A nome della società "Ilva", è uscito un comunicato stampa, privo di firme, dedicato a me.
Senza dubbio la pubblicazione anonima è opera del solito Zecchini, perché nel testo vengono ricuciti insieme molti concetti e espressioni già presenti nei suoi scritti precedenti.
Secondo Zecchini, io ─ senza un motivo ─ ho iniziato una polemica violenta, cattiva, diffamatoria. Scrive: «Non siamo stati noi a iniziare la polemica».
E questa è una sorprendente falsità. Una falsità per omissione.
Su questa falsità Zecchini fonda tutto il suo ragionamento.
Ho pubblicato il mio primo scritto su Elbareport il 26 luglio 2015. Ma il vero inizio della polemica risale a un anno prima.
Nella notte del 29 luglio 2014, durante una festa nella piazza di Marciana Marina per la presentazione del libro di Zecchini, il sindaco Ciumei salì sul palco per recitare ai suoi fans esultanti il famoso dialogo "magistrale" sulle sei palle del granduca Cosimo, nel quale Zecchini prende pesantemente in giro le Amministrazioni di Portoferraio guidate dai sindaci Giovanni Fratini e Roberto Peria.
A Giovanni Fratini il testo di Zecchini addebita il deturpamento di Portoferraio: con l'apertura del fornice di Porta a Terra, la città avrebbe subìto un "danno per sempre" che deve servire da “monito”.
L'accusa a Roberto Peria è di voler trasformare Portoferraio in un watercloset: con la sua innata delicatezza, Zecchini ha scelto proprio questa parola.
Lo scritto si trova alla pagina 209 del suo libro.
Ecco il commento di uno dei protagonisti della serata, apparso in un blog:
«A dimostrazione che il volume è connotato sì da scienza, ma talvolta anche da giocosa ironia, è stato recitato, e particolarmente apprezzato dal pubblico, un frizzante articolo del libro dedicato a Cosimo dei Medici. Un inedito duetto fra il sottoscritto (nelle vesti di Cosimo) e da Andrea Ciumei (voce narrante) ha sottolineato alcuni problemi dell’evoluzione urbanistica di Cosmopoli»
(si noti l'elegantissima frase: "fra il sottoscritto e da Andrea Ciumei").
Però il comunicato di Zecchini ignora questa recita frizzante e giocosa, particolarmente apprezzata dal pubblico.
Zecchini non vuole ammettere di aver organizzato nel 2014 una gogna pubblica per i sindaci Fratini e Peria: infatti la recita frizzante era una vera gogna, che fu "particolarmente apprezzata dal pubblico", perché Fratini e Peria ─ assenti e inconsapevoli ─ furono strapazzati e derisi dal brillante sindaco−attore che caracollava per il palco col suo gesticolare istrionesco.
Di questo episodio Zecchini e i suoi amici del direttivo di Ilva si sono completamente dimenticati.
Talora i ragionamenti di Zecchini dànno l'impressione di essere un po' logori, confusi, pasticciati. Per esempio, ricordo che una volta Zecchini mi rimproverò con severità di non aver controllato le fonti di una notizia: incredibilmente, si era dimenticato che le fonti della notizia erano proprio lui stesso e il Ciumei.
Però, nell'ultimo comunicato, Michele ─ furbo furbo ─ ha rovesciato la frittata. Altro che bollito: si è rivelato una faina.
Che spiegazione forniscono Zecchini & C. per questa omissione?
Come è ovvio, non spiegano niente. Omettono il fatto che per loro è scomodo; e basta.
Come se uno storico scrivesse che la seconda guerra mondiale cominciò quando Francia e Inghilterra dichiararono guerra a quel bravo ragazzo di Hitler, che invece se ne stava tanto "bonino". Dimenticando un piccolo dettaglio: l'invasione della Polonia.
Zecchini e i furbetti del suo giro vogliono attribuire a me la responsabilità di aver iniziato la polemica. Eppure la mia reazione di protesta del luglio 2015 concerneva proprio la condanna di Zecchini contro il sindaco Giovanni Fratini, l'assessore ai Lavori Pubblici Uberto Lupi e tutti noi amministratori, accusati di essere dei barbari per aver deturpato Portoferraio con la costruzione del fornice di Porta a terra. Ne parlai tanto a lungo che Zecchini protestò che non aveva tempo per rispondere a tutte le mie contestazioni.
E questo è il metodo a cui si è attenuto in tutta la nostra polemica: non avendo argomenti decenti per rispondere, mi accusa di scrivere troppo e conclude che perciò "non vale la pena replicare".
A proposito di quel mio primo scritto del luglio 2015, colgo l'occasione per correggere un evidente errore: avevo interpretato l'espressione di Zecchini "danno per sempre" come una parafrasi sarcastica di una celebre frase di Tucidide.
Errata corrige: non era una raffinata parafrasi di Tucidide, ma una banale coincidenza, un caso del tutto accidentale. Infatti nell'appendice del Campanini Carboni ─ la fonte di cultura classica in pillole a cui Zecchini è solito abbeverarsi ─ ci sono soltanto citazioni latine.
Gli avevo fatto credito di uno spessore culturale che assolutamente non è stato confermato nei suoi interventi successivi. Basti dire che il 3 novembre ha pensato bene di replicare con la foto di una saracinesca abbassata e il cartello "chiuso per rottura di gonadi". E questa non sembra una frase di Tucidide.
E nel libro si trovano innumerevoli casi di citazioni sbagliate, gravi errori di italiano e di storia, pignolerie, ingenuità, superficialità (il tutto condito con insolita ferocia).
Ispirandosi alla Patente di Pirandello, i dirigenti della Società Culturale "Ilva" dichiarano solennemente che non menzioneranno mai il mio nome, perché temono le mie capacità iettatorie. L'ammissione di credere nel malocchio è un dettaglio autobiografico che ne arricchisce il ritratto. Consiglierei di dotarsi di un mazzetto di zenzero.
Zecchini aggiunge un'autocertificazione preziosa: dichiara "di possedere in quantità sufficiente spirito di carità cristiana" (sic).
E ne dà subito ampia prova: si sofferma due volte sul mio stato di salute, augurandosi che io vomiti. Proprio così: esprime l'augurio che io vomiti.
Questa frase è originalissima: inedita nella letteratura mondiale.
So bene di aver commesso una colpa imperdonabile: ho mostrato quanto sono inconsistenti e fasulli molti passi del Grande Libro. Perciò la mia colpa spaventosa merita di essere punita da un dolore fisico possibilmente eterno, senza speranze di riscatto nell'apocatastasi di Origene.
Però di solito tra le persone civili si usa mascherare con un po' d'ipocrisia i sentimenti più ferini. Invece il Grande Scienziato non nasconde il suo divorante desiderio di vendetta.
Incapace di trovare argomentazioni razionali per difendere le indifendibili assurdità contenute nel libro, il Luminare proclama pubblicamente di sperare nel progredire del mio cancro. Non mi sorprenderebbe che, sotto la guida di qualche santone "vudù", avesse trapassato con lunghi spilloni una bambolina di cencio.
Per descrivere il suo stato psichico mi vengono in mente parole come tormento ossessione furore delirio.
Mai vista tanta sfrontata schiettezza. Non so se complimentarmi con lui per la sua sconcia spavalderia, o se raccomandargli l'accurata revisione di un motore che appare un po' imballato.
Però devo deluderlo: io non ho sofferenze fisiche, non vomito e non ho mai vomitato. Dopo l'asportazione chirurgica del carcinoma alla prostata, i medici dell'ospedale di Pisa hanno deciso che non ho bisogno di chemioterapia. Almeno per qualche anno, non dovrei avere altri disturbi. E poiché mi avvio verso i 76 anni, nessuno potrà dire di me: funere mersit acerbo: sicuramente non morirò giovane.
Vorrei precisare che io del mio cancro non mi sono mai "lamentato" (come scrive Zecchini). Ho deciso di parlarne in pubblico per un motivo ben preciso. Ci fu un periodo in cui Ciumei aveva adottato la tattica (presto abbandonata perché controproducente) di travisare le mie frasi, fingendo di non capire quello che io scrivevo: il suo scopo era quello di farmi passare per un vecchietto alquanto rimbambito e farneticante.
Talvolta aggiungeva strafottenti minacce di querela per vilipendio di Comune (!).
Nel descrivere i miei discorsi, Ciumei ─ che è quel letterato sopraffino e quello spirito tendente al sublime e alla mistica, che tutti conoscono ─ fece ricorso anche alla delicata metafora del Guttalax. Insomma una miscellanea di manganello e olio di ricino, secondo la più genuina tradizione "culturale" del fascio sansepolcrista.
Pensai che ─ da quel gentiluomo che è ─ non avrebbe esitato un attimo a far girare in paese la voce che il mio cervello era distrutto dalle metastasi. E, per non trovarmi a dover rincorrere con le mie smentite le sue maldicenze, decisi di giocare di anticipo, dando io per primo la notizia del mio carcinoma, ma spiegando che riguardava tutt'altro organo. Ora il comunicato semi−anonimo è la riprova che proprio non hanno nessun ritegno a gioire del cancro di un avversario. Avevo visto giusto.
Ma li capisco: hanno organizzato un bel podere, ricco di "culture" molto varie, che dànno frutti prelibati. E non si rassegnano a perderlo.
Nel comunicato è ribadito un concetto molto chiaro: non mi risponderanno mai.
Da mesi e mesi la frase che usano è sempre la stessa: «Non replichiamo alle sue falsità perché oggettivamente non ne vale la pena».
È comodo nascondersi dietro l'avverbio "oggettivamente", che non significa proprio nulla, ma che dà un tono di tronfia sicurezza.
Perché loro ─ come si dice all'Elba ─ si sentono proprio i padroni del bacolaio.
Gian Piero Berti