Diletti lettori vorrei inziare stanotte a sproloquiare trattando di Aurelius Augustinus Hipponensis, nato a Tagaste (odierna Algeria) nel 354 e deceduto in Ippona nel 430, ed ai più noto come Sant'Agostino da Ippona.
Egli era un cittadino romano - benché di razza berbera - e per farla breve, consacrando la sua vita al Signore scalò le alte gerarchie del nascente cristianesimo, influenzandone la crescita e la diffusione, con le sue opere, proponendo letture ed interpretazioni geniali dei sacri testi, tanto da essere definito "Dottore della Chiesa", restando nei secoli uno dei cardini filosofici del cristianesimo, e pure venerato, considerato e studiato nel mondo islamico.
Un lungo periodo lo trascorse a Milano, dove per fortuna all'epoca ancora non dettava legge alcun Caius Salvinus Fasciopadanus, che sicuramente avrebbe cacciato a calci in culo quel nordafricano migrante (ancor più infido per gli occhi chiari della sua razza) che veniva a rubare il lavoro ai nostri vescovi, cardinali e santi.
Una mattina di molti anni fa Nunzio Marotti (profondo conoscitore della storia cristiana), prendendo proprio spunto da un manifesto elettorale della nostalgica destra, che riportava una frase del nostro Dottore: "Guardati da colui che ha letto un solo libro...", ridacchiò per la cantonata presa dai "neri", che onestamente avrei preso anche io, spiegandomi la corretta esegesi di quella sentenza che non era: "non confonderti con uno che è così limitato da aver letto un solo libro", bensì "Fai attenzione in una disputa con chi ha letto un solo libro, per tutta la vita, se di ciò che vi è contenuto si ragiona, poiché egli lo conoscerà così bene da sovrastarti"
Mentre l'Assessore va a prendere un optalidon per il surmenage meningeo a cui lo ho crudelmente sottoposto, riprendo il filo del ragionamento, ricordando che la corretta interpretazione mi provocò un po' di delusione, perché avevo già pensato a continuare la frase: "Mi guardo da colui che ha letto un solo libro, figuriamoci da te che non ne hai letto nemmeno mezzo!"
Notevole il berbero comunque, pensate che rivolgendosi ai governanti 1700 anni fa, se ne usciva con la seguente scudisciata: “Se non è rispettata la giustizia, che cosa sono gli Stati se non delle grandi bande di ladri?” sembra scritta oggi e, ho purtroppo l'impressione, anche domani.
Orbene menandola con il filosofo Agostino vi ho condotto a riprendere un ragionamento che si è dipanato negli ultimi giorni su queste pagine, muovendo da una triste circostanza, sulla scuola e sulla sua importanza, sulla cultura e sulla sua importanza.
Ad un filosofo fu chiesto da uno studente: "A che mi serve studiare la filosofia?" la risposta secca che ne ebbe fu: "A non fare una domanda come questa".
Applichiamo lo stesso semplice, ma non semplicistico, schema ad un'altra categoria: "A che serve che i singoli cittadini si interessino di politica?" In questo caso la risposta è: "A far si che sappiano elaborare in autonomia una loro risposta alle domande della politica, senza bisogno di Guru, Capataz, Maggiorenti, Capibastone a dettare la linea, ed ai quali delegare, o peggio ancora, per i quali tifare".
E ancora in questa ottica: "A cosa servono scuola e cultura?" Chiaro: "Ad acquisire gli strumenti necessari per esercitare l'autonomia, che significa criticare, mettere in discussione le convinzioni degli altri, ma pure le proprie".
Tutto ciò con mente aperta, ricordando uno slogan che apparve sui muri di Parigi mezzo secolo fa: "Sbottonate il vostro cervello con la stessa frequenza con cui vi sbottonate i pantaloni" Noi avremmo dettto: "con cui aprite la pistagna", se non suona troppo sessista.
Stringi stringi, semplifica semplifica, emerge che la scuola, la vera buona scuola, e la cultura, sono il più importante dei ponti che ci collegano alla democrazia e alla libertà.
E tornando ad Agostino, parafrasandolo: "Se - come accade da troppo tempo in questo paese - non si realizza una giustizia culturale ed educativa, non si investe in sapere diffuso, cosa è lo Stato se non una banda di ladri di libertà e di futuro?"