Se non nutrissi curiosità nei confronti delle nuove tecnologie, visto che ho iniziato a scrivere con la penna e il calamaio e ho dettato i miei primi pezzi per telefono agli stenografi, da tempo sarei sulle panchine del viale delle Ghiaie o al massimo a pascolare nipoti ai giochi lì vicino.
Non odio affatto le novità e i cambiamenti anche se - ovviamente - faccio sempre più fatica ad assimilarli. Sulla rete e sulle sue potenzialità di essere il supporto vincente della informazione (anche locale) ho iniziato a scommettere 16 anni fa, tra i risolini di scherno e i "ma dove vai senza ombrello?" della maggior parte dell'eletta schiera dei "colleghi informatori" .
Ciò premesso confesso di guardare anche con un po' di preoccupazione alla "rivoluzione comunicativa" apparentemente inarrestabile che è in atto e che come tutte le rivoluzioni determina per l'insorgere di "effetti collaterali" che possono pure devastare.
Un esempio: fino a qualche anno fa un amministratore che intendeva parlare alla sua comunità era forzato ad una tempistica precisa ed all'uso di strumenti che obbligavano a ponderare il contenuto del messaggio, la sua forma, la sua sintesi, la sua intellegibilità.
Inoltre esisteva, nei soggetti sociali organizzati negli enti una sorta di selezione e di gerarchia comunicativa, funzionale alla rappresentazione di "pensare collettivi" con buona efficacia, certezza (e ci aggiungo buona educazione).
Oggi non è più così: autorità vere o presunte si mescolano a perfetti chiccazzé in una sarabanda di esternazioni che invadono il web pontificando, bocciando e promovendo, offendendo quasi sempre impunemente, raccontando bugie o quanto meno fantasiose interpretazioni, a formare una indistinguibile melassa di realtà e falsità, di ragionamenti sensati e cazzate, di biliosi attacchi e giuste proteste, un viscoso mare di marmellata eternamente in tempesta nel quale è impossibile orientarsi.
Ma c'è un effetto ancor più perverso