QUESTO NUOVO TRIONFO DELLA MORTE
Con in mano la ribeba canto
nel cantone di piazza disertata
e dico: Ossa in tripudio scrocchiano
con l'energia di una fonte occulta.
Bacchettano se stesse, stecche rinsecchite,
e dappertutto la smorfia bordeggia,
un cavallone d'angoscia rumoreggia.
Smunta è la carne del cavallo
e della morte che bruta lo cavalca:
salta, balla, e poi s'accascia,
sghignazza, morde e poi singhiozza,
urla, scalcia e poi balbetta;
le sue frecce scocca in fretta
e a vanvera come irato bracconiere.
Gocciolante scorre il sangue
nella bocca soffia e bolle dei feriti e dei morenti.
La funesta gli occhi sbarra,
poi li chiude, spenge il lume.
Mancano al pianto e luogo e tempo,
arranca nel profondo il gran dolore.
Hortus conclusus diventato è il mondo,
un pozzo di paura, e l'aria buia è percossa da voci
di bestemmia e preghiera che pendono
come festoni arricciolati ai bordi delle mura.
Pianti e grida feriscono il cielo,
non passi di danza nella disarmonia dei suoni.
È il trionfo della morte senza carri infiorati,
con la minaccia della falce brandita
da ossicine scarnite di fragili dita.
La morte muore mentre dà la morte.
Sacerdoti e poeti, dame e cavalieri,
regnanti, ricchi e potenti passano all'altro mondo
e i poveri senza un pezzo di pane sotto ai denti
invocano la fine ai patimenti.
Che senso avviva la parola amore
o un cuore da una freccia ancor trafitto?
Sono ancor maledizione nelle giornate del 2020.
Virus mi chiamano, obbligato come si vuole
ad esser parassita per dirmi vivente.
Guardato al microscopio
sono corona di splendidi colori,
somiglia a quella che ai defunti si dona
per infiorare il cammino all'altro mondo.
Chi voglia di mie gesta un bel racconto
in terra siciliana allor si rechi
dove sulla parete di un cortile del grande ospedale,
(cristiani insieme a islamici vi davano assistenza),
due ignoti maestri, metà del Quattrocento,
dicono ch'io non risparmio nessuno,
tutti metto allo stesso livello,
e già di Napoli un principe lo disse.
Pur vivente sono scheletro già,
scheletro è il mio cavallo
e assassina mi avvento con la furia del vento.
Chiacchiera alla fontana ludica giovinezza,
mentre un'arpa emana tocchi di languore
e l'aquila posata sulla spalla di Giovanni
scorge a fatica il bagliore di luce della nuova città.
Aristotele insegna che guardare la guerra pace ci dà.
Manrico Murzi
Genova, 31 marzo 2020