Di norma da bimbo e ragazzotto ero uno di quelli che tirava più a "mette' il bon pe' la pace" che a "fa' l'azzizzino" (per i foresti:- più incline a far da paciere che ad aizzare), e la maggior parte delle percosse che mi erano arrivate addosso erano destinate ad altri coetanei che s'azzuffavano e che cercavo di separare.
Ma quando a 13 anni cambiai casa, e dalla tranquilla Via Guerrazzi (dove eravamo pochini e si andava abbastanza d'accordo) approdai al più popoloso e turbolento Ponticello fui forzato a cambiare atteggiamento.
I ponticellini miei coetanei non mi accolsero con molto calore, ero "diverso", la maggior parte di loro o aveva lasciato la scuola in quinta elementare o andava "all'Avviamento" e io alle Medie, un altro mondo; non giocava a mio favore neppure l'imperativo categorico di Rosina di uscire di casa pulito e stirato e possibilmente tornarci, poiché quell'eccessivo ordine era visto con sospetto e come segno di scarsa mascolinità. Capii che tra quelle "teppe" uno stile di vita teso ad evitare lo scontro fisico, a cercare di comporre le liti discutendone, mi avrebbe fatto passare per pauroso e da là a diventare una delle vittime del branco era un attimo.
Così - memore degli ammaestramenti di Lino, il mio fratello maggiore, che usava ripetermi: "Bada che se ti fai vede' gallina ti fanno fa' l'ovo", colsi un'occasione.
Stavo giocando ad una specie di flipper in un baraccone pieno di giochi (biliardini etc) che era stato montato nell'area ora occupata dal Palazzo della Provincia, quando mi si avvicinò Lamberto Guerra che iniziò a infastidirmi. L'intento era chiaro così come "codificato" quello che doveva accadere: alla provocazione sarebbe seguita la formale sfida a darsele in un luogo deputato ed appartato, con tanto però di giovani spettatori che si materializzavano dal nulla.
Lamberto era considerato uno dei "cattivi" forse il peggiore (nella realtà non lo era affatto), e puntualmente dopo un po' di schermaglia verbale e spintarelle, mi disse "vieni fori che te le do". A quel punto le strade erano due: darsi alla fuga (casa mia era a due passi) ed essere coperto di infamia, o uscire e con tutta probabilità prenderne, anche se eravamo di stazza pressochè identica, per la mia poca dimestichezza con le zuffe.
La comunque non rosea prospettiva mi condusse alla soluzione, la terza via, gli risposi: "No io ti picchio qui" contemporaneamente dandogli con quanta forza avevo un cazzotto sul naso, e il dolore del primo colpo (un altro caposaldo del pensiero rissaiolo era: "chi pesta primo pesta du' volte), insieme alla sorpresa della rottura del codice, ebbero l'effetto di scombussolare il mio "feroce" antagonista, che, prima che il gestore del baraccone mi fermasse, ne aveva prese un sacco e una sporta. Mentre mi allontavo, cacciato dal capataz, sentii che lo sconfitto mi urlava: "Vigliacco... m'hai preso a tradimento" - e dal suo punto di vista aveva ragione - ma si teneva a debita distanza. L'esito del match rialzò comunque le mie quotazioni, rimasi quello "che aveva pestato a Lamberto"(del quale poi divenni intimo, fraterno amico, per il resto della sua purtroppo breve vita) e ci campai quasi di rendita per un bel tratto di adolescenza, nel corso della quale non mi ricordo di aver dovuto alzare le mani. Tuttavia i ragazzi di quel mondo, nel quale nessuno si sarebbe mai sognato di andare in ospedale per farsi refertare un occhio nero, e men che mai denunciare chi gliel'aveva fatto, stampavano dei bei casini un giorno sì e l'altro invece anche. Posso garantirlo perché spesso mi ci sono trovato in mezzo perché per quanto non violento un bel casinista sono stato anche io.
Perché cari lettori vi ho servito questo pippettone autobiografico? perché mi urta la mancanza di memoria di tanti adulti ed anziani miei coetanei, che fanno "le vergini dai candidi manti" e si lamentano, e borbottano, e si scandalizzano ogni tre per due, per lo stile di vita dei ragazzi, per i loro comportamenti" violenti", per i guai che combinano, per la "mancanza di rispetto" e compagnia cantante; e ogni tanto mi scapperebbe di dire (cito episodi accaduti): "Ma te non eri con me a ruba' i cocomeri a Tonacone?", "Ti ricordi di quando si mescolavano e spaiavano tutte le ciabatte davanti agli yacht?" "E quando al Viticcio ci fu quella cazzottata in trenta, tutti contro tutti, non eri te che cominciasti?", "Non fosti te a chiude' con una catena e col lucchetto la porta del mercato?" "Ma te lo ricordi che davi noia anche alle mosche?"
E' normale che i giovani facciano scherzi, pure pesantucci, siano rumorosi, fastidiosi, esagerati, perfino ribelli; certo debbono essere contenuti, instradati, educati, va impedito loro che si facciano troppo del male e facciano male (e danni) al prossimo e/o atti vandalici, ma è così, facendo casino, che si cresce, è anche sbagliando, e comprendendo che quando si sbaglia di norma si paga, che si prendono le misure con la vita.
Penso che ognuno nasca con un tot di fesserie obbligatoriamente da fare nell'arco della vita, meglio consumare la scorta nell'età evolutiva, da piccoli, altrimenti poi si fanno da grandi, e di solito sono grandi fesserie.