LA ZECCA DI ELISA BONAPARTE BACIOCCHI
Intorno alla piccola grotta scavata nel granito sotto la casa marcianese dei prìncipi di Piombino si sono rincorse ipotesi molto diverse. Gli abitanti del paese la conoscono come la zecca degli Appiani: ma uno degli amici di Zecchini ha spiegato che a Marciana una casa degli Appiani non c'è mai stata.
Un architetto della Soprintendenza di Pisa ha pensato a una neviera. Per altri era forse una cisterna al servizio della piccola dimora estiva dei Sovrani di Piombino.
Fra le notizie più sorprendenti c'è perfino quella che non solo la zecca esisteva e funzionava, ma che sarebbero stati eseguiti lavori per ingrandire lo spazio necessario alle sue alacri attività proprio negli anni in cui l'Elba apparteneva a Elisa Bonaparte Baciocchi, principessa di Lucca e Piombino e granduchessa di Toscana, o al suo imperiale fratello Napoleone. Questa informazione è riportata nella pagina 85 (quinto rigo) del libro del dott. Zecchini, dove si legge che i lavori furono eseguiti nel Settecento o nell'Ottocento.
Nell'Ottocento? Non riesco a capire a chi potesse venire in mente di ampliare la zecca di Marciana all'inizio dell'Ottocento.
L'Elba aveva appena conosciuto gli sconquassi delle campagne d'Italia di Napoleone, l'occupazione degli Inglesi e l'annessione diretta alla Francia. E poi è noto che all'inizio dell'Ottocento le monete di Lucca e Piombino non erano coniate all'Elba ma a Firenze. A quali fonti storiche Zecchini aveva attinto la ghiotta notizia?
INVERSIONE DI MARCIA
Però nel gennaio 2016, Zecchini passò al fronte opposto, ripudiando le proprie convinzioni e elencando addirittura venti argomenti − da lui definiti "pesanti" − contro la tesi che lui stesso aveva avanzato pochi mesi prima.
Si discute molto, in questi giorni, di fake news, notiziespazzatura, bufale, «post notizie».
Nessuno oserebbe pensare che uno Studioso come il dott. Zecchini avesse inserito nel suo libro una notizia fasulla. Se ha parlato di lavori di ampliamento della zecca nell'Ottocento, di sicuro aveva in mano un documento inoppugnabile.
Perciò non riesco a trovare una spiegazione razionale per l'inversione di rotta di 180 gradi, che lo ha portato a smentire la notizia data nel suo libro.
«L'ISOLA DEGLI IGNORANTI»
Per quel poco che ne so io, la notizia di un ampliamento della zecca nell'Ottocento appare incompatibile con le vicende storiche di quegli anni.
Mi chiedo quali parole userebbe Zecchini se fossi stato io − anziché lui − a collocare nell'Ottocento la data di quei lavori.
Ho visto come ha reagito quando − finalmente − ha trovato in un mio articolo un errore di geologia. Dopo mesi di silenzio, sùbito ha ripreso fiato. Addirittura ha argomentato che un insegnante di storia e di filosofia ha il dovere professionale di intendersi anche di granito e di tufo: e invece io − lo devo ammettere − non ho mai parlato di tufo e granito con i miei studenti. E non ho difficoltà a riconoscere che non so nulla non solo di geologia, ma di tante altre importanti discipline.
Purtroppo onniscienti non si diventa: onniscienti si nasce. Un privilegio che capita a pochi: uno o due per millennio.
A me non è capitato, né mi sono mai atteggiato a Docente Universitario che spazia su tutto lo scibile umano, dal catechismo del card. Ratzinger fino ai topi neri.
Mi ritornano in mente alcune frasi feroci, scritte proprio da Zecchini, per strapazzare un archeologo del gruppo Aithale, reo di aver dato una notizia sbagliata in un opuscolo turistico. Zecchini scrisse che l'opuscolo era offensivo «per l'immagine dell'Elba, che troneggerebbe come l'isola degli Ignoranti», e offensivo anche per gli stessi «elbani ai quali verrebbero indirizzati strali sarcastici e cachinni da ogni punto cardinale». Chiese che il dépliant fosse mandato al macero.
Mi posso considerare fortunato, perché a me sono toccati soltanto i "cachinni" per la mia ignoranza della filosofia del tufo.
DOPO TREDICI MESI RISPONDE AL PROF. DONATI CON UN COLLAGE
Dopo tredici mesi di meditazione, il dott. Zecchini si è deciso finalmente a rispondere ai seri dubbi che nel dicembre 2015 erano stati sollevati sull'ipogeo di Marciana da uno dei maggiori etruscologi italiani: il prof. Luigi Donati, segretario generale dell'Istituto Nazionale di Studi Etruschi ed Italici e professore emerito di Etruscologia nell'Università di Firenze.
La lunghissima risposta di Zecchini (79 pagine) è un minuzioso collage degli argomenti e spesso anche delle frasi dei suoi articoli precedenti.
Poiché delle tesi dello Zecchini mi sono occupato per un anno e mezzo, non ripeterò quanto ho già scritto. Cercherò, invece, di mettere meglio a fuoco alcuni dei temi esaminati nei mesi scorsi.
Comincerò ricapitolando gli sviluppi salienti di questa vicenda.
Dopo l'annuncio di Zecchini della sensazionale scoperta di una tomba etrusca a Marciana, un primo giudizio venne dalla Soprintendenza archeologica, che negò che la grotta di Marciana fosse una tomba etrusca.
Sollecitato a pronunciarsi attraverso la Prefettura, anche il Direttore Generale del Ministero dei beni culturali espresse un parere identico.
Successivamente nove Senatori grillini presentarono un'interrogazione scritta (Atto n. 4-05461, pubblicato il 15 marzo 2016), denunciando che una pulizia radicale della grotta per iniziativa del Comune di Marciana aveva distrutto e disperso uno strato di ottanta centimetri di "terriccio etrusco", che conteneva preziose testimonianze storiche. I senatori chiedevano anche la nomina di una Commissione internazionale, che emettesse il verdetto definitivo sulla tomba etrusca.
La risposta scritta del Governo italiano all'interrogazione dei nove Senatori venne il 2 agosto 2016 dal Sottosegretario di Stato del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo A. Cesaro, il quale confermò il giudizio degli Archeologi del ministero e presentò le fotografie scattate nel 1979 dal prof. Torroni, allora direttore del Museo archeologico di Marciana, che dimostrano che di quel terriccio non c'era traccia già quarant'anni fa.
L'on. Cesaro non accennò nemmeno alla creazione di una Commissione Internazionale d'appello.
A queste prese di posizione delle Istituzioni competenti si è aggiunta anche l'opinione di un docente universitario autorevole come il prof. Luigi Donati, che parla di "aporìe", cioè contraddizioni, della tesi di Zecchini.
Soprintendenza, Governo, Università: tutti concordi nel giudicare priva di fondamento la «scoperta» della tomba etrusca nel seminterrato di Marciana.
Anche nelle 79 pagine del memoriale dello Zecchini c'è la cronistoria di queste vicende. Con una differenza sorprendente: Zecchini non dedica neppure una parola all'iniziativa parlamentare dei nove Senatori e all'esistenza di due documentazioni fotografiche (quella del prof. Torroni e quella dell'architetto direttore dei lavori) che smentiscono la "bufala" dello strato di terriccio plurimillenario.
Un silenzio che non so come interpretare. L'interrogazione parlamentare di nove Senatori e la risposta del rappresentante del Governo della Repubblica non possono essere ignorate alla stregua di uno dei miei articoletti.
I «PESANTI» ARGOMENTI LOGICI CONTRO LA ZECCA
Nelle 79 pagine della risposta dello Zecchini salta agli occhi che la logica non è sempre rispettata. Non mi riferisco alla Logica formale, che Zecchini conosce così come io conosco la Geologia o il cinese mandarino.
Mi riferisco alle regole logiche del linguaggio quotidiano che si usa in famiglia, al bar, nel posto di lavoro.
Vediamo qualche esempio.
Zecchini continua a sostenere la sua tesi della tomba etrusca, adducendo però un'unica prova: la pianta cruciforme. Eppure è chiaro che, da sola, la somiglianza della planimetria non è sufficiente: occorrerebbe il riscontro di qualche altro elemento come manufatti tipici del corredo funebre, epìgrafi, pitture, fonti storiche, sito.
Ho scritto di recente che anche le grotte vaticane sono una tomba sotterranea con pianta crociforme: ma ciò non basta per definirle tombe etrusche. Neppure il mio piccolo cane westy si può definire un elefante, benché anche lui sia un mammifero con quattro gambe, una testa, due occhi, una coda.
Altre sviste logiche si trovano fra i venti argomenti elencati contro l'esistenza di una zecca a Marciana.
Zecchini sostiene che l'assenza di monetine e di attrezzi tipici delle zecche, come punzoni e mantici, dimostrerebbe che la zecca non è mai esistita. Tutti capiscono che invece questa assenza non «dimostra» nulla: se nella grotta non ci sono monete e punzoni, la spiegazione potrebbe essere che qualcuno li ha portati via nei secoli passati.
Molto simile è l'argomentazione che la zecca non è mai esistita, perché non si conosce neppure una monetina prodotta a Marciana. Nessuno sa quali segni dovrebbero distinguere le monete coniate a Marciana da quelle coniate a Piombino, anche perché non sono noti neppure i segni "particolari" presenti nelle monete piombinesi. In realtà l’uso di identificare le officine monetarie con un segno distintivo valeva per i grandi stati, come Spagna, Francia, Impero: il piccolissimo principato di Piombino non rientrava certo in questa categoria.
Una regola logica vuole che da premesse tutte negative non si possa "dedurre" niente.
IL PARADOSSO DEL CRETESE
Una delle testimonianze dell'esistenza di una zecca a Marciana si trova in una relazione che un ecclesiastico elbano, Lorenzo Taddei Castelli, redasse nel 1814, per informare sulle condizioni dell'isola l'arcivescovo di Siena, di cui il vescovo di Massa Marittima era suffragàneo. Ecco come Zecchini si sbarazza di questa testimonianza, che per lui è scomoda.
In un'altra parte della stessa relazione il Taddei Castelli riporta una notizia sbagliata sul Maciarello (che è una località vicina a Marciana). Zecchini sostiene che, se Taddei Castelli ha sbagliato sul Maciarello, di necessità è priva di valore anche la notizia sulla zecca: insomma il Taddei Castelli − incaricato di informare il vescovo metropolita di Siena − mentiva sempre, come il Cretese del celebre paradosso.
Ma la notizia infondata sul Maciarello non impedisce che la notizia sulla zecca possa essere vera. Zecchini dovrebbe sapere che le opere degli storici antichi sono zeppe di leggende, ma forniscono fondamentali notizie autentiche.
È illogica anche la pretesa che, se si riesce a dimostrare che l'ipogeo non è né zecca, nè cisterna, né neviera, allora, di necessità, sarebbe dimostrata la quarta ipotesi: quella della tomba etrusca. Questo "ragionamento per esclusione dell'assurdo" (che si usa, per esempio, in geometria) sarebbe corretto soltanto se si dimostrasse che non esistono altre ipotesi possibili. Nel nostro caso, tale premessa è indimostrabile.
Devo costatare che c'è anche una novità positiva: nel collage non viene più riportata l'inconsistente argomentazione del prodigioso occhio numismatico dello Zanetti.
FOTOGRAFIE DI TOMBE SARDE
La più rilevante delle obiezioni formulate dal prof. Donati contro l'ipotesi della tomba etrusca concerneva il tipo di roccia in cui la grotta di Marciana è stata scavata.
Nella sua lunga esperienza di archeologo (iniziata nella prestigiosa Scuola Archeologica Italiana di Atene) e di docente universitario di Etruscologia, il prof. Donati non ha mai avuto notizia di tombe o pozzi o cisterne scavati dagli Etruschi in rocce «durissime» come il granito. Perciò non è credibile che la grotta di Marciana − scavata nel granito − sia etrusca.
Come risponde Zecchini? Con le foto di tre tombe esistenti in Sardegna.
In Sardegna?
Perché Zecchini non ha pubblicato fotografie di tombe etrusche, ma ha preferito ricorrere alle fotografie di tre tombe nuragiche della Sardegna?
C'è un motivo evidente: fra le molte migliaia di tombe sicuramente etrusche Zecchini non è riuscito a trovare neppure una tomba scavata in rocce classificate come «durissime» o «dure» nella scala di Knoop. Dunque Zecchini ammette implicitamente che ha ragione il prof. Donati: gli Etruschi evitavano di scavare tombe, pozzi e cisterne nel granito o in altre rocce molto dure. Si comportavano così per un'ovvia motivazione economica: se si scava nelle rocce meno dure, si risparmiano tempo e fatica.
«FORSE NON PRIVA DI INFLUSSI SARDI»
Non potendo replicare con argomentazioni pertinenti, Zecchini ricorre a una mossa tatticamente molto abile: l'apertura di un secondo fronte: il fronte delle tombe sarde.
Per lui la grotta di Marciana è una tomba etrusca che più etrusca non si può. C'è un «però»: quella piccola grotta gli appare «forse non priva di influssi sardi».
Intanto con l'avverbio «forse» Zecchini mette le mani avanti: dice e non dice: "qui lo affermo e qui lo nego". È l'antica sapienza italica di tenersi al coperto per ogni evenienza.
La grotta è, sì, arcietrusca. E tuttavia, nello stesso tempo, è «non priva» di elementi peculiari della «tipologia» sarda.
In che consistano questi «influssi sardi» Zecchini non spiega. Né chiarisce perché soltanto ora accenna alla civiltà nuragica e all'architettura etruscosarda, di cui finora non aveva mai parlato nel corso di due anni.
È chiaro che, segnalando la presenza di influssi sardi, Zecchini si sente autorizzato a usare le foto di tre tombe sarde, che, per sé, nella disputa sulle tombe etrusche ci stanno come il cavolo a merenda.
Immagino già che il dott. Zecchini spiegherà che il prof. Pittau ipotizza che fra Etruschi e Sardi intercorrevano ancestrali rapporti di parentela e che entrambi i popoli provenivano − forse − dalla Lidia… E dunque potrebbe esistere qualche affinità anche nei riti funebri.
Non mi avventurerò a parlare degli ipotetici legami di sangue fra Etruschi e Sardi che si perdono nella notte dei tempi.
Atteniamoci ai fatti.
È inoppugnabile che gli Etruschi e i Sardi erano popoli distinti.
È altrettanto inoppugnabile che − dalle colonie etrusche della Campania a quelle della pianura padana − gli Etruschi hanno costruito le tombe non attenendosi a un unico modello, ma secondo «tipologie» molto diverse tra loro: però tra migliaia e migliaia di tombe etrusche, non ce n'è nemmeno una scavata nel granito o in altre rocce "durissime".
E quando gli Etruschi preferivano non scavare, conoscevano perfettamente le tecniche della muratura e le impiegavano anche nell'architettura funeraria. E se a Marciana non esiste il tufo, non per questo restava l'unica alternativa di scavare per anni una grotta nel granito. Gli etruschi marcianesi potevano costruire una tomba in muratura con blocchi di pietra, come molto spesso hanno fatto altri Etruschi.
TOH CHI SI RIVEDE: LA TIPOLOGIA
Per riconoscere l'architettura etrusco-sarda, Zecchini ha usato l'analisi tipologica (evitando però accuratamente di spiegare i passaggi logici del suo ragionamento).
Vorrei chiarire che io non ho nulla contro l'analisi tipologica, che è un metodo assolutamente serio e necessario, ma che si presta anche a catastrofiche − e dolorose − cantonate.
Però, quando sento la parola "tipologia", in me scatta un riflesso pavloviano, che mi fa pensare agli attestati di autenticità tributati alle false teste di Modigliani, "scolpite" da tre studenti di un liceo scientifico di Livorno con un trapano elettrico e una smerigliatrice angolare (il popolare "frullino").
Mi vengono in mente i graffiti etruschi di Pino Fabbri, la carta geografica etrusca incisa sulla roccia, la silhouette medievale di un ghiozzo che sarebbe l'indizio sicuro dell'esistenza di un intero monastero, l'ippodromo sotterraneo di Castruccio Castracani…
Forse perfino una persona totalmente incompetente come me si sarebbe accorta che i graffiti di Pino Fabbri non potevano essere etruschi: troppo nitidi per essere reduci da venticinque secoli di esposizione a sole, gelo, pioggia, vento.
L'ORIENTAMENTO ASTRONOMICO DELLA GROTTA
Dopo l'articolo del prof. Donati, l'ipotesi della tomba decade per manifesta incompatibilità con la «tipologia» delle tombe etrusche. Le polemiche di questi anni sono giunte a una definitiva conclusione. Parafrasando il quarto vangelo, talora succede che chi di tipologia ferisce, di tipologia perisce.
La grotta sembra dunque un locale di servizio per la casa: lo scantinato è stato scavato sotto la casa e era collegato al resto della casa attraverso aperture che poi furono tamponate, come Zecchini stesso segnala.
Zecchini scrive che il toponimo "tomba" sarebbe sorto per la consapevolezza (poi venuta meno) che quella era una tomba antica. Ma allora dobbiamo chiederci a quale scopo i Principi Appiani o Boncompagni Ludovisi oppure il loro fiduciario Bernottus avrebbero creato un collegamento tra l'abitazione e l'ambiente sotterraneo che conoscevano come tomba.
Alla pagina 99 del suo libro Zecchini mostra un disegno che sarebbe un'altra prova della sua tesi: l'asse dell'ipogeo avrebbe, nella volta celeste, un preciso orientamento, di cui la religione etrusca fornisce una spiegazione. Zecchini ci dà anche la misura esatta: 315 gradi. Un'esattezza che mi ha impressionato.
Poi, però, ho confrontato il disegno della pagina 99 con quello della pagina 82. E ho scoperto che lo scantinato è parallelo − perfettamente parallelo − agli altri scantinati dell'edificio. I miei amici hanno visitato le stanze dei piani superiori e mi dicono che sono costruite con lo stesso orientamento.
Se l'orientamento dell'ipogeo proviene dalla visione astronomica e religiosa degli Etruschi, allora è etrusca tutta la casa degli Appiani. E sono etrusche anche le case vicine, perché hanno un asse simile, come mostra il disegno della pag.82.
Un orientamento identico si osserva in tutta quella parte del paese, dove molte case sono allineate lungo strade parallele che seguono l'andamento delle curve di livello della montagna: se ne deve dedurre che all'astronomia etrusca si ispirarono non solo i muratori che costruirono le case, ma anche le forze endogene della tettonica.
La mia opinione di ignorante uomo della strada, che non sa nulla né di tufo né di altro, è che il racconto dell'orientamento celeste è pura poesia: "vaghe stelle dell'Orsa...
ARCHEOLOGIA ETIMOLOGICA
Non vi sono dubbi che in queste valli marcianesi gli Etruschi, di cui noi siamo i lontani nipoti, vissero e morirono e furono sepolti in tombe che, prima o poi, qualcuno ritroverà. Forse erano lavoratori modesti: e perciò ebbero tombe modeste, con suppellettili anch'esse modeste, destinate a essere conservate in qualche cassa nei depositi dei musei.
Ma io spero che, nelle sue ronde indefesse per i viottoli del monte CapanneCampana, il sindaco Ciumei un giorno si imbatta in una tomba con un corredo splendido, come quello della tomba Regolini Galassi: un corredo destinato a entrare nell'immaginario collettivo dell'Umanità al pari della maschera di Agamennone o di quella di Tutankhamon.
Per legge, questo corredo sarà esposto nel museo archeologico di Marciana, per la gioia degli archeologi e dei turisti.
Però, intanto, abbiamo visto sciorinare davanti ai nostri occhi una ricerca archeologica che non si fonda sui risultati materiali di campagne di scavi, ma su etimologie costruite a orecchio, sfruttando ingegnose ma labili assonanze.
Applicando il metodo dell'etimologia orecchiata, sono stati inventati dal nulla un re Marcinna, una metropoli che inviava colonie in giro per l'Italia e il più grande emporio dell'antichità (dotato dell'acropoli del Chiùccolo, ma privo di un porto).
E per queste scoperte archeologiche − in cui si attribuisce un valore probante a evanescenti somiglianze di suoni fra Marciana, Marcina e Marcinna − si doveva chiedere all'UNESCO il riconoscimento di sito Patrimonio dell'Umanità.
Ma purtroppo c'è stato un intoppo: la «tomba etrusca» si trova nel Comune di Marciana e così − per una banale questione di competenza territoriale − l'operazione «UNESCO sicuro» è affondata ancor prima del varo.
Le gravi perdite − per la cultura patria, s'intende − hanno provocato un dolore lancinante e una reazione stizzita. E l'eco degli alti lai ha oltrepassato perfino le ovattate mura della loggia.
Gian Piero Berti