Non è che io scriva spesso "per fatto personale" mi istiga a farlo forse la "Pasquaccia" che ho vissuto, con molti altri, impotente davanti alle immagini di un mondo senza pietà, una Pasqua inzuppata di sangue dal sanfedismo criminale, sporcata dalle, innaturali, morti di bambini e rattristata pure da, più naturali, dipartite di vecchi "geni" (Eco, Poli), mentre longevi idioti godono di eccellente salute.
Passando dalle tragedie alle buffonate però su segnalazione di un amico web-onnivoro sono andato a pescare un "pregevole scritto", che faceva seguito ad altri di stesso argomento e tono, che con tutta evidenza mi riguardava, quello che segue:
Appena qualcuno gli tocca il 'pertugio', il nostro MegaWriter, lo scrittore più amato dagli Elbani per le sue delicate immagini linguistiche (“flusso di favate..., gli si dà la topa..., a cazzo di cane”, ecc. ecc.), perde il lume degli occhi.
E, in attesa che gli concedano il premio 'Pàllizze' per meriti letterari, non perde occasione per far emergere il suo animo teneramente fanciullesco, rinnovando con ossessione il ricordo di grembiuli e grembiulini (esiti tardivi di privazioni infantili?).
Che gli dei ci preservino il suo stile di alto valore didattico: l'isola, se orbata di cotanta luce culturale, potrebbe cadere nel più buio analfabetismo.
In precedenza mi tacqui stavolta rispondo:
Chiarisco che il pertugio a me non lo tocca nessuno - lasciando piena libertà ad altri di fare ciò che credono con i pertugi loro - e assicuro che al medesimo non lascio appropinquare, oltre i canonici tre palmi di distanza, ridicoli, isterici capataz di pollai pomposamente detti comuni o tronfi boriosi tromboni la cui autorità scientifica è ampiamente disconosciuta in tutto il globo.
Sono un mini-writer: uno che ha scritto e pubblicato solo poche modeste cose, che però - bontà dei miei (paganti) lettori - si sono vendute e si continuano a vendere a distanza di qualche anno piuttosto bene, senza aggravio per la pubblica finanza. Non cerco di essere amato, anzi cito spesso Sandro Curzi: "Un giornalista che non fa incazzare nessuno è un pessimo giornalista"
Non aspiro ad essere eletto a carica alcuna, non voglio essere insignito di alcun premio, non pretendo di mescolare la mia voce a quella dei giganti della cultura locale, in alti convegni nei quali si discetta sul merletto che guarniva le brache di Maria Walewska, su Pipogei e stalle di somari, su improbabili Catoni del Cotone, e sulla proto-piscicoltura del granchio favollo e del gronco coi baffi introdotta dagli Argonauti alle Saline, istoriata in un bell'affresco etrusco di giornata realizzato da Pino Fabbri.
Scrivo poi ogni giorno, pressoché gratis, sul quotidiano vivere di questo popolo e talvolta mi diverto a forzare il linguaggio, ad usare termini anche forti, sconvenienti forse per la pruderie dei pertugi professorali dell'augusto Petronio marinese, che non ha ancora capito che non esistono in assoluto parole e parolacce, ma solo parole, che sono adeguate o inadeguate al contesto in cui si collocano e si usano. E sul mio giornale, a casa mia, decido io il taglio da dare alle diverse cose che si scrivono e quali linguaggi usare.
Ad esempio, in un contesto come questo, sarebbe poco adeguato definire il medesimo, in modo tranchant, come "prezzolato, paludato, disutile anzi pernicioso minchione" meglio dire "maturo tirapiedi di nani politici da essi, come giullare, gratificato dal lancio sotto il tavolo di qualche metaforico osso da finire di spolpare"
Le pudiche vergini dai candidi marinesi manti, che alzano l'ammonitore ditino (ma un po' eccitate in fondo nel poter ripetere - fuori contesto - le imperdonabili scurrilità altrui) possono semplicemente non leggerci, sono circa 8.000 a farlo ogni giorno, la numerica perdita sarà relativa, la perdita qualitativa pure inferiore, ce ne faremo una ragione.
Per tutti vale poi un ammonimento già recentemente dispensato: serrare tra le dita i testicoli dei domestici felini è pratica rischiosa, in quanto sicuramente, per reazione, la bestiola conficcherà i suoi crudeli artigli nelle vive carni del malcapitato.
Requiescat in pacem.