Zecchini scrive: Berti mi rimprovera aspramente e… si allinea con l'autore della castroneria grammaticale affermando in sostanza che anfore fenicie si può scrivere anche senza la i.
Zecchini in questo e in altri casi non è riuscito a capire il senso del mio scritto. Eppure anche quelli che dissentono da me, mi riconoscono almeno il merito della chiarezza.
Non ho mai scritto la baggianata che Zecchini mi attribuisce. Non mi sono mai allineato con chi ha scritto fenicie senza la “i”. Avevo ricordato la regola di Migliorini, che Zecchini evidentemente ignora. Secondo quella regola, il plurale femminile è “fenicie”, con la “i”.
E perciò non è proprio il caso che Zecchini mi lanci la sua ridicola sfida a singolar tenzone:
“Berti dimostri il contrario… la sollecitazione è troppo allettante…
si dà il caso che il prof. Ambrosini abbia esaminato lo strafalcione grammaticale delle “anfore fenice” e lo abbia commentato (ci sono i testimoni) in modo eloquente. Con una sola parola: asini! Rifletta prof. Berti, rifletta.”
Si noti bene il dettaglio dei testimoni, perché poi sarà prezioso.
Zecchini mi suggerisce di riflettere: e io ho riflettuto attentamente. E ho scoperto un fatto sorprendente: i testimoni non esistono, non possono esistere (poi dirò perché).
Questo è un bluff.
I testimoni se li è inventati Zecchini, che anche in questa occasione ha dimostrato di possedere una fantasia fervida, che non si ferma di fronte a nulla.
Come già avevano rivelato i graffiti dell’etrusco Pino Fabbri.
SOLLECITAZIONE ALLETTANTE
Zecchini confessa che la “sollecitazione è troppo allettante”. Gli vengono i brividi all’idea che io possa commettere un errore di grammatica, come quelli che si leggono nel suo libro e che non voglio riepilogare per non infierire come Maramaldo.
Sto meditando di inserire di proposito qualche errore nel prossimo articolo, per dargli un po’ di respiro. Mi fa pena: è evidente che non sa a che santo votarsi.
Chiedo scusa: absit iniuria verbis: quelli col grembiulino non hanno santi a cui votarsi.
Un fatto risulta evidente: Zecchini era fuori di sé, a tal punto che mi ha accusato di ignorare la grammatica.
Poiché io sono un insegnante con una abilitazione in lettere, l’accusa è lesiva della mia onorabilità professionale. È come dire a un fabbro che non sa fare le saldature.
Perciò potrei ricopiare - senza cambiare una virgola - questa frase scultorea di cui è autore Zecchini: l’accusa che mi è stata rivolta è “falsa e gravemente offensiva scritta con la deliberata consapevolezza di screditarmi moralmente e professionalmente. giudicherà chi di dovere se, come sembra, esistono profili di rilevanza penale... intanto si vergogni!”
Ma io mi tengo lontano dalle minacce tonitruanti di balorde querele.
So che, se imitassi l’illustre Professore, io sarei sbeffeggiato con una sonora e prolungata emissione di “prrrrrrrrr”, che il vocabolario Treccani denomina “pernacchia”: voce napoletana scurrile e volgare, che esprime disprezzo per la superbia e l’arroganza altrui e derisione nei confronti di situazioni o comportamenti retorici e simili: il vocabolario Treccani cita anche un esempio tratto da Pasolini: “fece una pernacchia, lunga che non finiva mai”.
L’INCREDIBILE SENTENZA DEL PROF. AMBROSINI
Lo “Zecchini furioso” era così furioso, che ha frainteso completamente il mio scritto.
Io non difendo affatto la mancanza della “i”: mi sono occupato di altro: ho commentato il tono teatrale con cui lui ha raccontato la sua memorabile visita al museo della Linguella.
Zecchini aveva scritto nel libro che
- “al Museo della Linguella l’imprevisto ti fulmina appena entri”;
- a causa di quella “i” è rimasto inebetito;
- ha rinunciato a proseguire la visita del museo e è dovuto uscire;
- prima di uscire è andato a informarsi sul colpevole di quell’errore;
- ha protestato col sindaco chiedendo anche a lui il nome del colpevole.
Gli interessava molto, anzi moltissimo, avere un nome da svergognare.
Svergognare davanti a chi?
Ora Zecchini aggiunge un altro particolare che induce a strane riflessioni: egli rivela che la notizia di quella storica “i” è pervenuta addirittura all’orecchio del prof. Ambrosini.
Chi l’ha portata? L’uccellino?
Ho l’impressione che al prof. Ambrosini, prestigioso cattedratico dell’Università di Pisa, non dovesse importare molto se in un piccolo museo civico di un piccolo comune in una piccola isola c’è oppure non c’è un tizio, rimasto sconosciuto, che ha omesso una “i”.
Non ero presente a quella conversazione fra Ambrosini, Zecchini e vari testimoni: quindi non posso sapere se sul nome del (o magari della) “colpevole” siano state formulate anche precise congetture.
Ma mi stupisce che il prof. Ambrosini abbia avuto voglia di aprire bocca per definire “asino” o “asina” uno sconosciuto o una sconosciuta. Forse aleggiarono dei nomi?
Ho fatto qualche supposizione su quell’incontro, ma non ne ho le prove: perciò non vado oltre. Ne ho parlato con qualche amico e siamo arrivati alle medesime conclusioni.
Come diceva Andreotti, a pensar male si fa peccato, ma spesso ci si indovina.
FRA’ CIPOLLA
Comunque nel racconto c’è qualcosa che proprio non torna. Attenzione alle date.
Zecchini in data 14 ottobre 2008 scrive: “Il mio ultimo giorno delle vacanze elbane 2008 l’ho dedicato alla visita” di alcune mostre e musei di Portoferraio.
Fra i musei visitati ci fu appunto il museo della Linguella con le famose anfore fenicie. Dunque la scoperta dell’assenza della “i” (con conseguente inebetimento e fuga dal museo) è avvenuta presumibilmente tra la fine di agosto e la fine di settembre 2008.
Poi Zecchini è ritornato a Lucca e ha incontrato il prof. Ambrosini, al quale - alla presenza di testimoni - ha raccontato l’episodio dello strafalcione, ricevendone una risposta tacitiana: “asini!”.
Ma forse disse “asine!”. Al femminile.
Quando avvenne l’incontro col prof. Ambrosini? Qualche giorno o qualche settimana dopo il ritorno dall’Elba. Dunque nell’ottobre o nel novembre 2008.
I miei dubbi nascono perché il prof. Ambrosini in quel periodo non era in grado di fare incontri e parlare alla presenza di “testimoni”.
Perché?
Esisteva un impedimento per il quale non c’è rimedio: il prof. Ambrosini era già morto da circa dieci mesi, nella notte fra il 13 e il 14 gennaio 2008.
E ora Zecchini come la mette?
Racconta il Boccaccio che, quando Fra’ Cipolla davanti ai suoi fedeli aprì il reliquiario e trovò i carboni al posto della piuma dell’angelo Gabriele, ebbe la prontezza di spirito di gridare al miracolo: spiegò che quelle reliquie erano i carboni del martirio di San Lorenzo.
IL DEFUNTO PARLANTE
Sarei curioso di sapere quale scientifica toppa è capace di inventare lo Zecchini per la piccola incongruenza del defunto parlante alla presenza di “testimoni”.
Forse una seduta medianica? Lui organizza sedute medianiche?
Questa è un’esperienza che non ho fatto mai: ma occorre il grembiulino?
Però il prof. Zecchini ha annunciato pubblicamente che non mi risponderà più, perché io parlo troppo.
Lo capisco: avrebbe preferito un interlocutore muto.
E anche cieco, che non indagasse sulla sua attività di ventriloquo postumo del prof. Ambrosini, a cui già ha attribuito una improbabile correità nello scippo di una lectio delle Argonautiche.
Prima che mi venga minacciata la terza querela (sì, siamo già a due querele: e il terrore comincia a impadronirsi di me come in un thriller di Dario Argento), mi preme precisare che l’espressione “correità nello scippo” non deve essere interpretata alla lettera nel tetro significato del codice penale, ma come allegro sinonimo di un compito in classe copiato sbirciando il foglio del vicino di banco.
Ora scende in campo (frase storica, di berlusconiana memoria) il sindaco Ciumei.