Mentre il legislatore britannico sta predisponendo l’iter attraverso il quale dare seguito al risultato del referendum Brexit, credo doveroso, per il legislatore italiano, dare a sua volta corpo ad alcuni provvedimenti di, diciamo così, reciprocità non ostile ma equilibratrice.
Un atto giuridico sembra, se non altro, improcrastinabile, visto l’effetto deleterio che ha avuto nell’ultimo cinquantennio una certa forma di ottusa dipendenza manifestata dai nostrani parvenu nei confronti di una supposta anche se mai dimostrata superiorità non solo culturale ma addirittura botanica dei cugini d’oltremanica.
Il primo e liberatorio articolo del corpus di provvedimenti che nel futuro può ripristinare la pari dignità nel confronto con il popolo anglosassone, per sua scelta non più europeo, il colpo di spada che affrancherà dalla servitù schiava dell’altrui coltura migliaia e migliaia di piccoli o piccolissimi proprietari terrieri, parliamo di qualche decina al massimo di metri quadri, altro non può essere che il divieto tassativo di procedere all’impianto, mantenimento, cura e manutenzione delle centinaia di migliaia di ridicoli, idrobulimici, provocatori di infarti e disarmonie familiari, pratini all’inglese che infestano la nostra bella e, d’estate, secca penisola a far data oramai dagli anni 50 del secolo ventesimo.
Il fetentissimo pratino all’inglese lasciamolo finalmente e definitivamente alle necessariamente verdi perché terribilmente piovose colline del Sussex o dove diavolo germina spontaneamente e rendiamo obbligatorio l’astenersi dallo scimmiottare, almeno nella nostra isola (i cui giardini di terra bruciata l’estate fanno risaltare i mille colori della vegetazione mediterranea), i tappeti erbosi evocatori di sterminati campi da calcio che i nuovamente lontani ex europei, figli di Albione, si devono puppare da secoli data la malinconica monotonia climatica delle loro nordiche terre.