Quando uno coltiva troppi interessi e si fa trasportare dalle passioni, raramente riesce a portare a termine qualcosa di apprezzabile e apprezzato.
Io ho vissuto e lavorato (tantissimo) così, in maniera un po' passionale e sgangherata, ed a posteriori mi son ritrovato spesso a dire - senza frignare sui treni perduti, i fiori non colti - "Però avrei anche potuto...".
Alcune (non moltissime) cose fatte, comunque le salvo, e tra queste di una posso dire di essere perfino orgoglioso.
Ciò di cui (in cuor mio) vado più fiero, è aver fatto teatro con gruppo di fantastici ragazzi elbani nella prima metà degli anni '80.
Per più di cinque anni ho fatto da fratello maggiore ad un insieme "mobile e variabile" che per mesi si trovava a inventare a provare a discutere, cantare, suonare, ballare, piangere, ridere, litigare, innamorarsi e a crescere, crescendo bene.
Tutto di norma poi veniva "bruciato" in poche apparizioni sui palcoscenici estivi, ma tutti avvertivano che lo stare insieme nelle serate invernali e primaverili, era più importante del prodotto finale, sia pure offerto con l'anima e col massimo impegno.
Sono stati tanti, belli e bravi gli "Alfredini", che poi sono andati per il mondo a fare diversissime cose, come donne e uomini realizzati, da bravi cittadini, perché così era giusto che fosse.
Li ho sempre "seguiti" continuando a pensarli - tutti - un po' i "miei" ragazzi.
Due giorni fa se ne è andata una delle "mie" ragazze, non è stata purtroppo la prima a smarcare il suo nome dalle locandine degli Alfredini, già Serenella e Stefano ci avevano anzitempo lasciati, ma l'irrazionale cattiveria della vita si fa ancora più lacerantemente sentire, mentre prendo atto che non c'è più Elisabetta, la più piccola di tutti, quel pulcino con gli occhi incredibilmente grandi e pieni di luce, che ancora prima di recitare ronzava intorno a sua sorella Francesca, che provava.
Era acutamente intelligente e spiritosa quella bimba, ed era un ottimo "indicatore"; noi ci ripromettevamo sempre di divertirci e divertire e la sua sonora risata era una garanzia della giustezza della battuta, del movimento azzeccato.
Ma di Elisabetta - cresciuta - ho ancora un ricordo diverso, che oggi suona crudelmente paradossale: una breve chiacchierata a seguito di un fortuito incontro ferajese, in un tempo in cui il suo vero male ancora non l'aveva sfiorata, una chiaccherata nella quale io le parlavo del mio disagio, del mio immaginario male, un "lamento ipocondriaco" che Betta demolì semplicemente alla sua maniera, prendendomi affettuosamente per il culo, finendo per farmi ridere.. "... sai per quanti anni e anni ci starai tra le palle... per quanto ti si dovra' sopportà!" fu il suggello.
Non è andata così carissima Elisabetta, purtroppo sono io a dovermi ricordare di te, e non viceversa, come l'ordine naturale delle cose avrebbe dovuto dettare, e non è giusto.
Non ci sarò tra qualche ora a San Piero a salutarti, non sarò presente se non in spirito, ma credo che mi giustificherai, ho trascorso tutta la notte a scrivere questo breve pezzo diventato infinito perché percorso a ritmo doloroso, rileggendo cento volte ogni frase.
Non ci sarò, e da qui mi viene in mente di dirti che noi tutti siamo anche il prodotto dei nostri incontri, gli altri ci completano, ci cambiano, e quando sono persone come te, positive, curiose, aperte al mondo, ci arricchiscono.
Non ci sarò, ma ci saranno anche per me - se mi permettono di tornare a definirli così - i "miei" ragazzi, insieme a tanta altra gente che ti ha voluto e ti vuole il bene che ti meriti.
sergio