Accadde in una di quelle “case mamme” che tutti accoglievano, e nelle quali, negli anni ’70, circolava (quanto a umanità ma non solo) un po’ di tutto, da soggetti “freack” (fricchettoni inclini al consumo di sostanze psicotrope) a “gruppettari” (rivoluzionari per lo più innocuamente salottieri), sedicenti anarchici e perfino dei comunisti (almeno border-line se non proprio canonici) del PCI, come ero io.
Era domenica e a beneficio di quell’antropologico fritto misto era stato organizzato tra quelle mura un “pranzo proletario”, al quale ero stato invitato, ma che disertai, stimando la cucina di Mamma Rosina assai più gratificante delle proposte gastronomico-alternative degli anfitrioni. Dissi che non potevo per precedenti impegni promettendo una visita pomeridiana.
Così feci, ma giunto nell’ampio appartamento avvertii della stranezza, in quell’accozzaglia già strana di suo, le componenti non erano mescolate come di solito, tanto che pensai che doveva esserci stata qualche discussione, un qualche incidente diplomatico, puntai verso i più “praticabili” piccisti ma nel salotto, dove si erano asserragliati in tre, l’aria era ancora più inusuale, mi avvicinai ad un’amica che stava in finestra con lo sguardo perso nel vuoto… apparentemente però, perché in realtà gli occhi della giovane signora puntavano la torre di Passannante e rimasi sorpreso quando al mio rituale: “Come stai” rispose “Bene… ora cambio il colore della torre e la faccio anche ballare …”, in rapida sequenza il di lei consorte sdraiato su un divanetto mi annunciò: “ boia .. un effetto così il vino non me l’aveva mai fatto … vedo pesci d’argento sul soffitto”, mentre il terzo mi chiedeva “di partecipare ad un confronto mentale con Satana”.
A portarmi via da lì fu uno della squadra freak, che, preoccupatissimo, mi fornì - in separata sede - la chiave di lettura di quanto stava accadendo.
Era successo che lui e compari avevano deciso di farsi un caffè “potenziato” da qualche schifezza chimica (sia pure, tentò pietosamente di minimizzare, in piccola dose), preparando un altro caffè “innocuo” per i “normali”, solo che qualcuno, evidentemente pre-stonato, come in una farsa di Feydeau, aveva scambiato le tazze, mandando i tre ignari “di fori come terazzini”.
“E ora che si fa?” Mi chiese angosciato il mio informatore.
Risposi allora fornendo un illuminante parere: “So un cazzo!”
Poi riflettendoci aggiunsi più responsabilmente “Cosa fate voi non lo so, io me ne torno a casa… e il caffè lo prendo al bar”
“Bell’aiuto tra compagni!” Protestò flebilmente il freack tentando di buttarla sull'etica marxista.
“Beh mi pare che non stiano tanto male - dissi pentendomi della fuga, già sulla porta – cercate di fagliela smalti’, ma senza inchiudeli, sennò è pure sequestro di persona…”
Filò tutto liscio, presumo, nessuno tra i “drogati a loro insaputa” fece riferimento nei giorni successivi a quella strana domenica, probabilmente un po’ vergognandosi di avere preso quella che ritenevano essere una sbornia extra-strong.
Chiaro come il giorno che l’episodio, vecchio di quasi mezzo secolo, mi sia tornato in mente in occasione del recente locale fatto dei “biscotti alla mariagiovanna”, che più seriamente hanno spedito in ospedale i parenti degli incauti fornaretti.
Ogni rosa – dice l’adagio – ha le sue spine, ogni generazione ha le su’ fave lesse.