L'OPINIONE DI UN PROFESSORE UNIVERSITARIO VERO
La rivista "Lo scoglio" pubblica un articolo in cui il prof. Luigi Donati − uno dei più importanti etruscologi italiani − spiega perché non è convinto che la grotta di Marciana sia una tomba etrusca.
Alla base del ragionamento del professor Donati c'è un'osservazione facilmente verificabile: la grotta presenta numerosi aspetti che contrastano − in maniera inconciliabile − con la tipologia delle tombe etrusche.
Anche il dott. Zecchini si era appellato alla tipologia: ma per sostenere la tesi opposta.
Senza entrare nel tecnicismo della Logica formale, mi limito a osservare che il prof. Donati segue un modello di argomentazione che i logici chiamano «modus tollens», la cui validità era nota già agli Stoici.
Zecchini, invece, ragiona secondo uno schema formale inventato da lui. Un modello logico del tutto inedito, che però non sta in piedi, perché è una fallacia, un sofisma.
Proviamo a fare un po' di chiarezza.
LA TIPOLOGIA
La parola «tipologia» non è di uso comune: la derivazione dal greco le conferisce un'aura di prestigio scientifico. Ma non dobbiamo fidarci dei paroloni altisonanti, perché talvolta servono a mascherare il nulla.
Perciò proviamo a tradurre il concetto in un linguaggio più comprensibile: la classificazione per «tipologia» consiste nel raggruppare insieme una pluralità di oggetti che hanno alcune caratteristiche simili. In questo modo si costituisce un "insieme": mi riferisco proprio a quegli "insiemi", di cui molti hanno sentito parlare fin dalla scuola elementare.
Insomma il vocabolo «tipologia» è un modo elegante per esprimere il concetto di «somiglianza».
Nelle linee essenziali il ragionamento di Zecchini si può riassumere così.
Si parte da due premesse:
− alcune tombe etrusche sono ambienti sotterranei che hanno la pianta a forma di croce.
− la grotta di Marciana è un sotterraneo che ha la pianta a forma di croce.
Da quelle due premesse Zecchini trae la conclusione che la grotta è una tomba etrusca.
Diverse volte Zecchini ha espresso anche con immagini questo suo ragionamento: ha stampato una accanto all'altra le planimetrie del sotterraneo marcianese e di una tomba etrusca, per farne risaltare la somiglianza. Zecchini lascia intendere che, se le planimetrie si rassomigliano, allora la grotta di Marciana e la tomba etrusca devono essere come la zuppa e il pan bagnato.
Questo ragionamento è valido? No: logicamente non è valido. Non ha nessun fondamento. Dalla semplice somiglianza non si può dedurre nulla.
Non scomoderò la Logica formale, perché non voglio provocare un altro travaso di bile in quei lettori che contro i miei articoli brandiscono il centimetro (eppure basterebbe un clic del mouse, per scegliere altre letture). Mi appellerò piuttosto all'esperienza degli spettatori di film polizieschi. Tutti noi sappiamo che un bravo investigatore non si accontenta di un solo indizio per risolvere un caso: ha bisogno di una pluralità di riscontri, che siano solidi e concordanti tra loro.
Però, purtroppo, nella grotta di Marciana non sono disponibili altri indizi utili: non sono stati rinvenuti né sarcofagi, né letti funebri, né pitture parietali, né iscrizioni, né frammenti di oggetti "tipici" del corredo di una sepoltura, come armi, vasellame, suppellettili, spille, monili. Nulla: nemmeno una microscopica scaglia di bucchero.
Qualcuno dei miei amici ha potuto visitare le stanze attigue alla grotta: neppure là sono emersi elementi che abbiano attinenza con gli Etruschi.
Per molti mesi si era parlato dell'esistenza di altri argomenti a favore della tesi della tomba. Qualcuno si era mosso per vie misteriose, che mi ricordano − chissà perché − le vie tipiche del segreto latomico, tanto caro alla Massoneria. E aveva indotto ben nove senatori della Repubblica a scrivere − in un documento ufficiale del Parlamento − che altri preziosi indizi si trovavano negli ottanta centimetri di "terriccio etrusco" stratificati sopra il pavimento della grotta.
Però − scrivevano i nove senatori − gli operai del Comune di Marciana avevano distrutto tutto, gettando in discarica tutto quel ben di Dio.
LA SCIA CHIMICA, LA SIRENA, IL CENTAURO
La Soprintendenza e il Ministero hanno trovato, invece, la documentazione fotografica che smentisce la fanfaluca dell'esistenza del terriccio. Così è stato sbugiardato l'anonimo suggeritore dei senatori grillini, che aveva cercato di prendere i proverbiali due piccioni con una sola fava: il primo piccione consisteva nel dare ad intendere all'opinione pubblica che l'ipogeo è sicuramente una tomba etrusca, perché le prove stavano in quel terriccio.
L'altro piccione era la vendetta contro l'Amministrazione comunale di Marciana, che non era apparsa propensa a elargire opimi incarichi e laute prebende.
L'esistenza del "terriccio etrusco" infarcito di preziosi indizi − definiti, con grande sprezzo del ridicolo, «testimonianze» − è risultata una squallida montatura. L'hanno creduta vera soltanto i nove ingenui Senatori, che si sono lasciati bellamente menare per il naso.
Ma non dobbiamo scandalizzarci: in Parlamento − lautamente stipendiato da noi − c'è perfino chi crede alle scie chimiche, alle sirene e magari anche ai centauri.
Dopo il fallimento della tentata truffa del terriccio (che − per «tipologia» − non sembra un'invenzione addebitabile allo Zecchini, ma a qualcuno molto più marpione e birbante e ammanigliato di lui) i sostenitori della tomba etrusca oggi si ritrovano in mano il solito frusto indizio: la pianta a forma di croce.
Ma è chiaro a tutti che una conclusione che poggia su un fondamento così striminzito, è una conclusione azzardata e evanescente. Anche le "Grotte vaticane" (con la sepoltura di San Pietro e di una ventina di papi) sono una tomba sotterranea con planimetria cruciforme: ma a nessuno è venuto in mente che si tratti di una tomba etrusca. Almeno finora.
SCHERZI DELLA TIPOLOGIA
A Zecchini avevo obiettato che la tipologia non è una prova inattaccabile. E avevo ricordato diversi casi famosi. In nome della tipologia, molti studiosi hanno scritto che la lupa bronzea dei musei capitolini è una statua etrusca del quinto secolo avanti Cristo. Invece per altri studiosi la lupa è medievale. La differenza fra le due datazioni è di almeno dodici secoli. Un altro caso simile è quello della statua bronzea di San Pietro della basilica vaticana.
Non c'è bisogno di commenti.
Però non vorrei apparire un denigratore della classificazione per tipologia, che invece è un metodo di ragionare a cui gli esseri umani (e anche gli animali superiori) ricorrono in continuazione. Ma un intellettuale come Zecchini dovrebbe essere consapevole che quel metodo ha dei limiti e che non autorizza a fare strame delle regole della Logica.
Mi spiego ricorrendo a un altro esempio. Se confrontiamo un elefante col mio cagnolino "Westy", costatiamo che i due animali hanno una testa, due occhi, due orecchi, quattro zampe, una bocca, una coda. Sappiamo che discendono da lontanissimi progenitori comuni, tanto che alcune sequenze del loro DNA sono identiche, così come avviene per il DNA della specie «uomo» e di tanti altri viventi.
Queste somiglianze mi autorizzano a dedurre che il mio piccolo cane terrier è anche lui un elefante? Se ragionassi con la logica usata dallo Zecchini per il sotterraneo di Marciana, dovrei dire di sì. Ma oltre alle somiglianze, è facile scoprire che fra un cane e un elefante esistono anche differenze vistose: il mio piccolo "westy" non ha una proboscide prensile. Non possiede due lunghe zanne. Non è un erbivoro. Non ha la stazza di un pachiderma.
Perciò il cane non corrisponde alla tipologia degli elefanti.
Allo stesso modo, fra le tombe etrusche e la grotta sotto la casa degli Appiani c'è una somiglianza: la planimetria cruciforme. Ma il prof. Donati ha rilevato che ci sono anche molte differenze: queste differenze − evidentemente ignorate o trascurate da Zecchini − contraddicono la tesi della tomba etrusca.
Sia chiaro: io non voglio insinuare che il dott. Zecchini nasconda in malafede alcuni elementi di giudizio, perché gli è più comodo per difendere la sua opinione. È probabile che egli ignori alcuni dati che, invece, sono noti a un professore universitario come Donati.
È normale che alcune persone sappiano quello che altre persone non sanno.
DIFFERENZE «IMPORTANTI» E «DIRIMENTI»
Esaminiamo dunque quali sono queste differenze, che il professore definisce «importanti» e addirittura «dirimenti», nel senso che esse sono decisive e conclusive di tutta la discussione.
Il professor Donati parte dalla constatazione che negli ultimi due secoli, nei territori abitati dagli Etruschi dalla Campania alla pianura padana, sono state scoperte e scavate molte migliaia di tombe etrusche. Gli archeologi hanno raccolto una quantità sterminata di informazioni.
Un anno fa, il prof. Luigi Donati ha visitato l'ipogeo di Marciana e ha poi inviato alla Soprintendenza una relazione scritta in cui il seminterrato marcianese è comparato con la massa delle conoscenze acquisite dagli studiosi.
"Lo Scoglio" pubblica ora quel documento. Si tratta dell'opinione autorevole di un professore che è stato titolare della cattedra di "Etruscologia e antichità italiche" dell'Università di Firenze e che oggi è il Segretario generale dell'Istituto Nazionale di Studi etruschi ed Italici. L'istituto pubblica "Studi Etruschi", la principale rivista di etruscologia esistente al mondo.
UN SINDACO ERRABONDO TRA TAFONI E TAFANI
Lo scritto del prof. Donati è molto diverso da quanto i lettori elbani hanno letto negli ultimi due o tre anni, quando erano sistematicamente frastornati dalle opinioni estemporanee di immaginifici turisti di passaggio, che in agosto amano trascorrere "vacanze intelligenti" scarpinando su per i monti marcianesi.
I colti villeggianti fotografano panorami mozzafiato. Raccolgono more di rovo, da cui ricavano prelibate marmellate biologiche. Si dilettano anche di archeologia, discettando di acropoli, metropoli, sinecismi e lucumoni eponimi...
Una nobile moda, che merita ogni encomio.
In altre occasioni ho riferito del parere di quel villeggiante, rimasto anonimo, di cui, mesi fa, ci parlò con orgoglioso compiacimento Zecchini, accreditandolo nientemeno che come "tedesco".
E "tedesco" − si sa − è, già da solo, un titolo accademico di tutto rispetto.
Perfino il sindaco di Marciana Marina, nel famosissimo libro di Zecchini, ha confessato di aver avvertito la scossa elettrica della torpedine platonica: e, dopo aver appreso i rudimenti dell'archeologia attraverso un corso peripatetico, trascorre tutto il tempo in cui non è impegnato nel suo lavoro, gironzolando − tra tafoni e tafani − per i viottoli del Capanne (dottamente ribattezzato «monte Campana»).
La Costituzione − stabilendo che l’arte e la scienza sono libere e libero ne è l’insegnamento − riconosce anche all'anonimo tedesco e al sindaco Ciumei il diritto di pontificare di arte e di scienza. E − sempre in forza della Costituzione − l'architetto Prof. Dott. Giuseppe Centauro ha il diritto di scrivere che l'antico nome greco dell'isola deriverebbe dall'eponima fuliggine (sic), anche se questa affermazione farebbe inorridire non dico un grecista, ma anche uno studente del liceo classico.
La libertà non si accompagna necessariamente alla competenza: e perciò ci siamo rassegnati a sentirne di tutti i colori, perché ogni opinione, anche la più sgangherata, è costituzionalmente protetta.
IL TIPO DI ROCCIA
Ma esiste − vivaddio − anche un'altra archeologia. L'articolo del prof. Donati ci offre, finalmente, l'opinione di un docente universitario autentico, che conosce lo stato della ricerca archeologica. E ci aiuta a disintossicarci dalle funamboliche fantasie che ci sono state propinate finora.
Oggi gli studiosi seri dànno per assodato che gli Etruschi evitavano di scavare in rocce molto dure. Questa affermazione non enuncia genericamente una propensione statistica: descrive una precisa realtà, che non presenta eccezioni.
Sotto il profilo della durezza, il prof. Donati ricorda che − seguendo la scala elaborata nel 1939 da Knoop − alcune rocce sono classificate come "durissime" (gabbri, basalti, graniti). Altre rocce sono definite "dure". Esistono poi le rocce "semidure" (calcari teneri, marne) e, infine, le rocce "tenere" (tufi, gessi, calcari poco litificati).
Le molte migliaia di tombe etrusche sotterranee − scrive il professore − furono tutte scavate in masse rocciose del terzo e del quarto raggruppamento.
Tutte. Assolutamente tutte.
Leggiamo nel suo articolo: «Le tombe etrusche sotterranee, i pozzi, le cisterne etc. li troviamo in formazioni rocciose che coinvolgono soprattutto le rocce del 4° livello e, in subordine, anche del 3°; mai del 2° e, ovviamente, del 1°».
Tra migliaia di tombe etrusche (a cui si aggiungono gli altri tipi di scavi come pozzi e cisterne), non si conosce nemmeno un caso di lavori eseguiti su rocce granitiche, che appartengono al primo gruppo: quello delle rocce «durissime».
MISSION: IMPOSSIBLE
A questa regola inderogabile − che ha evidenti motivazioni tecnologiche − si contrappone il fatto che il seminterrato marcianese è scavato invece in una roccia granitica.
Zecchini − quando si dice la iella! − si è imbattuto proprio in una grotta scavata nel granito. E ora ha l'imbarazzo di dover dimostrare che sarebbe opera degli Etruschi un lavoro che gli Etruschi non hanno eseguito mai.
Viene in mente il titolo di un film famoso: «Mission: Impossible».
Qualcuno potrebbe pensare che a Marciana i nostri antenati etruschi si dovettero rassegnare a scavare il granito, perché nella zona non esistono rocce più tenere: insomma il granito sarebbe stata una scelta obbligata.
Macché scelta obbligata.
Non è vero che non esistevano alternative.
Intanto occorre osservare che non tutte le tombe etrusche erano «scavate» all'interno della roccia.
Spesso viene ricordata la tomba Regolini Galassi di Cerveteri perché, non essendo stata depredata dai tombaroli, ha conservato un corredo ricchissimo, che è esposto nei musei vaticani. Le pareti di questa tomba sono in parte scavate nel tufo, ma in parte sono costruite in muratura.
Inoltre a poco più di cento metri dalla casa degli Appiani c'è una vasta roccia tufacea, in cui gli scalpellini etruschi potevano scavare con facilità.
Dunque gli etruschi marcianesi potevano scavare il tufo o costruire una tomba in muratura. Ma, secondo Zecchini & C., avrebbero compiuto consapevolmente la scelta di scavare il «durissimo» granito, nonostante che la tecnologia del tempo fornisse strumenti poco adeguati a questo lavoro.
I miei amici archeologi mi informano che − molto prima che la metallurgia producesse i robusti scalpelli che sono in vendita in tutti i negozi di ferramenta del nostro tempo − nell'antichità si conoscevano le tecniche per lavorare anche le pietre durissime: gli egizi sapevano scolpire statue in granito e persino in porfido, usando mezzi abrasivi oppure schegge della stessa pietra o utensili in rame e bronzo.
Non ci sono dubbi: per gli etruschi lo scavo in una massa compatta di granito era tecnicamente possibile. Ma gli strumenti tecnologici di cui disponevano avrebbero reso estremamente lunga e faticosa l'apertura di gallerie e stanze. Ecco perché gli Etruschi non hanno mai scavato in rocce classificate come «durissime» o come «dure». La scelta del granito era irragionevole. Peggio: era demenziale: tafazziana.
Perciò dobbiamo escludere questa ipotesi perché non è credibile.
Ma non basta. Di solito nelle tombe etrusche con pianta a forma di croce la lunghezza dei due bracci laterali della croce è di poche decine di centimetri. Raramente supera il metro.
La motivazione è sempre la stessa: anche quando la pietra era il tenero tufo, gli scalpellini cercavano di ridurre al minimo la fatica dell'escavazione.
Invece nell'ipogeo di Marciana − dove si scavava una pietra durissima − la lunghezza dei due bracci laterali è di circa 230 centimetri: tre o quattro volte maggiore del solito.
Sembrerebbe che gli scavatori cercassero volutamente di rendere ancora più difficoltosa e ardua la loro fatica, scavando corridoi inutilmente lunghi. Anche questa scelta contraddice la tipologia e appare inspiegabile e insensata.
MANCA LA CELLA DI FONDO
Nelle tombe etrusche cruciformi, in prosecuzione del corridoio di accesso (dromos), esiste sempre un'ampia cella, riservata al personaggio che nella famiglia aveva il ruolo del patriarca, del capostipite.
Ma nell'ipogeo di Marciana la cella principale in asse col dromos non esiste. C'è un piccolo spazio che misura 109 centimetri per 139: inadeguato per contenere un defunto. È stata avanzata l'ipotesi che si trattasse della tomba di un bambino molto piccolo. Un'ipotesi inverosimile: non si capisce come un bambino morto nella prima infanzia (uno dei tanti bambini morti nei primi mesi di vita, perché per millenni la mortalità infantile è stata altissima) potesse essere un personaggio importante o addirittura il capostipite di una famiglia.
La mancanza di una cella centrale sembrerebbe richiamare l'assetto della tomba est del grande tumulo di Montecalvario a Castellina in Chianti. Ma nella tomba est di Castellina la cella centrale manca perché, al termine del dromos, gli scavatori si imbatterono in una parete di roccia dura che li costrinse a fermarsi. Invece nelle altre tre tombe dello stesso tumulo gli scavatori avevano trovato soltanto terra: perciò costruirono anche le celle di fondo.
Nel seminterrato marcianese − che è tutto ricavato all'interno del granito − gli scalpellini avrebbero scavato il dromos (cioè il corridoio di ingresso) e le due celle laterali, ma non la cella centrale. Una scelta priva di una spiegazione razionale.
UN AMBIENTE INCOMPIUTO E APPROSSIMATIVO
Se l'ipogeo fu una tomba etrusca, all'enorme fatica dello scavo corrispose un risultato complessivo molto modesto.
Abbiamo appena detto che manca la cella centrale.
Inoltre la piccola cella di sinistra non è utilizzabile, perché è inadatta a ospitare un defunto a causa della grossa protuberanza rocciosa che invade gran parte del pavimento.
L'unica cella che poteva accogliere le salme è quella di destra, che però ha una pianta insolitamente approssimativa e irregolare. Tutti dati − osserva il prof. Donati − che non si conciliano con un monumento funebre di prestigio, dove questi dettagli sono sempre curati con attenzione.
Ma si devono registrare anche altre anomalie. L'ingresso si trova nell’angolo di un anfratto roccioso, mentre di solito si apre in una parte in vista. Lo spessore della roccia sopra l’ipogeo è troppo sottile, tanto che, nella cella di sinistra, la piccolissima volta è crollata, non si sa bene quando. Situazioni simili non si trovano nelle tombe etrusche, dove i costruttori si preoccupavano di garantire la solidità degli edifici, perché per gli Etruschi la tomba era la casa dell'eternità.
Lascia perplessi l'esistenza di una specie di corrimano, presente in tutti gli ambienti a un’altezza di circa 115 centimetri. A che scopo fu scolpito un corrimano in una tomba?
Inspiegabile anche l'esistenza di quattro piccole cavità nella parete, che sembrano destinate a ospitare le estremità delle travi lignee di un macchinario. A che scopo in una tomba esisteva un macchinario?
Nella sua analisi dell'ipogeo il professore giunge a questa conclusione: «Le anomalie riportate sono tutte importanti. La loro compresenza in un unico monumento, pur tenendo presente che vi possano essere sempre delle eccezioni rispetto alla norma, sono tali che dovremmo ammettere di trovarci davanti a qualcosa di assolutamente eccezionale rispetto a quanto conosciamo sugli Etruschi dopo 250 anni di scoperte e di scavi».
LE MIRABILI INCISIONI
Il prof. Donati si pronuncia anche sulle incisioni nelle pareti, che parvero "interessanti" a Zecchini e addirittura "mirabili" a Centauro. Sull'argomento Zecchini compose un saggio per illustrare gli effetti prodotti dalla punta del piccone, riferendo la sua esperienza personale di quando, giovanissimo, "zappava" le cote granitiche delle campagne di famiglia.
Scrive il prof. Donati: «Quanto alle migliaia di incisioni che compaiono sulle pareti, non ho difficoltà a ricondurle alla “semplicistica” spiegazione della casualità con cui venivano manovrati gli strumenti per scavare, non ravvisandoci nessuno di quegli elementi chiari e coerenti con cui si presentano i simboli etruschi che conosciamo».
L'articolo del professore esclude che possano essere disegni «decorativi». Non esiste nessuna affinità con i simboli etruschi presenti in altre tombe. Le incisioni di Marciana sono i segni lasciati dai picconi e dagli scalpelli usati per scavare la grotta.
E questo è l'abbaglio più clamoroso e divertente in cui sono caduti i tifosi della "tomba".
In conclusione, lo Zecchini e i suoi seguaci conoscevano il testo della relazione del prof. Donati da oltre un anno. Però non hanno saputo replicare.
Un silenzio eloquente: l'articolo del prof. Donati mette dunque la parola fine all'ipotesi della tomba etrusca.
Restano senza risposta molti interrogativi. Da chi fu scavata la grotta? In quale epoca fu scavata e per quale scopo? Ma questa è un'altra storia. Una storia diversa, che non riguarda gli Etruschi.
Gian Piero Berti