Giuseppe Pisani (a cui era stato affibbiato il nomignolo di “Popota”) nel secolo scorso fu l’ insegnante di educazione fisica di una sterminato numero di elbani: per un lungo periodo tutti i maschi che frequentarono le medie ed il liceo, all’epoca riuniti nello storico edificio di Salita Napoleone, furono costretti per due ore a settimana a sfilare in tenuta ginnica (vale a dire calzoni corti bianchi normalmente fatti in casa e scarpe da tennis) davanti a Popota.
Anche se era in fondo una brava persona, non nascondeva la sua nostalgia per l’Italia nella quale andava di moda il nero, di quando era stato giovane e forte (bello dubitiamo) , e quel suo pensare si rifletteva in uno stile didattico militaresco-littorio: i suoi approcci con gli studenti erano più caporaleschi che professorali, gli epiteti con i quali spesso bollava i meno dotati di vigoria o di voglia di impegnarsi, erano più da caserma che da istituto di istruzione.
Perfino gli esercizi fisici a cui eravamo sottoposti nel chiostro della scuola erano in buona parte di stampo marziale, e va da sé che la marcia in obbligata fila per uno, in mutande lungo il perimetro dell’angusto cortile, era un passaggio obbligato e scandito dai suoi stentorei “ unò-ddué!” “dietro front!” etc di ogni papotiana lezione .
Ma per marciare, anzi per stare al passo, occorre avere almeno un minimo di “orecchio” di senso del ritmo e coordinazione, e ci sono pure quelli “negati” che perdono il passo o peggio inciampano nei piedi in quello davanti o fanno inciampare chi li segue.
E poche cose indisponevano il Prof. Pisani come imbattersi in un malmarciante. Un giorno, dopo aver raggiunto l’incespicatore, cominciò a seguirlo standogli accanto e dandogli il tempo: “ unò-ddué! unò-ddué!” e continuando poi – visto che il poveretto non si emendava, con uno scandito “fava-lessa-fava-lessa-fava-lessa-fava-lessa!” (per i foresti: membro virile sottoposto ad ebollizione), che manco a dirlo provocò sguaiate risate del resto dei pargoli marcianti ed ulteriori berci del docente: “Zitti, Basta!”
Ma accadde l’imprevisto, impersonato dall’allora giovane Professor Uberto Lupi che fungeva in quei giorni anche da Preside, e che dalla finestra di una delle aule che si affacciavano sul cortile tuonò all’indirizzo di Popota (che si divertiva da sempre a prendere in giro e tormentare):
“Professore .. con il suo evocare piante leguminose ed i cachinni dei suoi alunni, state disturbando le lezioni delle altre classi!”
Sulle prime Popota accusò, accennando a scusarsi con un gesto, ma ci appariva profondamente incazzato per la pubblica reprimenda dell'irrispettoso giovane superiore, e perplesso sui "cachinni" di cui certo ignorava il significato.
Ma il vecchio Prof. ebbe poi uno scatto di orgoglio, obbedire al superiore, gerarchico com'era, era d’obbligo .. arrendersi mai, e se gli era impedita la esplicita para-vegetale volgarità, eroicamente resistendo si rifugiò sull’acronimo.
Ripresa quindi la marcia, si accostò al disgraziato inciampazampa e così iniziò a dettargli il tempo: “effe-elle-effe-elle-effe-elle-effe-elle .
Collegato a questo ricordo come il successivo grano del rosario, ci è ritornato a galla un altro episodio di cui già scrivemmo, la vicenda di quello che disse: “I Fiorentini so’ gente di ‘ultura con la U maiuscola!”
Orbene perché tutto ciò?
Nel pieno della telenovela argentina “La tasa de aterrizaje y la pelea entre Ruggero y Mario”, apprestandoci a pubblicare la centoventicinquesima nota, sulla tassa di sbarcò sì, tassa di sbarco no (baccalà bombò), una questione che dei normodotati avrebbero dovuto risolvere prima che si ponesse, da mesi, ci stiamo sempre più radicando nella convinzione di essere sgovernati da Amministratori.con la EFFEELLE maiuscola .