti?
Don A. - Error, conditio, votum, cognatio, crimen, Cultus disparitas, vis, ordo, ligamen, honestas,
Si sis affinis,...
Renzo - Si piglia gioco di me? - interruppe il giovine. - Che vuol ch'io faccia del suo latinorum?
Renzo insomma capisce al volo che gatta ci cova ma la soggezione in cui è costretto dall’uso di una lingua a lui sconosciuta lo riduce al silenzio, ad accettare alla fine il rinvio del matrimonio voluto dal prete.
E noi, che ce ne facciamo di tutto questo inglesorum? Se lo deve essere chiesto anche una signora che si occupa di comunicazione, Anna Maria Testa. Così ha lanciato su “Internazionale” una più che ragionevole petizione diretta all’Accademia della Crusca, che potete trovare e, se condivisa firmare, QUI.
Ne anticipo uno stralcio:
“Molti (spesso oscuri) termini inglesi che oggi inutilmente ricorrono nei discorsi della politica e nei messaggi dell’amministrazione pubblica, negli articoli e nei servizi giornalistici, nella comunicazione delle imprese hanno efficaci corrispondenti italiani. Perché non scegliere quelli? Perché, per esempio, dire “form” quando si può dire modulo, “jobs act” quando si può dire legge sul lavoro, “market share” quando si può dire quota di mercato?”
Al momento, in pochissimi giorni, ha raccolto 25mila firme.