Nella quarta età può capitare che decidiamo di interrompere un lavoro o una lettura o un momento di relax, per andare in un'altra stanza con l'intenzione di prendere qualcosa nel cassetto di un armadio. Ma, quando apriamo il cassetto, non ricordiamo più che cosa volevamo prendere. All'interno del cassetto scorgiamo un paio di occhiali. Una matita rossa e blu. La slide della copertina di un "libretto" di catechismo, citato senza averlo mai visto. Un album da colorare con le avventure di Peppa Pig. E tante altre carabattole.
Ma qual era l'oggetto del desiderio? Mah. Chissà. Non ce n'è più traccia nella memoria: è tutto svanito.
«Caso serio, caso contemplato», ahimè: e più l'età avanza, più frequenti diventano questi episodi.
Ho notato che nei ragionamenti del dott. Zecchini i vuoti di memoria sono frequenti. Mi sono chiesto se si tratta di un fatto fisiologico, comune a tutti noi mortali. Ma Zecchini è più giovane di me, come egli ebbe a precisare in un suo scritto: io sono nato venti mesi prima di lui. Una differenza abissale: come tra il giorno e la notte. Dunque dobbiamo escludere che per lui gli scherzi della memoria siano determinati dall'«apoptòsi» dei neuroni: paroloni altisonanti per indicare il rimbambimento senile.
E poi ho notato che le sue amnesie non sono casuali: Zecchini dimentica soltanto gli aspetti scomodi per lui. Quando gli mancano gli argomenti per obiettare, gli sopraggiunge un vuoto di memoria. E va avanti tranquillo, come se niente fosse.
Esaminiamo alcune di queste amnesie provvidenziali (sperando che non si offenda per il poco laico aggettivo "provvidenziali").
ATTO PRIMO: IL GUANTO DELLA DISFIDA AL PROF. CAMBI
5 agosto 2016. Di punto in bianco, Zecchini pubblica una lettera aperta al prof. Franco Cambi, docente di archeologia nell'Università di Siena, sfidandolo a esprimere la sua opinione sul locale seminterrato posto al piano terreno del palazzo marcianese dei prìncipi di Piombino. Ovviamente il prof. Cambi non gli ha risposto né ai né bai.
Sorprende che Zecchini vada a provocare il prof. Cambi, quando da molti mesi noi attendiamo che egli risponda a un altro professore universitario, che non è convinto che il seminterrato di Marciana sia una tomba etrusca.
Mi riferisco al prof. Luigi Donati, che è stato titolare della cattedra di etruscologia dell'Università di Firenze, e che è il Segretario generale dell'Istituto Nazionale di Studi etruschi ed italici di Firenze.
L'Istituto fiorentino è la più nota associazione italiana che si occupa di archeologia etrusca. La sua rivista "Studi Etruschi" è la principale rivista di etruscologia di tutta la comunità scientifica internazionale. Del suo comitato direttivo fanno parte i più importanti etruscologi delle nostre Università, come Giovannangelo Camporeale e Giovanni Colonna. Suppongo che Zecchini conosca i nomi dei docenti universitari che fanno parte di questa prestigiosa istituzione. Nel comitato direttivo c'è anche il prof. Adriano Maggiani, che, prima di occupare la cattedra di etruscologia dell'Università di Venezia, è stato il funzionario responsabile della Soprintendenza archeologica della Toscana con competenza anche per il territorio dell'Elba.
Non ne fa parte il dott. Zecchini, che preferito starsene nella società Ilva, in compagnia di Ciumei e Centauro.
Sarà pubblicato fra qualche giorno un articolo del professore fiorentino, in cui tutta la questione del seminterrato marcianese verrà organicamente riproposta: ho avuto modo di leggere l'articolo e intendo commentarlo in una prossima occasione.
Perché il dott. Zecchini, prima di sfidare il prof. Cambi, non risponde al prof. Donati?
E questa è la prima di una lunga serie di amnesie tattiche del nostro Luminare.
ATTO SECONDO: UN ALTRO GUANTO DI SFIDA
10 agosto 2016, ore 10 e 45. Zecchini pubblica un post furibondo contro l'architetto Luciano Giannoni.
Per Zecchini anche i ciechi vedono che l'ipogeo di Marciana è una tomba etrusca: perciò addita al pubblico ludibrio quanti prendono sul serio i libri dello Zanetti e del Taddei Castelli, che testimoniano l'esistenza di un locale per la zecca nel palazzo marcianese degli Appiani e dei loro parenti e successori Boncompagni Ludovisi.
E conclude con questa sfida sferzante:
"A favore dell'esistenza della “zecca” finora il Giannoni non ha saputo fare altro che avanzare congetture evanescenti e mai avallate da qualcuno che abbia un minimo di peso scientifico. Perciò lo esorto a pubblicare (ma la vedo dura) almeno una decina di motivazioni logiche e solide".
Un giudizio tranchant che non tollera repliche. Zecchini lancia la sua sfida all'arch. Giannoni, ma dice che «la vede dura» per il suo avversario. Si sente molto sicuro del fatto suo: nessuno studioso importante ha mai sostenuto la tesi dell'esistenza della zecca.
Però io sono riuscito a scovare una persona − di "peso scientifico" eccezionale − che ha scritto che la zecca di Marciana è veramente esistita. E Zecchini è l'ultimo al mondo a poter dubitare del «peso scientifico» di questo Studioso.
Chi sarà mai il Super-Scienziato? Lo scopriremo fra qualche istante: e lo faremo leggendo insieme una documentazione inoppugnabile.
Come prima mossa, chiedo ai lettori di rintracciare un libro famoso, distribuito gratis negli uffici comunali di Marciana Marina.
Quando fu pubblicato, nel 2014, il Comune volle festeggiarlo pagando le spese per una festa in piazza, in coincidenza con una grande «adunata culturale» della destra elbana.
La serata fu un evento memorabile: durante la festa pagata con le tasse dei cittadini, ci fu anche l'intermezzo di una rappresentazione teatrale, in cui il sindaco Ciumei calcò la scena nel ruolo di primattore. Del resto anche l'imperatore Nerone amava esibirsi sul palcoscenico, e l'imperatore Còmmodo scendeva nell'arena per partecipare alle lotte dei gladiatori.
Trovato il libro, i lettori vadano alla pagina 85.
In alto, nel quinto rigo, potranno leggere che nel vestibolo esterno dell'ipogeo marcianese
«la spalla destra è stata completamente demolita nel XVIII/XIX secolo (e ricostruita con pietre e calce) per ricavare un ambiente più ampio da adibire a locale per la zecca».
Dunque l'Autore del libro parla della zecca come di un dato di fatto appurato e indiscutibile. E ci informa che, per farla funzionare meglio, qualcuno costruì anche un locale più ampio. Lo Studioso riesce perfino a stabilire che quei lavori di ampliamento della zecca furono eseguiti nel Settecento o addirittura nell'Ottocento.
Nell'Ottocento? Sì: dice proprio "XIX secolo".
L'ipotesi di lavori eseguiti nell'Ottocento è una novità sorprendente e inedita. Poiché si devono escludere i Lorena e i Savoia (che non avrebbero certo pensato di usare una zecca nell'isola d'Elba), i lavori sarebbero da attribuire a Elisa Bonaparte Baciocchi oppure al fratello. Dunque lo Studioso pensa che i Bonaparte abbiano potuto battere moneta a Marciana. Come avrà fatto a scoprirlo?
IL PERIODO BLU E IL PERIODO ROSA
I lettori saranno curiosi di conoscere il nome di questo autorevolissimo Scienziato con la S maiuscola.
Ecco allora la sorpresa. Non ci crederete, ma il «Saggio» è firmato dal Grande Luminare in persona.
Sì, avete capito bene. L'Autore è esattamente quel medesimo dott. Zecchini, che − con «gran dispitto» − scrive oggi che la zecca è una «congettura evanescente», ovverosia una scemenza a cui possono credere soltanto i babbei.
Come in pittura si distinguono il Picasso del periodo blu e il Picasso del periodo rosa, così si devono distinguere lo Zecchini «zecchista» e lo Zecchini «dezzecchizzato».
Nel 2014, ostentando la sua proverbiale sicurezza di sé, il Luminare ci ammanniva come altissima «Scienza» le sue certezze intorno all'esistenza della zecca.
Poi Clio, la Musa della Storia, gli ha insufflato nella mente addirittura «venti solide motivazioni» contro la zecca. E così lo Zecchini si è convertito. Si è «dezzecchizzato». Finalmente ha capito che esistono «troppe, veramente troppe, motivazioni» (sic) che rendono l’ipotesi della zecca marcianese una favola per grulli. Con una amnesia giunta nel momento più azzeccato, Zecchini dimentica tutto quello che scriveva appena due anni fa. E questa è l'amnesia numero 2.
Nessuno si deve scandalizzare di questa giravolta di 180 gradi: per i Grandi Uomini non è importante la coerenza, ma l'ardimento con cui sono capaci di piroettare.
Concludendo la sua invettiva contro l'arch. Giannoni, Zecchini è perentorio: «A questo mio intervento non ne seguiranno altri. Continuare sarebbe inutile». Non si occuperà di Giannoni per tutta l'eternità. Per omnia sæcula sæculorum.
ATTO TERZO: L'ETERNITÀ BREVE
10 agosto 2016, ore 17 e 32. Non sono trascorse neppure sette ore. Ripeto: neppure sette ore.
Ma la "favola breve" di uno Zecchini che tace è già compiuta: in Internet compare un altro "Saggio" contro Giannoni. Si è dimenticato della sua promessa (amnesia numero 3).
Con quel tocco soave e squisito che gli è connaturato e che è il sigillo di tutti i suoi scritti, Zecchini definisce un «coacervo di castronerie» tutte le notizie fornite dall'architetto Giannoni.
«Coacervo di castronerie»: la definizione è una vera chicca, di una levità inattingibile.
In questo secondo scritto non vengono esposti concetti nuovi: si percepisce soltanto la rabbia livorosa contro chi non si prostra davanti al Profeta e alla sua "sciiientifica" Rivelazione.
Però ho notato un particolare che a prima vista può sembrare un'inezia trascurabile: in entrambi gli scritti del 10 agosto, Zecchini vuole puntualizzare che l'architetto Giannoni è «piombinese». Perché?
UN PIOMBINESE, OHIBÒ
È noto a tutti che l'appartenenza alla comunità di Piombino (Giannoni) o a quella di Lucca (Zecchini) o a quella di Prato (Centauro) non incide sulla validità di un ragionamento, qualunque sia la materia di cui si discuta: dalle etimologia etrusca CotoneCatoneCathu, fino all'eponima fuliggine e ai lampioni tecnologici del duo Ciumei-Centauro.
Mi spiego meglio con un esempio. Quando a Lucca infuriava la polemica sulla sensazionale scoperta del passaggio sotterraneo, percorso al galoppo (sic!) dalla cavalleria di Castruccio Castracani, Zecchini dichiarava a giornali e televisioni che aveva ragione lui.
Al contrario, il sindaco di Lucca e gli archeologi della Soprintendenza erano convinti che Zecchini fosse succubo della sua sbrigliata fantasia e prendesse lucciole per lanterne: per il sindaco e per gli archeologi, il cunicolo non era un passaggio segreto della fortezza Augusta, ma una semplice fogna, costruita di recente.
A nessuno però venne in mente che, per dirimere l'alta disputa, si dovessero esibire i certificati di residenza dei disputanti.
Perché allora Zecchini − per due volte a distanza di sei ore − ha inviato ai lettori il messaggio che Giannoni è «piombinese»?
Zecchini usa la parola «piombinese» come nel Medioevo si usavano i rintocchi della campana a martello, per chiamare a raccolta i cittadini contro gli invasori alle porte.
Immagino che Zecchini dirà che io mi sto inventando tutto. E allora spieghi lui perché in due scritti dello stesso giorno ha voluto diffondere e ribadire la notizia che Giannoni, ohibò, è «piombinese».
IL PIAVE MORMORÒ
Affiora alla luce del sole la matrice non proprio trotzkista della formazione culturale di Zecchini: la sua apertura mentale è quella di un contradaiolo di Siena nei giorni del palio.
Se questa è la caratura degli «Intellettuali», non c'è da meravigliarsi perché il comune unico è stato rifiutato.
Finché non sarà emersa una generazione capace di guardare un po' più lontano della punta del naso, si ricorrerà al campanilismo più retrivo, per costruire anacronistiche contrapposizioni. Per Zecchini, i «piombinesi» sono austroungarici e crucchi.
Contro gli stranieri che si impicciano abusivamente degli affari elbani, ogni buon patriota è chiamato da Zecchini a mobilitarsi: "il Piave mormorò: non passa lo straniero! Zun Zun".
E invece − oh che scandalo − è stato affidato proprio a uno straniero «piombinese» il museo numismatico della zecca. E questo doloroso tradimento fu consumato proprio nel momento in cui la «ditta» di Zecchini e C. si era già messa a disposizione.
Quasi sicuramente gratis.
In questa stagione in cui fioriscono le querele, è bene ripetere che ho usato il sostantivo «ditta» nel senso buono di Pier Luigi Bersani, come sinonimo di sodalizio e accolta, escludendo qualsivoglia riferimento a progetti, affarismi, appalti, prebende, creste e benefizi.
Zecchini sembra essersi dimenticato che proprio lui risiede a Lucca da più di mezzo secolo (e questa è l'amnesia numero 4).
E ha dimenticato (amnesia numero 5) che i vari Centauro e C. sono tutti «intellettuali di importazione», come li ha definiti lui sprezzantemente a pagina 263.
Nella sua fobia per i «piombinesi», Zecchini non ricorda neppure (amnesia numero 6) che per due mandati il sindaco di Piombino è stato un elbano. Gli "alieni" che abitano non in Nuova Zelanda, ma a dieci chilometri dal Cavo, hanno dato il loro voto a quel nostro compaesano, senza spaventarsi se i suoi genitori e i suoi nonni e bisnonni sono tutti di Marciana Marina.
Ma soprattutto Zecchini ha platealmente sbagliato bersaglio. Non sa che il «piombinese» Giannoni è stato il sindaco di Capoliveri e che i suoi antenati sono tutti capoliveresi e riesi. Per un Grande Storico dimenticare di verificare le fonti (amnesia numero 7) non è un peccato veniale.
Ho il sospetto però che Zecchini creda in cuor suo che la linea del Piave non sia il canale di Piombino, ma il fosso di Redinoce, tra le Sprizze e l'isolotto. Ecco perché l'arch. Giannoni di Capoliveri per lui è un austroungarico.
Gian Piero Berti