QUATTRO ALLEGRE SCOPERTE «SCIIIENTIFICHE»
SCOPERTA SCIENTIFICA NUMERO 1: IL «CATONE» FRANCESE
Zecchini si atteggia a giudice inappellabile della scientificità dei lavori degli altri: dalla mostra fotografica, agli scavi archeologici di San Giovanni. È l'Arbiter scientiarum: l'arbitro delle scienze..
Perciò oggi esaminerò quattro delle scoperte scientifiche, che sono esposte nel suo famoso libro.
Alla pagina 61 si parla dell'etimologia del nome "Cotone": il dott. Zecchini scrive che «secondo l’interpretazione scientificamente più valida, il toponimo deriva dall’etrusco Cothu / Cathu».
La scogliera del «Cotone» prenderebbe il suo nome dal nome di una famiglia etrusca, della cui esistenza non esiste nessuna traccia. La famiglia si sarebbe chiamata Cothu o Cathu (ma a pagina 157, Zecchini si confonde e sostituisce Cathu con Cuthu). L'abitazione della famiglia si sarebbe trovata nei pressi della scogliera. Insomma una famiglia, un nome e una casa completamente inventati.
Questo è un altro caso di archeologia per etimologia: Cathu - Cothu - Cuthu - Catone - Cotone. Si ripete il collaudato modello "Marciana - Marcinna - Marcina": l'etimologia per mezzo della più disinvolta fantasia.
A convalida della scientificità della sua ipotesi, Zecchini riesce a trovare anche una "prova".
E che prova!
Scrive infatti: «si veda la variante Catone in una carta francese della fine del XVIII secolo».
In quella carta geografica la scogliera è chiamata «Cap Catone»: capo Catone o, se preferite, punta del Catone.
Perché il cartografo ha scritto il nome con la vocale «a»? Zecchini è convinto che «Catone» derivi da «Cathu»: dunque il cartografo sapeva che intercorre un nesso tra il nome della scogliera e il nome della fantomatica famiglia etrusca Cathu.
La "prova" è giudicata talmente risolutiva che un'immagine della carta viene riprodotta a pagina 62 del libro, come se fosse un documento tangibile, concreto: un dato di fatto assolutamente sicuro.
In realtà si tratta di un banale errore del tipografo, che ha storpiato anche altri toponimi elbani. A me sembra ridicolo che un contemporaneo di Napoleone sapesse che gli Etruschi, venti secoli prima, chiamavano «Catone» la scogliera del Cotone. Zecchini non si pone neppure il problema di spiegare come questa informazione si sarebbe tramandata in Francia attraverso venti secoli, ma non sarebbe arrivata fino a noi che di quegli Etruschi siamo i nipoti.
E come si spiegherebbe il nome della scogliera del Cotoncello? Era la seconda casa dei signori Cathu - Cothu - Cuthu?
La carta francese con «Catone» è una "prova" scientifica? Ma stiamo scherzando? Questa non è scienza: è "aria fritta".
Una riflessione identica si ripete per un'altra carta geografica, riprodotta alla pagina 41, con cui Zecchini dimostra l'esistenza di Porto Argo. La carta fu redatta nel 1624 da un cartografo fiammingo, mentre il leggendario porto degli Argonauti sarebbe stato costruito circa trenta secoli prima.
Ovvìa, Michele: non fare lo zuzzurullone. Ma cosa ci stai raccontando? Queste storielle penose, che non stanno in piedi, non se le beve nemmeno il Ciumei.
SCOPERTA SCIENTIFICA NUMERO 2: LE CONTRADDIZIONI SULLA ZECCA
Di recente il dott. Zecchini ha scritto che la zecca di Marciana non è mai esistita e che non è mai esistita nemmeno la casa marcianese degli Appiani. Sarebbero tutte chiacchiere inventate dai nostri cugini di Marciana "Alta".
Però il dott. Zecchini si era dimenticato che nel suo Libro del 2014, a pagina 85, aveva annunciato di aver scoperto che nell'edificio noto come «zecca degli Appiani» furono eseguiti lavori allo scopo di ricavare − udite, udite − «un ambiente più ampio da adibire a locale per la zecca».
Scriveva proprio così: "locale per la zecca". Dunque nel 2014 anche lui credeva all'esistenza della zecca.
Le due notizie − la zecca non è mai esistita; la zecca fu ampliata − sono insanabilmente contraddittorie.
C'è poi un'altra chicca divertente. Grazie al suo fiuto portentoso, Zecchini è riuscito a stabilire come data possibile dei lavori di ampliamento della zecca il XIX secolo. Ma chi conosce le vicende storiche in età napoleonica capisce subito che la datazione nell'Ottocento è un'assurdità scoppiettante come un fuoco di artificio: è impensabile che i Bonaparte venissero a coniare monete proprio a Marciana. A tutti capita di lasciarsi sfuggire errori: ma questo strafalcione è stato inserito in un libro di storia da uno "studioso di storia". Ahimè, non ci sono più gli "studiosi" di una volta.
I nostri compaesani più rustici parlerebbero di notizie messe in giro «a bischero sciolto».
SCOPERTA SCIENTIFICA NUMERO 3: LA CARTA GEOGRAFICA ETRUSCA
A pagina 115 del Libro vediamo la fotografia di un graffito rupestre con due cerchi e tre righe ondulate. Per Zecchini è una mappa geografica etrusca, che rappresenta il mare e le isole di Pianosa e Montecristo. Ma il disegno è interpretabile in molti altri modi: una sorgente, un nido di vipere, funghi, mele, tartarughe... E l'autore potrebbe essere un turista o un soldato di Napoleone, o un eremita medievale, o un guerriero longobardo, o un romano, o un argonauta…
Quali dati precisi autorizzano Zecchini a parlare di etruschi e di carta geografica dell'arcipelago?
E a che serviva una carta geografica incisa sul granito in cima a un monte?
In un altro libro aveva presentato alcuni graffiti, definendoli "di probabile origine etrusca". Ma in una lettera a Elbareport Pino Fabbri ha rivelato di averli tracciati lui. Dunque Zecchini − che si vantava di aver "zappato" il granito in gioventù − non è capace di riconoscere se un'incisione è recente, o se è rimasta esposta agli agenti atmosferici per più di venti secoli.
Fin troppo facile il paragone con lo scherzo livornese delle finte teste di Modigliani.
Sotto una piazza di Lucca, Zecchini scoprì un "cunicolo segreto", che sarebbe stato percorso dalla cavalleria di Castruccio Castracani. Ma per il Soprintendente si trattava di una fogna; e il sindaco Fazzi fece ricoprire il buco scavato da Zecchini.
Per l'ipogeo di Marciana, Zecchini parla di tomba etrusca del trecento avanti Cristo. Un gruppo di nove ingenui senatori grillini − evidentemente ispirati (non da Zecchini, ma da un suo amico o ex amico) − ha presentato un'interrogazione al Senato per segnalare al Ministro che il Comune aveva fatto asportare dalla "tomba" uno strato di terriccio "etrusco" dello spessore di ottanta centimetri, contenente «frammenti o reperti che potevano rivestire un interesse storico» (sic!).
Tutte frottole: il Sottosegretario Cesaro ha mostrato le fotografie, scattate nel 1979, in cui si vede il pavimento pulito, senza tracce di terriccio.
Sulla rivista "Lo Scoglio" il prof. Donati, docente di archeologia dell'Università di Firenze, ha fatto a pezzi l'ipotesi della tomba etrusca: gli Etruschi non hanno mai scavato tombe in rocce dure come il granito.
Domandiamoci se la carta geografica etrusca col mare e le isole di Pianosa e Montecristo è un dato scientificamente attendibile, oppure se si tratta di una forzatura (una "proiezione immaginaria", come scrive lui), al pari dei graffiti di Pino Fabbri e del cunicolo segreto di Castruccio Castracani…
SCOPERTA SCIENTIFICA NUMERO 4: CRONOLOGIA DELLA TORRE
A pagina 131 del libro il dott. Zecchini segnala che il sindaco Ciumei, «di concerto con l'Università di Firenze… ha da tempo attivato indagini diagnostico−stratigrafiche», allo scopo di chiarire le origini della torre. Se ho capito bene, intorno al 2010 Ciumei aveva incaricato l'arch. Centauro di avviare le «indagini diagnostico−stratigrafiche».
Ma com'era bravo quel sindaco. A pagina 11 si legge: ce ne fossero di sindaci così! Con tanto di punto esclamativo.
Ma gli elettori avevano un'opinione diversa.
Oggi − sette anni dopo l'avvio di quelle preziose «indagini» − che cosa è stato scoperto?
Purtroppo, niente.
Nel Libro (che è stato stampato nel 2014) ci sono due versioni contraddittorie tra loro. Alla pagina 136, Zecchini scrive che la data di costruzione della torre si aggira intorno al 1560, qualche anno dopo la fondazione di Cosmopoli.
Invece alla pagina 276 l'architetto Centauro ha inserito il disegno di una sezione della torre marcianese. Nella legenda del disegno, Centauro spiega che col colore giallo sono indicate le parti più antiche dell'edificio. Accanto al riquadro colorato di giallo si legge: «inizi del XV secolo - 1553». Questa struttura più antica (che sarebbe stata edificata a partire dai primi anni del 1400) comprende le fondamenta, il corpo centrale della torre e la copertura a terrazza. Secondo il disegno dell'architetto, dopo il 1553 fu integrata e rinforzata la muratura esterna.
Fra l'ipotesi di Centauro e quella di Zecchini intercorrono circa centocinquanta anni. Qual è la data «scientifica»?
Noi lettori restiamo in un grave imbarazzo: è più sciiienziato il dott. Zecchini oppure l'arch. Centauro?
Perché le «indagini diagnostico−stratigrafiche», disposte dal Ciumei, non sono servite a nulla? Quanto sono costate?
UNA CARTA DELL'ISOLA
Nella rivista "Lo Scoglio" il dott. Gentini ha pubblicato una carta dell'Elba (riprodotta alla pagina 130 del libro di Zecchini) in cui è riportata la «torre di Marciana». Nella carta è indicata anche Grassera, lo sfortunato paese distrutto dai pirati barbareschi nel 1534. Del tutto assente Cosmopoli, costruita nel 1548.
Da quella carta la nostra torre risulta anteriore alla costruzione di Cosmopoli e alla distruzione di Grassera: dunque avrebbe ragione l'arch. Centauro.
Ma a pagina 130 la carta del dott. Gentini viene "neutralizzata" dal dott. Zecchini con l'argomentazione che talora i cartografi registravano solo quello che suscitava il loro interesse.
Se qualche cartografo si è comportato così, non si può logicamente concludere che tutti i cartografi si sono sempre comportati allo stesso modo. Questo cartografo potrebbe dire la verità: perché Zecchini è sicuro che dica il falso?
A me sembra inverosimile che la carta del dott. Gentini sia successiva al 1560, perché non ha senso che sia riportato come esistente il paese di Grassera, distrutto nel 1534. Se consideriamo che, prima della rivoluzione industriale, la durata media della vita si aggirava intorno ai trent'anni, dovevano essere pochi gli elbani che verso il 1570 conservavano una memoria diretta di Grassera.
Ancora più incredibile che sia ignorata l'esistenza di Cosmopoli, che dal 1548 era una realtà di tutta evidenza.
In conclusione, sulla cronologia (e, perciò, anche sulla committenza della torre) le "certezze" del dott. Zecchini non sono comprovate da nulla.
L'atteggiamento di Zecchini di fronte alle carte geografiche è bizzarro. Si affretta a liquidare come non attendibile la carta pubblicata dal dott. Gentini, in cui un cartografo cercava di raffigurare l'Elba del proprio tempo.
Invece la carta francese col "Catone" e la carta fiamminga con Porto Argo sono da prendere per oro colato, anche se descrivono com'era l'Elba duemila o tremila anni prima.
Quale criterio segue il dott. Zecchini? È una questione di sesto senso? Lui «sente»? Anche il medium, anche la chiromante, anche la zingara che legge la mano, dànno ad intendere che «sentono». Ma questa sarebbe «scienza»?
OLTRAGGIO ALLO STEMMA
Lo Scienziato ci racconta che è andato a visitare una mostra fotografica su Marciana Marina fra l'Ottocento e il Novecento, dicendo a sé stesso: "Eccheccavolo qui si impara un sacco di cose, perciò non me la perdo" (sic).
Zecchini voleva imparare un sacco di cose sulla torre da una mostra sull'Ottocento e il Novecento.
Seguiamo la sua mirabolante argomentazione: è vero che la torre è stata costruita diversi secoli prima dell'Ottocento; però nello stemma del Comune c'è il disegno stilizzato di una torre; dunque − in ossequio al sacro Stemma − i curatori della mostra avevano l'assoluto dovere morale di occuparsi della Torre.
Zecchini entra nei dettagli, specificando che dovevano essere affrontate le questioni connesse con la cronologia e la committenza della Torre. In poche parole, Zecchini protesta perché non è stata fatta una mostra sulla torre.
Con ragionamenti simili, nelle cronache medievali si cominciava sempre da Adamo e Eva e dall'arca di Noè.
Qualora nello stemma del Comune figurasse invece una croce (come accade in 65 comuni, fra cui Pisa, Genova, Amalfi, Milano), Zecchini forse esigerebbe che una mostra sull'urbanistica tra Ottocento e Novecento comprendesse anche un riassunto dei Vangeli e un excursus sulla croce nella pittura europea.
Nei 558 comuni che nello stemma hanno una stella, dovrebbero essere esposti anche trattati di astronomia?
Stento a credere che si possa esporre un ragionamento così inconsistente e vistosamente pretestuoso. Non trovando altri argomenti, il nostro Scienziato si aggrappa alla torre. Al pensiero che la mostra sull'Ottocento e il Novecento non si occupa della cronologia e della committenza della torre, il sangue gli ribolle nelle vene. È uno scandalo: un oltraggio allo Stemma: un tradimento. Roba da fucilazione nella schiena.
Mi sorprende che il più Grande Etruscologo vivente non si sia accorto che la mostra ignora una realtà molto più importante di uno stemma araldico: la mostra non si occupa di re Marcinna, di cui tutti noi marcianesi del monte e della marina portiamo qualche cromosoma nelle cellule dei nostri corpi. Come ha potuto non accorgersene?
Mi viene un sospetto: forse alla favola di re Marcinna non ci crede nemmeno lui.
COME I DIOSCURI E I FIGLI DI ZEBEDEO
Dopo che le lunghe «indagini diagnostico−stratigrafiche», promosse dal Ciumei, non hanno prodotto nessun risultato, Zecchini pretendeva che i curatori della mostra scoprissero la verità sulla cronologia e la committenza della torre, ricorrendo forse alla palla di vetro.
È evidente che Zecchini sta recitando: il suo è un bluff. Da diversi anni gli era noto l'esito infruttuoso della ricerca condotta proprio da lui e da Centauro: una coppia celebre in tutto il mondo almeno quanto i Dioscuri o i due figli di Zebedeo.
E ora proprio Lui − col comico pretesto dell'ossequio per lo Stemma − si presenta a esigere provocatoriamente dagli altri le soluzioni che lui non ha saputo trovare.
Una bella faccia tosta.
Resto stupefatto di fronte a questo scoppiettante susseguirsi di frottole e diversivi e boiate (nel senso etimologico di «abbaiate»). Non si fa mancare nulla. Mi viene in mente che per il futuro il «consulente demoetnoantropologico» del Ciumei ha parlato perfino di sbalorditivi studi sul genoma degli aborigeni dell'isola. Un'occhiata ai nostri cognomi mostra che in tutti i paesi c'è una mescolanza eterogenea di pisani, liguri, corsi, sardi, fiorentini, spagnoli, francesi di Napoleone... Non ho capito quali siano gli aborigeni.
Di fronte alle sue alzate d'ingegno, come si fa a trattenere il riso?
E nello stesso tempo mi sento indignato, perché Zecchini continua a giudicarci come fessacchiotti, disposti a credere anche alla favola di Cappuccetto Rosso.
Con re Marcinna, il Catone francese, la tomba etrusca e i graffiti di Pino Fabbri ha preso in giro tutta l'isola. E i cittadini di Marciana Marina sono stati costretti a pagare con i loro soldi anche la festa in piazza e la targa d'argento consegnata dal Ciumei allo Scienziato.
UN SITO ETRUSCO, PATRIMONIO DELL'UMANITÀ
Però sarebbe un errore immaginare che tutti gli "scienziati" di questo mondo perseguano soltanto la "gloria", gli applausi e le targhe del "premio Ciumei".
Negli anni 2013 e 2014, qualcuno voleva chiedere all'Unesco di riconoscere le due Marciane come un sito «patrimonio dell'Umanità», per le testimonianze architettoniche etrusche presenti nel nostro territorio.
«Eccezionale valore universale» è la definizione usata dall'Unesco per i propri siti. Un esempio può aiutare a capire meglio quali requisiti pretenda l'Unesco: Volterra non è riuscita, finora, a ottenere il riconoscimento di sito dell'Unesco, nonostante le porte, la cinta muraria, alcuni ipogei, il museo Guarnacci (con l'«Ombra della sera»)...
Quali sarebbero, di grazia, le nostre architetture etrusche?
La domanda all'Unesco doveva essere corredata da un ricco dossier, che illustrasse l'eccezionalità e il valore universale dei nostri monumenti: l'incarico di redigere il dossier sarebbe stato affidato agli esperti. Non si parlava di un incarico platonico, gratis et amore Dei. L'incarico era di quelli veri, con compenso in moneta sonante.
Non voglio demonizzare i compensi dei professionisti, che hanno il sacrosanto diritto di essere remunerati per il loro lavoro. È un altro il messaggio che invio ai lettori: se il dossier per l'Unesco fosse stato riempito col materiale di cui tratta il libro di Zecchini e Centauro, gli esperti dell'Unesco difficilmente avrebbero giudicato «eccezionale» il valore dell'acropoli del Chiuccolo, della finta tomba etrusca con le mirabili incisioni, dei graffiti rupestri, dei muri a secco delle vigne (ribattezzati come "centuriatio etrusca"), del mirabolante emporio di Risecco con porto sul laghetto costiero…
Diciamo pure che sarebbe stato un fiasco sicuro: abbiamo corso il rischio di farci ridere dietro da mezzo mondo.
Per fortuna, il comune di Marciana (Marciana Alta, sia chiaro) ha detto no.
Gli unici a uscirne bene sarebbero stati i compilatori del dossier, che avrebbero potuto consolarsi con le parcelle.
«Intelligenti pauca» direbbe il Campanini Carboni: a chi capisce bastano poche parole. Credo che ci siamo capiti.
Gian Piero Berti