Lo spettacolo era davvero notevole le ondate urtavano contro i massi posti a difesa del porto di Piombino e ritmicamente una cortina d'acqua bianca schiumosa, di più di dieci metri di altezza, si alzava in verticale oltre la diga per ricadere in parte all'interno del porto spinta dal ponente.
Osservavo quella rappresentazione di forza della natura affascinato, rapito, appoggiato al lucido legno che guarniva il bordo destro del "Portoferraio", così poco alto dall'acqua, senza rendermi conto che la nave avanzava al riparo della diga, e che appena l'avesse lasciata quelle poderose ondate si sarebbero infrante sulla fiancata del natante, proprio dalla mia parte.
Fu così che mi trovai improvvisamente messo col culo per terra, anzi sul ponte, bagnato come se in mare mi ci avessero immerso tenendomi per le orecchie.
Fu allora che sentii una voce un po' rude, dall'inconfondibile intonazione riese, che mi esortava: "Vientene guì a ridosso fava groscia" (traduco per i foresti: "o scapestrato giovine tutto inzuppato, appropinquati e poniti al riparo").
Di lì in poi, la prebellica corvetta militare canadese, riciclata come nave passeggeri, che collegava l'Elba a Piombino, ma anche a Livorno, cominciò a scuotersi su ogni asse, tanto beccheggiava e tanto rollava (assessore non allerti polizia e cani, d'altro rollio trattasi) che pareva di stare in sella ad un cavallo imbizzarrito e dissetato a Camparini.
Avevo l'impressione di sentire gemere le lamiere della nave in torsione come se qualcuno avesse individuato le palle del natante e gliele stesse strizzando.
Infreddolito e facendo sforzi bestiali per rimanere in piedi mi rifugiai in quella calanchiola definita "sala passeggeri di seconda classe", allietata dalla colonna sonora dei conati, una stanza zeppa di persone pessimamente odorante, nella quale bisognava avere anche occhio e prontezza per schivare i numerosi "lanci di spaghetti", e spirito caritatevole per consolare quelli messi ancora peggio, che non vomitavano, no, ma che rimanevano terrei e atterriti, seduti come statue di pietra colpite da tetraparesi , e si facevano catatonici e con l'occhio sbarrato ogni volta che la nave andava giù di prua ficcandosi dentro l'onda, convinti come erano, ogni volta, che non si sarebbe risollevata.
Meglio il freddo, meglio respirare lo spolverino (acqua di mare nebulizzata) fuori ad ascoltare le spiritosaggini di chi prendeva quel continuo sballottamento come un gioco, e di quelli intimamente (nell'imo cor, avrebbe detto il poeta) colti da volgare strizza di culo panicosa, che parlavano per darsi coraggio.
Le battute erano quasi tutte sull'inusuale rotta, invece di sfilare dopo Cavo sottocosta l'Isola come al solito, il Portoferraio teneva la prua sulla fonte del vento, verso il ponente e si allargava: "Ragazzi, stasera tutti a cena a Bastia!" "No, si va a fa' lampade sugli scogli di punta della Giraglia!" . Si avanzava lentamente e con dolore, in un mare molto imbiancato, apparentemente allontanandoci dalla meta, del patrio elbano suol.
Chi ci capiva un po' di più, spiegava però che quella era la rotta più giusta e sicura, per non prendere di traverso il vento e il mare, avanti cosi finché il comandante non avesse impartito l'ordine di virare, quasi invertendo la direzione, dopo allora raggiungere le acque più protette della rada e l'attracco, sarebbe stato uno scherzo. La piccola nave si sarebbe avvicinata allo scalo portoferraiese con il vento e il mare in poppa, quasi surfando sulle onde, sempre beccheggiando ma per pochi minuti.
Già, ma c'era la virata da compiere, il momento critico della traversata, dove i comandanti dimostravano la loro capacità, scegliendo dove e quando prendere sulla prendere sulla fiancata di destra quelle tre o quattro ondate peggiori, che sbandavano la nave di parecchi gradi.
Una manovra da ordinare oltre lo Scoglietto e talvolta anche molto più in là, fino al traverso dell'Enfola o di Procchio, alla quale comunque da terra assistevano gruppetti di curiosi (specie alle Ghiaie), tanto spettacolare per chi stava al sicuro ("bada lì come sbanda!"), quanto sofferta per chi era ancora a bordo del "traghetto" effigiato nella foto.
Ma anche quella volta arrivammo in porto (proprio in Darsena, davanti alla Porta a Mare ormeggiava il Portoferraio nei primi anni 60) accolti dall'augurale esclamazione di Ricciotti Peranzoni , che, constatando il pallore di molte facce di reduci della traversata, urlava: "Batte barea oggi tutti cataberi!" (più o meno "con questo maraccio oggi so' arrivati tutti morti").
Ho narrato una traversata movimentata, ma avrei in canna pure altri racconti in tema: un viaggio tra muri di acqua a bordo del minuscolo Maria Maddalena (nome d'arte Calimero) nelle salde mani del Comandante Sirabella, che durò appena 3 ore più dell'ora e dieci canonica (c'era a bordo una avvinazzata gita parrocchiale alpina assai canterina per i tre minuti, poi "tutti zitti come li topi") , per non parlare dei molti altri compiuti sulla mitica Aethalia, che Alfredo Foresi pilotò ogni sera verso lo scalo elbano senza saltare una corsa per un numero spropositato di anni.
Ma ho scelto quella traversata perché le condizioni in cui fu effettuata erano straordinariamente simili a quelle che si sono verificate nei giorni in cui traghetti e traghettandi, incazzati come iene col mal di denti, sono rimasti sulle banchine (soprattutto piombinesi)
Come è possibile che i "vettori" di allora, infinitamente più piccoli, meno potenti, del tutto privi delle dotazioni tecnologiche di quelli dei nostri giorni partissero ed arrivassero praticamente con qualsiasi condizione meteo senza che (visto che si tira in ballo, non sempre a proposito, la sicurezza dei passeggeri) si ricordi, almeno per le navi della vecchia Navigazione Toscana un incidente serio che sia uno, nell'arco di oltre un trentennio?
Nei giorni scorsi gli amici del comitato 2.6 hanno avanzato la richiesta di un "traghetto ognitempo" di cui chi gestisce il (anzi spadroneggia sul) traffico nel canale dovrebbe dotarsi.
Temiamo che non ci siano più corvette canadesi anteguerra naviganti (come il Portoferraio e la gemella Porto Azzurro) che avevano dimostrato coi fatti di essere "ognitempo", peccato!
Ma forse quello che clamorosamente manca non è un "traghetto ognitempo" bensì una "compagnia ognitempo"; se poi questa risultasse anche "ognimpegno" - rigorosamente rispettando gli orari - e "ognitasca", consentendo di pagare (per tutto l'anno a elbani e non) biglietti meno costosi del proverbiale "orzo di Pianosa", meglio ancora!