La storia viaggia sul filo della memoria. Ci sono storie che nonostante il trascorrere del tempo, rimangono sempre vive, come se fossero accadute il giorno prima.
Il 25 agosto di trent’anni fa era una giornata assolata e tranquilla. L’Elba faceva il pieno di turisti e la stanchezza degli operatori, accumulata nella calura estiva, aspettava settembre per cominciare a respirare e prepararsi alla lunga stagione autunnale/invernale. La vita dentro il carcere di Porto Azzurro trascorreva nella più assoluta serenità. Più della metà dei reclusi lavorava nella svariate attività presenti all’interno dell’Istituto: falegnami, tessitori, sarti, calzolai, tipografi, meccanici, lavandai ecc. Il direttore Mino Giordano, rendeva operativa la riforma Gozzini, nata, in qualche modo, a Porto Azzurro: carcere aperto al trattamento più avanzato; detenuti liberi di circolare all’interno dello stabilimento.
Mille iniziative. Si organizzavano concerti di Lucio Dalla, Francesco Guccini e tanti altri giovani artisti Elbani. Insomma, una situazione ottimale, dal punto di vista della sicurezza interna, nel rapporto con le altre Istituzioni locali e nei paesi elbani, attraversati da detenuti al lavoro all’esterno. Niente poteva fare immaginare che quel giorno sarebbe stato ricordato come l’inizio di un cambiamento nella memoria collettiva dell’intera comunità isolana.
Quella mattina, inaspettatamente, sei detenuti ergastolani capeggiati dal fascista Mario Tuti sequestrano il direttore Giordano, il comandante Munno, il medico Carlotti, l’infermiere Colandrea, l’assistente sociale Giazzi, lo psicologo Antonelli e i sedici appartenenti al corpo degli agenti di custodia (come si denominavano allora) Antonio Matta, Sebastiano De Muro, Valentino Spensatello, Adriano Argiolas, Enrico Vargiù, tutti e cinque sardi; Luciano Baffoni, Andrea Milani, Luciano Buono, Albano Garramone, Giampaolo Galletti, Pierpaolo Mariani, di Porto Azzurro; Carmine Compagnone e Antonio Fedele originari della Campania; Carlo De Miceli siciliano; Ugo Roberto Cardia e Salvatore Cipriano. E infine i detenuti 11 detenuti. Li ho voluti ricordare tutti per rendere onore al coraggio e alla forza d’animo che hanno dimostrato quegli operatori della giustizia nell’adempimento del proprio dovere.
Volevano evadere dal carcere a tutti i costi. Erano ergastolani e non avevano nulla da perdere.
La paura era calata prepotentemente, visibile nei volti dei familiari, degli amici, dei colleghi.
Insieme al capo della segreteria Adriano Martorella, dovemmo organizzare in tempi rapidissimi tutto: comunicazioni alle autorità, Ministero della Giustizia, Procura della Repubblica, forze dell’ordine. Poi, non esistendo i telefoni cellulari mi toccò correre in paese, con la mia fiat 127 azzurrina, nella ricerca del vice comandante Mario Palazzo, quel giorno in ferie. Lo trovai nella piazza principale del paese mentre passeggiava con l’ex comandante del carcere di Porto Azzurro Mascioli, trasferito nel frattempo a Pisa. Le mie prime parole furono queste: “Mario, sali subito che su è successo un casino”.
I detenuti volevano un elicottero con cui scappare. Il sindaco Maurizio Papi, pur di salvare gli ostaggi, era a favore della linea del cedimento alle richieste dei detenuti. Per questo fu sospeso per due mesi dall’incarico.
Una settimana di ansia e di paura, soprattutto per i familiari dei sequestrati. La comunità locale e nazionale scossa da un evento impensabile.
Erano giorni in cui non bisognava cedere alla rassegnazione; giorni frenetici alla ricerca di una soluzione in grado di salvare la vita (perché di questo si trattava) ai sequestrati. Si scontravano due linee diverse di intervento: l’azione di forza che poteva provocare vittime; la trattativa, più nei tempi lunga, ma che poteva evitare inutili spargimento di sangue. Di notte però si temeva un blitz da parte dei reparti speciali della polizia e delle forze armate. Si studiavano piani operativi per entrare dentro l’infermeria, dove erano rinchiusi gli ostaggi. Vedevo tracciare linee e schemi che facevano temere il peggio. Il dirigente generale, allora capo del personale Raffaele Ciccotti, intervenuto immediatamente perché si trovava in ferie a Porto Azzurro, mi disse: “lei è Ragioniere Capo dell’Istituto, stia qui come vice direttore non si muova e riferisca tutto quello che stanno tramando questi Signori" (era riferito ai duri che preparavano il blitz). Per fortuna prevalse la ragionevolezza e, mentre passavano i giorni, si allontanava la soluzione di forza in favore della trattativa. Fu il direttore Giordano a trovare la soluzione scritta, peraltro, nella riforma: concedere alcuni benefici previsti dalla "Legge Gozzini"; un trattamento penitenziario non punitivo; la possibilità di applicazione dell'art. 21 della legge penitenziaria e degli altri benefici (permessi premio, libertà condizionale, semilibertà). Nelle frenetiche trattative di quei giorni, Giordano pur nella paura del momento, ebbe quindi un ruolo fondamentale, sia nel trovare la soluzione approvata da tutti, sia come punto di riferimento sicuro per gli altri ostaggi.
Ci sono momenti particolari nella vita delle persone in cui viene fuori il peggio o il meglio di se stessi. In certe circostanze estreme, non si può dire a priori come ci si può comportare. In questo caso posso dire che è venuto fuori il meglio di quelle persone: la forza di volontà che non cede alla disperazione, la tenace ricerca di perseguire sino alla fine la via pacifica.
Il primo settembre del 1987 è stata la seconda Festa della Liberazione ed era il mio compleanno, festeggiato come meglio non si poteva.
Sono passati trent’anni, ma è appena ieri.
Salvatore Insalaco