IL PUGILE
Dopo l'esito delle elezioni comunali di Marciana Marina, credevo che fosse ormai chiusa una polemica durata due anni.
Ma, girovagando in Internet, ho trovato un paio di trafiletti dei miei interlocutori, dove appare una insospettata volontà di proseguire a oltranza. Torna in mente l’immagine del pugile suonato, che continua a salterellare sulle gambe e a roteare i guantoni nel vuoto, perché non si è reso conto che il match è finito.
Verso queste persone dobbiamo mostrare comprensione, perché sono sopravvissute a un’esperienza drammatica: nella “casamicciola” elettorale hanno perso tutto. Anche quei piaceri piccoli piccoli, che però davano tanta soddisfazione.
IL COMPLESSO DELL’ACCIUGA
Tra queste "soddisfazioni" c'erano atteggiamenti ingenui e puerili, su cui mi soffermo soltanto perché fanno colore. Qualcuno (non si è mai saputo chi) aveva messo in giro voci fasulle su pompose cattedre universitarie. Ma ora è chiaro a tutti che le cattedre universitarie erano miraggi: sogni a occhi aperti.
Una situazione insieme ridicola e spiacevole, su cui è meglio stendere un velo pietoso.
Quando i nostri nonni preparavano le acciughe sotto sale, caricavano una grossa màzzera sopra il tempagno. Alcune persone presentano i sintomi del “complesso dell’acciuga”: hanno un bisogno incontenibile di stare sotto il “carico” di un titolo «onusto di gloria», imponente e monumentale.
Megapresidente Galattico Arcangelo Clamoroso Balabam.
Direttore Totale Dott. Ing. Gran Mascalz. Lup. Mann. Visconte Cobram.
Cavaliere di Gran Croce decorato di Gran Cordone e Placca d’Oro.
Grande Ufficiale del Sacro Romano Impero Germanico.
Tra applausi scroscianti, squilli di trombe e rulli di tamburi.
LA CICORIA
Evaporata la docenza universitaria, ora hanno deciso di ripiegare su «Storico marinese».
Mi pare un’ottima trovata. In commercio ci sono surrogati ben azzeccati che hanno avuto successo: si pensi all’autarchica cicoria. Quando “le inique sanzioni della perfida Albione” tolsero agli Italiani il piacere di una tazzina di caffè (na tazzulella 'e cafè), la gente si convertì alla cicoria, che vanta ancora oggi parecchi estimatori. A dire il vero, le radici di radicchio tostate e macinate rassomigliano poco al caffè vero: ma l’uomo saggio sa che nella vita bisogna accontentarsi.
La nuova «onorificenza» ha un pregio: non espone al rischio di essere sbugiardati. Per la «medaglia» di Storico non ci sono riserve o privative. Può pavoneggiarsi come «Storico» perfino quel tizio che confondeva i Goti con i Longobardi.
LA PROVERBIALE MEMORIA DEI PESCI ROSSI
Lo «Scienziato» lamenta che proprio a lui sia capitato di diventare il bersaglio − senza motivo − di un implacabile attaccabrighe come me.
Davvero lui sarebbe l’agnellino mite e mansueto? Davvero io sarei il lupo cattivo che lo perseguita “senza motivo”?
È evidente che ha dimenticato le sue invettive contro i barbari che avevano costruito il fornice di Porta a Terra.
Secondo un’opinione diffusa, la durata della memoria dei pesci rossi non supera una manciata di secondi: il nostro «Storico» ha le carte in regola per essere proclamato "pescio" rosso onorario.
Le sue amnesie non sono una rarità: ne ho già segnalato alcune in passato.
A pag. 85 (quinto rigo) del suo strafamosissimo libro, lo «Storico» rivelava che nell'ipogeo di Marciana, nel Settecento o nell’Ottocento, furono eseguiti lavori «per ricavare un ambiente più ampio da adibire a locale per la zecca». Dunque per lui la zecca esisteva (anche se è esilarante l’ipotesi che Napoleone o Elisa Bonaparte battessero moneta a Marciana).
Però, un anno dopo, se n’era dimenticato e scriveva che la zecca non è mai esistita.
LA DATA DI NASCITA DELLA TORRE
Sulla costruzione della torre marcianese mancano precisi documenti d’archivio. Tuttavia, a pagina 135, le sue ardite elucubrazioni intorno alle pochissime notizie che abbiamo lo autorizzano a concludere che la data si aggira intorno al 1562, mese più, mese meno.
Siffatto prodigioso procedimento “scientifica” mi fa ricordare un vescovo anglicano del Seicento il quale − dopo lunghi e dottissimi studi, saldamente fondati sul nulla − aveva scoperto che l'Universo fu creato domenica 23 ottobre 4004 avanti Cristo, a mezzogiorno o’clock (ora di Greenwich, suppongo).
Però, di recente, lo «Storico marinese» ha rinnegato la scoperta scientifica di pag. 135 e ha retrodatato la torre di oltre un secolo: la nuova «verità scientifica» è che la torre fu costruita verso il 1450.
Constato en passant che la signoria pisana sull’isola era cessata pochi decenni prima.
«CATONE», NOME SCIIIIENTIFICO DEL COTONE
Per l’etimologia del nome del quartiere "Cotone", ci troviamo di fronte al caso – più unico che raro − di uno Scienziato che si smentisce da solo all'interno di uno stesso libro.
A pagina 62 lo «Storico» riproduce una carta dell'Elba, stampata in Francia poco più di due secoli fa. Con quella pubblicazione che cosa vuole dimostrare?
Nella cartina la punta del Cotone è chiamata «cap Catone» (scritto con la vocale «a»). Quella «a» non è affatto una svista del tipografo, ma l’inestimabile testimonianza dei Francesi di epoca napoleonica, i quali sugli Etruschi avevano informazioni di primissima mano.
Arrampicandosi su quella vocale "a", lo «Scienziato» giunge a una strepitosa scoperta: qualche secolo prima di Cristo, il nome etrusco della scogliera non era «Cotone» ma «Catone» (o qualcosa di simile).
Poiché «Catone» è un toponimo prediale, lo «Storico» risale da lì a un'importante famiglia di Populonia: la famiglia Cathu o Cothu, proprietaria di una casa presso la scogliera.
Purtroppo dei signori Cathu e della loro aristocratica dimora non ci resta nessuna traccia, se non quell’impalpabile vocale «a». Tuttavia lo Studioso è molto fiero dei risultati raggiunti e dichiara che la sua congettura è «l'interpretazione scientificamente più valida» (pag. 61). Roba da premio Nobel.
Però, dopo meno di cento pagine, la sensazionale scoperta scientifica di pag. 62 è già finita nel dimenticatoio. Nella nota in fondo alla pagina 157, la famiglia ha cambiato nome: ora si chiama Cothu o Cuthu.
Perciò «cap Catone» scritto con la "a" ha perso ogni significato. Forse era davvero uno scioccoerrore di stampa.
Ma se il Cotone non si è mai chiamato «Catone», immagino che il lettore si chieda a quale scopo lo «Storico» avesse voluto riprodurre quell’inutile carta geografica.
Domanda vana: il “pescio” rosso – manco a dirlo – non se lo ricorda.
WATERCLOSET
Questi precedenti inducono a supporre che anche per il fornice di Porta a Terra nella sua memoria non ci sia più traccia del fatto che fu lui a innescare lo scontro, nell'estate del 2014, quando decise di riesumare un episodio degli anni '70, per accusare l'Amministrazione portoferraiese del sindaco Giovanni Fratini di aver profanato la città di Cosimo. Ha dimenticato che fu proprio lui a definire quel tunnel una «ferita profonda», un «tremendo oltraggio», un «danno per sempre»…
Ancora più spietato il giudizio che riservò a un altro sindaco portoferraiese, Roberto Peria: il progetto chiamato “Waterfront” per un riassetto del lungomare fino a san Giovanni (progetto mai attuato) fu lapidariamente definito watercloset.
La sua implacabile requisitoria si concludeva con un appello rivoluzionario: «È l'ora di ribellarci» (sic).
Sembrava Trotskij.
L'ASINO DI BURIDANO
L'attacco contro i due sindaci di Portoferraio fu trasformato in una pièce teatrale, andata in scena nella piazza della chiesa di Marciana Marina la sera del 29 luglio 2014, di fronte a tutti (o quasi tutti) gli amministratori elbani di centrodestra.
La recitò, da par suo, un attore strepitoso, impareggiabile, veramente superbo, che in quel tempo era in bilico − novello asino di Buridano − fra due allettanti carriere: quella del teatro e quella della politica. Entrambe inopinatamente troncate.
Poiché anch'io avevo fatto parte della squadra dei profanatori di Cosmopoli, ho cercato di difendermi da quella gogna pubblica montata proprio sulla piazza del mio paese.
Ma sùbito il Grande Luminare − avvezzo da sempre a menare botte da orbi in ogni direzione − ha cercato di intimidirmi, riempiendomi di insulti e annunciando querele. Pensava di «spavicchiarmi», come si fa con le galline.
I TESTICOLI DEL GRANDUCA COSIMO
Nel "dialogo" sulle vicende urbanistiche di Cosmopoli−Portoferraio, lo «Storico» si soffermava a lungo a dissertare intorno alle sei palle dello stemma granducale di Cosimo dei Medici.
Palle che il forbito Intellettuale interpretava nel senso popolare di testicoli.
Dunque Cosimo aveva sei testicoli. Due per la guerra. Altri due per il mecenatismo. Gli ultimi due testicoli per la consorte e l’amante.
A questo sciorinamento di testicoli sembra sottesa l’idea della superiorità del maschio, che − per la sua natura di portatore di testicoli − gestisce gli affari di stato, promuove le arti, domina le femmine del suo gineceo. Un’idea fresca e originale nella Storia dell’Umanità.
L'insolita miscellanea tra urbanistica e testicoli era una provocazione, studiata per creare scalpore: un espediente per dare risonanza al giudizio negativo su Fratini e Peria e sui loro collaboratori, presentati come ignoranti e incompetenti: autori di irreparabili disastri.
E così si ingraziava anche gli amministratori di centrodestra.
«RISSA CONTINUA»
L’urbanistica – cioè la programmazione razionale dello sviluppo della città – è cosa troppo seria per essere affrontata con qualche provocazione. Ma il ricorso al gioco di parole "waterfront−watercloset" rivela quale sia il vero livello di quell’analisi. Lo «Storico» non cercava un confronto di idee: voleva soltanto trovare un pretesto per innescare una rissa.
Perché a lui la rissa piace. È sempre pronto a “ciuttarsi” a capofitto dove l'acqua ribolle, spumeggiante di brumeggio.
È riuscito a scontrarsi duramente perfino con l'attuale Amministrazione comunale di Portoferraio: il prof. Nurra gli ha replicato parlando di messaggi falsi, nocivi, inutili e stupidamente allarmanti (sic).
Insomma, lui è l'ideologo di «Rissa continua». Si ispira al principio neocartesiano: «faccio casino, dunque esisto». Prende il suo prossimo a pesci in faccia, per dimostrare (a sé stesso, ancor prima che agli altri) che al mondo c'è anche lui.
Nei mesi scorsi ha suscitato clamore una frase del presidente Trump (poi ritrattata), che definiva «shit holes» alcune nazioni africane e sudamericane. La traduzione più edulcorata è stata «latrine». Ma ho letto varianti molto più pittoresche.
Anche il nostro elegante "Maître à penser" attinge a quel repertorio lessicale. Le idee di chi non è d'accordo con lui, sono materiale da watercloset.
Nel calembour tra waterfront e watercloset è implicita una visione della tolleranza e del dialogo che sta tornando di moda.
IL LATINISTA
Alla pagina 259 del solito libro è riportata la stroncatura di un ex sindaco democristiano, il quale aveva citato il famoso versetto latino 16. 18 del vangelo di Matteo, trascrivendo però il verbo «praevalebunt» senza il dittongo «ae».
Apriti cielo: il nostro Latinista sale in cattedra e sentenzia − con la boria sprezzante del Tuttologo − che quella parola «nel latino classico non esiste».
In realtà la frase non appartiene al latino cosiddetto "classico". Quando, verso la fine del quarto secolo, san Girolamo tradusse il testo greco della Bibbia in latino (“Vulgata”), era trascorso quasi mezzo millennio dall'epoca di Cicerone. E perfino il nostro Latinista dovrebbe sapere che cinquecento anni non sono bruscolini.
Pochi decenni dopo San Girolamo, l'impero romano d’Occidente scomparve. Tuttavia il latino continuò a essere usato dagli uomini di cultura europei: intanto il latino − come succede a tutte le lingue − nel corso del tempo subiva modifiche. Per esempio, Dante e Petrarca scrivono «nichil» e «michi», anziché nihil e mihi. E aboliscono il dittongo «ae»... Nella duecentesca Cronica di Salimbene de Adam (MUP editore, volume primo, pag. 6) ho trovato proprio il versetto di Matteo citato dall'ex sindaco, con la stessa parola che il «Latinista marinese» aveva definito inesistente: «et porte inferi non prevalebunt adversus eam».
L'importante versetto di Matteo è stato citato in quel modo per secoli, addirittura fino ai tempi nostri. Ma il Tuttologo ignora l’esistenza di un latino medievale: perciò, con la matita rossa e blu, segna come errore grave l'omesso dittongo.
Si dice che Dante abbia studiato a Bologna e, forse, anche alla Sorbona, dove le lezioni si tenevano in lingua latina: ma il nostro Arciprofessore lo avrebbe bocciato all’esame di terza media.
L’agnellino mansueto ci va giù duro: scrive che gli asini confondono il genitivo con i genitali.
Rieccoci con i genitali. Tutti i salmi finiscono in gloria: e i ragionamenti del Luminare finiscono in pudenda.
Anche qui troviamo forme di dileggio incentrate sul sesso. Proprio come nel "dialogo" con Cosimo, il disprezzo verso gli avversari politici viene espresso parlando di genitali.
COMICITÀ ESCREMENTIZIA
In un suo libro recente, Corrado Augias sottolinea che esiste nella tradizione italiana un filone di comicità che deriva «da quegli spettacoli romani, le atellane, nei quali il divertimento era assicurato dall'ininterrotta carica di battute oscene e scatologiche». È una comicità che Augias definisce «plautina e escrementizia»: è «lo stesso tipo di comicità che ritroviamo oggi in certi film di grossolana fattura». «Comicità grassa, giocata su situazioni elementari come il cibo, le corna, l'omosessualità, gli intestini…» (pagine 282-283 e passim).
Sono appunto questi gli ingredienti che ricorrono spesso negli scritti del Luminare e dei suoi amici: genitali, watercloset, guttalax, «maldipancia», «colossali figure di cacca», «non capiscono un benamato»…
Ingredienti «plautini e escrementizi» che vengono branditi per beffare, screditare, sopraffare gli avversari politici. È la stessa logica dell’olio di ricino.
Quando gli avversari lo mettono in difficoltà, il Grande Intellettuale contesta che scrivono troppo a lungo. Lui, invece, si vanta di essere stringato, perché non è «attratto da quella sorta di plaisir solitaire che alcuni cercano nella prolissità».
Altro che «plaisir solitaire»: sembra proprio che non si sia reso conto di quanto sia prolisso il suo libro.
Lo «Storico» ha anche scritto: "Mi vengono i brividi al solo pensare quali spiegazioni troverebbe la paretimologia se cercasse il significato dei topònimi ‘Favale’ e Valle delle Fiche, entrambi in quel di Rio nell’Elba, o ‘Segagnana’, in quel di Marina di Campo; oppure, per uscire dai limiti insulari, ‘Culécchio’ e ‘Pàssera’, nel territorio di Siena".
MEHERCULE
Nel "dialogo" di pagina 208, il protagonista è il generale cartaginese Annibale, che si fa chiamare latinamente Hannibal, per la nota simpatia verso i Romani. Sembra che Annibale si interessi (chissà poi perché) all’assetto amministrativo dell’Elba. Al condottiero appare assurdo che, abolita per legge la Comunità Montana, i Comuni elbani abbiano avvertito la necessità di costituire un altro ente comprensoriale. Non riesce a capire perché i Comuni dovrebbero coordinarsi o, men che mai, fondersi. Gli sembra una presa in giro. Ma il suo interlocutore trova troppo sbiadita l'espressione "presa in giro": «molti al posto di 'presa in giro' usano una parola popolare, che si riferisce a un pezzo unico formato da due rotondità».
Annibale risponde con un'esclamazione latina: «Mehercule». Subito il dotto Autore evidenzia che la parola latina contiene il gruppo di lettere "CUL", che nelle lingue romanze è un sinonimo di fondoschiena.
Parte dalla Comunità Montana: e − per associazione di idee − dove va a finire?
Al fondoschiena.
IL LATO B DELLA TORRE
Di recente ha pubblicato un dialogo fra la torre e un "passeggere".
“Passeggere” maschile singolare è nome di chiara derivazione dalle Operette morali di Leopardi, a cui il Geniale notoriamente si ispira. È evidente che il "passeggere" che chiacchiera con la torre è proprio lui, intento a cercare un qualche appiglio contro la nuova Amministrazione.
Già dal titolo apprendiamo una notizia folgorante: anche la Torre possiede un lato B.
Nemmeno Pindaro nei suoi più arditi voli sarebbe stato capace di scovare una somiglianza tra la torre marcianese e Belen Rodriguez. Mi viene in mente Paolo Villaggio che, in preda al raptus erotico, strabuzza gli occhi e da un angolo della bocca caccia fuori la lingua arrotolata.
Ecco dunque che ritorna anche qui il chiodo fisso, l'incubo, l'ossessione delle pudenda.
Un caso che susciterebbe l’interesse di Freud.
Gian Piero Berti