Carissimo direttore,
non posso, per una forma di cortesia, non darle anch'io del lei, conducendomi secondo il suo stile. Anche per la stima che provo per la sua persona, appassionato cultore delle mie vicende terrene: i suoi studi nei riguardi della mia modesta persona sono, per quanto valga il mio giudizio, cosa eccellente, soprattutto perché mi ha fatto anche raccontare, cosa per me importante, dai miei amatissimi compaesani elbani, che mi conobbero da vivo.
Ordunque, il punto per cui le scrivo è un altro. Capisco che è cosa irrituale per un morto scrivere a un vivo, poiché lei, come altri, potrebbe pensare che dietro lo scritto si celi la penna di un cialtronesco falsificatore. Correrò il rischio.
Ma mi consenta di farle notare che è altrettanto irrituale rivolgersi a un morto, denotando una profonda sfiducia nei vivi. Mi pare che sul giornale che lei dirige, già due volte mi abbia rivolto missive pubbliche di scusa (addirittura tre, se consideriamo anche quella di un tale prematuramente scomparso).
Non che la cosa mi abbia in dispiacere. Non per la mia umile persona, mi creda. Ma per il valore di coltivare la memoria. Oltretutto nella nostra terra che ha in spregio i suoi straordinari ricordi con incredibile facilità.
Solo a mo' di parentesi le faccio notare che il febbraio di questo anno di grazia 2015 era anche il centenario della prima del capolavoro “Addio giovinezza!” del mio carissimo amico Giuseppe Pietri, giovine ingegno a cui io credetti fin da subito. Se ne sono forse accorti gli elbani? In un'isola che propone eventi musicali di tutti i generi, in tutte le guise e in ogni plaga (persino le miniere) nessuno, ma proprio nessuno, si è sognato di celebrare la ricorrenza? Eppure stiamo parlando del più grande spirito musicale che l'isola nostra abbia regalato al mondo! Passi che si sia ignorato l'opera prima del Maestro (il cui libretto io scrissi per incoraggiare l'eletto ingegno alla scena): in fondo, lo ammetto io per primo, fu opera modesta. Ma l'”Addio giovinezza!”... suvvia!
Mi permetta però di dissentire sui destinatari del suo disappunto. Non creda che rimanga a disagio se le amministrazioni elbane bellamente ignorano un concittadino morto più di cent'anni fa. Non tanto per il mio anarchico disprezzo verso qualunque forma di potere, però. Quanto più per una considerazione che le sottopongo. Mi risponda sinceramente: lei non proverebbe più disagio se su un palco ricordasse la mia persona un qualunque attuale assessore o sindaco pedante, la bocca grondante di banalità, se non sfondoni, sul mio conto? Se non le correrebbe un brivido lungo la schiena a sentir loro dire “l'insegnamento di Gori ci è di esempio”, oppure “un uomo che ha lasciato un vuoto enorme”, o altre simili espressioni, a cui loro stessi credono meno che nell'esistenza dei marziani? Non la farebbe sghignazzare il ricordo riservatomi da un qualsivoglia sindaco, cinque minuti dopo aver sparato la sua quotidiana supercazzola, su qualche social network? Stessimo parlando del mio contemporaneo e carissimo amico Leone Damiani, rimarchevole sindaco della nostra città, nonché uomo di profonda cultura, tanto mi basterebbe. Ma ci pensa se il mio ricordo fosse affidato al suo contemporaneo assessore alla cultura...?
No, mi creda egregio direttore, se ne infischi delle amministrazioni elbane. Faccia una cosa che è in suo potere e vale molto di più. Sia lei a dare spazio sul suo giornale elettronico alla memoria e ai ricordi. Coltivi la cultura, ne faccia più adepti possibili, soprattutto giovani. Lo apra quanto più possibile ai contributi veramente interessanti e appassionati, e meno al tromboneggiamento di personaggi improponibili.
Parli ai presenti per ricordar loro che ci sono stati i passati. Solo così i secondi, come me, ne avranno più godimento.
Sinceramente suo
Pietro Gori