Facendo un po’ di conti, c’è uno spazio “fisico” (i locali di Piazza della Repubblica 4 – Piano Secondo) che attualmente sono la sede del PD (e che quindi che sento come casa di altri), che sono stati per un tempo infinito molto più “casa mia” delle diverse vere abitazioni in cui ho abitato.
Tra quelle pareti ho consumato un numero infinito di ore, spesso anche da solo, ma più frequentemente con altri, quando quegli spazi diventavano sedi proprie, o temporaneamente ospitanti, delle attività dell’ARCI, della FGCI, del PCI, del PDS, della Compagnia degli Alfredini, di Legambiente, delle redazioni elbane dell’Unità, di Toscana Mattina, sigle e nomi che in gran parte diranno poco a chi ha la pazienza di leggermi oggi, ma che in una sorta di “rosario laico della sinistra” mi viene da snocciolare, riflettendo quanto essi siano stati elementi decisivi (nelle sempre relative vittorie e nelle sempre relative sconfitte) come elemento di crescita e maturazione personale, ma anche come grani di quella minima quotidianità che stratificandosi faceva la storia di questo Paese.
Chiedo scusa ai lettori, se buon ultimo, dopo che quasi tutti i “padri” del Parco (alcuni autentici,ma per altri la prova del DNA darebbe responsi negativi) hanno parlato, se mi permetto di tornare anche io a ragionare sul ventennio di vita del Parco, prendendo in esame soprattutto come ci si giunse e proprio partendo da quelle stanze di Piazza della Repubblica, e dalla brutta aria che vi tirava una mattina.
Già, brutta aria, perché Portoferraio rigurgitava di persone, migliaia e migliaia di isolani che il “Movimento Antiparco” era riuscito a convogliare nel centro storico per protestare. C’erano quasi tutte le espressioni del potere costituito isolano, in quel corteo, convocato da deliranti manifesti con i quali si ammanniva un mare di falsità e di puttanate sul che cosa sarebbe diventata l’Elba con l’istituzione del parco. Bugie ed ignoranza su presunte libertà conculcate, su assurdi divieti, terrorismo psicologico d’accatto, ma dispensato a piene mani con la controfirma di sindaci, associazioni di categoria, maggiorenti di ogni tipo e colore.
Ed il bersaglio insieme al “continentale cinico e baro” che prendeva ora le vesti della Provincia, ora della Regione o dello Stato istitutore, eravamo proprio noi del PCI prima e poi del PDS, unica forza politica che a livello locale aveva (sia pure con parecchie defezioni interne, soprattutto di amministratori passati nel caso “armi e bagagli” al “nemico”, con la scusa di dover mediare) prima difeso l’idea, poi caldeggiato l’istituzione e infine tenuto botta, con Legambiente (mentre il resto della galassia ambientalista si liquefaceva), in un durissimo scontro, in un clima incivile, subendo attacchi, minacce ed intimidazioni di ogni tipo, ma continuando con una pazienza infinita a fare quello che i Signori Sindaci erano tenuti per legge a fare (e non fecero) cioè informare la cittadinanza su che cosa sarebbe stato realmente il parco, sui suoi reali vincoli e sulle opportunità che poteva fornire.
Ricordo perfettamente chi c’era quella mattina in quelle stanze a raccogliere gli insulti che venivano dalla strada, ed eventualmente ad opporsi alle possibili iniziative di qualche scalmato - che non mancava, a Livorno, in trasferta, erano volate le sassate contro la Provincia - non è un grosso sforzo di memoria, bastavano le dita di due mani per contarci.
Mi ricordo gli sbraiti “gasati” di un fascista a cui il “Movimento Antiparco” aveva fornito un isperato uditorio, e mi ricordo il lapidario commento di Umberto: “ canta canta!”. Che voleva dire che la storia, la logica, la cultura, la scienza, non erano dalla parte della urlante stra-maggioranza, ma con l’ultra-minoranza asserragliata in quei locali, e lo si sarebbe visto.
Sono passati più di venti anni, ma se mi ricordo di un colloquio telefonico nel quale dovetti ripetere per tre volte, prima che ci credesse, ad un dirigente nazionale di una categoria dell’accoglienza, cosa andavano a sostenere sul Parco, i suoi locali associati, mi sembra passato più un secolo.
Oggi del Parco, di come è gestito si discute, ci sono i soliti stucchevoli sindaci che ne fanno campo per le loro “manovrine” di potere, ma se qualcuno pensasse davvero di “abolirlo”, e con ciò togliere quel prezioso “brand”, che probabilmente ci ha salvato da una crisi economico-turistica che poteva avere effetti devastanti, come un sol uomo insorgerebbero, proprio quelle categorie economiche che istigavano allora la popolazione alla rivolta contro l’istituendo Parco Nazionale dell'Arcipelago Toscano.
Sarei tentato, o Sommi Padri del Parco, o Maggiorenti che tutto il mondo ci invidia di chiudere con una formula burocratica:
Tanto vi era dovuto e con perfetta osservanza.