Se non nutrissi curiosità nei confronti delle nuove tecnologie, visto che ho iniziato a scrivere con la penna e il calamaio e ho dettato i miei primi pezzi per telefono agli stenografi dell'Unità, da tempo sarei sulle panchine del viale delle Ghiaie o al massimo a pascolare nipoti ai giochi lì vicino.
Non odio affatto le novità e i cambiamenti anche se - ovviamente - faccio sempre più fatica ad assimilarli. Sulla rete e sulle sue potenzialità di essere il supporto vincente della informazione (anche locale) ho iniziato a scommettere 16 anni fa, tra i risolini di scherno e i "ma dove vai senza ombrello?" della maggior parte dell'eletta schiera dei "colleghi informatori" .
Ciò premesso confesso di guardare anche con un po' di preoccupazione alla "rivoluzione comunicativa" apparentemente inarrestabile che è in atto, e che, come tutte le rivoluzioni, determina anche l'insorgere di "effetti collaterali" che possono pure devastare.
Un esempio: fino a qualche anno fa un amministratore che intendeva parlare alla sua comunità era forzato ad una tempistica precisa, ed all'uso di strumenti che obbligavano a ponderare il contenuto del messaggio, la sua forma, la sua sintesi, la sua intellegibilità.
Inoltre esisteva, nei soggetti sociali organizzati, negli enti, una sorta di selezione e di gerarchia comunicativa, funzionale alla rappresentazione discretamente efficace e significativa dei "pensare collettivi".
Oggi non è più così: autorità vere o presunte si mescolano a perfetti chiccazzé in una sarabanda di esternazioni che invadono il web pontificando, bocciando e promovendo, offendendo quasi sempre impunemente, diffamando e magnificando acriticamente, sbertucciando, raccontando bugie o quanto meno fantasiose interpretazioni, a formare una indistinguibile matassa di realtà e falsità, di ragionamenti sensati e cazzate, di biliosi attacchi e giuste proteste; un viscoso mare di marmellata eternamente in tempesta nel quale è impossibile orientarsi.
Credo in sintesi che fino ad oggi la rete non abbia consentito un reale aumento della partecipazione dei cittadini, ma piuttosto abbia determinato la diffusione della illusione del partecipare alle scelte della comunità.
Quando ci si interroga sui perché del mostruoso aumento della astensione dal voto, fenomeno che - ha ragione Lorenzo Marchetti - è il vero dato politico emerso dall'ultima tornata elettorale (all'Elba anche più severamente che altrove), proviamo ad inserirne, tra gli altri, uno nuovo: "Non vado a votare, perché quello che penso e che avevo da dire l'ho scritto su Facebook (o su un'altro social network o su un blog)"
Per dire che se vanno certamente riformati (e resi puliti, trasparenti, democratici) i soggetti che la Costituzione chiama partiti, non si può pensare (o se qualcuno preferisce non si può ancora pensare) che la loro funzione democratica sia surrogata dal web, che a sua volta necessita di gestione, ordine, regole e legalità e che comunque, per quanto il suo uso sia massivamente diffuso, resta non praticato da una larghissima fetta di popolazione, che ha gli stessi diritti di quella "connessa" .
Un (modesto) sogno ce l'ho: quello che la rete in luogo che incentivare il rinchiudersi nelle proprie dimore, spinga davvero le persone a tornare ad incontrarsi a parlarsi, in ambiti pure fisici umani, per fare (anche) buona politica.