Un poco di storia patria .. così “a braccio”, siamo nei primi anni del secolo XX° lo scenario e Portoferraio, Feraja come ancora lo chiamano i meno colti dell’Isola, e appunto nelle moderne ferriere elbane è in atto un lungo durissimo sciopero.
I padroni della fabbrica hanno una bella pensata: andare a fare incetta di una manodopera meno riottosa pescandola soprattutto in Campania, dove non hanno difficoltà a trovare oltre cento operai disposti a sbarcare in una nuova terra promessa.
E la direzione dell’ILVA fa pure le cose in grande: ad attendere la nave che porta i primi crumiri (salvatori dello stabilimento per i padroni, traditori infami per gli operai stremati prima da un lavoro massacrante, poi dalla lunga lotta) viene chiamata addirittura la banda cittadina.
L’omaggio musicale viene letto dai già incazzatissimi scioperanti come un’ulteriore provocazione, e così quando il “postale” attracca in Darsena, davanti alla Porta A Mare, ad attenderlo c’è una folla non del tutto benevola.
Prima ancora che dal vapore sia lanciata la sagola a terra la banda attacca un pezzo festoso, e a quel punto si scatena un finimondo: incominciano a volare in mare in ordine: leggii, strumenti e orchestrali, ma il clou lo si raggiunge quando agganciata la passerella i malcapitati immigrati raggiungono lo scoglio, e molti di loro sono afferrati con la nota tecnica della “collottola e trombe del culo” (per i foresti: catturati con un ferma mano per la parte posteriore del collo della giacca con l’altra che insinuatasi tra le natiche ghermisce ancor più saldamente la stoffa dei pantaloni e sottostanti brache) e frullati in mare di pancia a far compagnia agli zuppati musici.
Vi domanderete o cari lettori ove vogliamo andare a parare partendo con un poco edificante raccontino di un “contenzioso” risolto con metodi che oggi riteniamo totalmente inapplicabili.
Il fatto è che avuta conoscenza di quanto accaduto sulla via di Fonza nel giorno di Pasquetta ed in quelli successivi, siamo stati presi da un furibondo giramento di coglioni e, nonostante l’età che dovrebbe essere quella della saggezza, ci siamo sentiti prudere le mani e pure i piedi, e non tanto ora vogliamo strizzare l’occhio al bel tempo che fu (che non era bello per niente), alla fierezza del selvaggio ilvate (che per strada poi si è abbondantemente omologato, per non dire rincoglionito con troppi soldi facili che lo hanno ingrassato) , la nostalgia che abbiamo provato è per i tempi di un tempo.
Allora tra delitto e castigo, tra il manifestarsi di una conclamata cattiveria, una prepotenza assurda, un’ingiustizia e la sua repressione potevano passare anche solo pochi secondi. Appunto quelli necessari per essere presi per le trombe del culo e stioccati in mare, o in un buscione (siepe di rovo per gli allogeni) se ci si trovava in ambiente boschivo; la giustizia con la G maiuscola la si tirava in ballo solo per i casi seri, quando scorreva il sangue: ai più modesti stronzi non si concedeva il privilegio di veder trattare il caso dalle Forze dell’Ordine … troppo onore.