Oggi è il 25 aprile e sarebbe stata gran festa per Remo Adriani (o Remo del distributore o delle Sprizze) che era l’imponente e pingue bandiera del Partito Comunista di Marciana Marina e che nel dopoguerra si levò qualche soddisfazione e macigno dalle scarpe, andando a prendere, paese per paese i caporioni fascisti che, smessa la loro tracotanza, bruciate le camice nere e i fez e buttato a mare olio di ricino e manganelli, si erano nascosti nelle loro case, in attesa che finissero di fischiare il vento e la bufera, annunciati però dalla Volante Rossa che bussò inesorabilmente al loro uscio e sulle loro spalle.
Tutto finì con qualche legnata e pianto e molti risentimenti, poi l’Elba ricominciò, ma non come prima: da una parte i democristiani e dall’altra i comunisti, che poi si ritrovavano nelle bettole a giocare a padrone e sotto, o fuori dalla chiesa la domenica ad aspettare le mogli e a scambiarsi sguardi con possibili fidanzate, dato che andare in chiesa al di fuori dalle feste comandate allora era, quasi per tutti, baciapile democristiani e falsi atei comunisti (tutti o quasi sposati in chiesa e con figli battezzati, cresimati e comunicati), una roba da donne.
Don Zeni e le donne guardavano divertiti e perplessi qui giochi da uomini e nessuno si meravigliava se la domenica mentre suonavano le campane della chiesa di Santa Chiara che annunciavano la fine della messa, dallo sgangherato grammofono in dotazione della sezione del PCI, che era nella stessa piazza con il nome di un Re e il selciato di sassi che formano simboli massonici, che tutti chiamavano Piazza di Sopra, partissero a tutto volume le note di Bandiera Rossa.
E la bandiera dei comunisti marinesi era Remo, abbastanza benestante per quel partito di sottoproletari ancora con le scarpe e le tasche sfondate e che sognavano il sol dell’avvenire. Quando parlava Remo tutti si zittivano, ma Remo era anche uno di loro. Parlava come loro, anche se aveva letto i libri e comprava l’Unità, e beveva quanto e più di loro. Come mi disse un giorno, dopo avermi assunto come pompista al distributore che gestiva al porto, per istruirmi su alcune questioni fondamentali della vita: «Il vero briacone si vede se beve dalla tazza. Perché se beve dalla tazza ‘un poi sape’ quanto beve». Intanto Cesarino Baroni, che a dispetto del nome era una montagna d’uomo con muscoli da gigante e i capelli perfettamente imbrillantinati, annuiva convinto.
Remo rischiò di diventare anche Sindaco di Marciana Marina. Era ancora giovane e molto benvoluto quando si presentò contro l’eterno sindaco democristiano di allora e le elezioni le vinse davvero, almeno lui che prese più preferenze di tutti. Ma allora nei piccoli Paesi si potevano dare 12 preferenze scegliendo i consiglieri tra le diverse liste in lizza e la lista di sinistra capeggiata da Remo alla fine perse credo per 7 voti di lista.
Solo molto dopo i comunisti vinsero la vergogna e raccontarono che le elezioni molto probabilmente le avevano vinte loro e i socialisti ma che. accortisi della vittoria dei rossi – e con in mano tutti i presidenti di seggio - i democristiani, come si faceva allora, si presentarono alla chiusura del seggio con un pranzo luculliano e salato che richiese molto vino. I rossi accettarono di buon grado, come segno di resa e di pace, il cibo e ancor più il vino offerto dai nemici bianchi, si imbriacarono assaporando già la vittoria e, intanto, una manina cambiò qualche scheda e il destino del Paese, dando una striminzita vittoria a democristiani, liberali e repubblicani appoggiati dai missini.
Se Remo fosse diventato sindaco, Marciana Marina avrebbe sperimentato probabilmente un socialismo di stile caraibico: era una specie di Fidel Casto ante litteram – con molti capelli in meno e senza barba – che oscillava tra il suo spirito libertario, anarcoide e godereccio che spesso lo portò a disubbidire – insieme ai più giovani – alle direttive del Partito, e uno stalinismo esibito e una vera e propria fede nell’Unione Sovietica che durò fino all’ultimo respiro della sua vita, che visse accecato dal diabete e sognando di andarsi a fare una miracolosa operazione in Russia, mentre dalla radio gli arrivavano le notizie del crollo del comunismo sovietico che lui, mentre la moglie svizzera Bettina scuoteva la testa, derubricava infervorato a un complotto propagandistico della CIA rilanciato pappagallescamente in Italia dai giornali e dalle televisioni servi dei democristiani. Forse fu una fortuna che allora non potesse più leggere l’Unità: non era stato per niente d’accordo con Berlinguer, che da tempo riteneva esaurita la forza propulsiva del socialismo reale sovietico ben prima del crollo dell’URSS e, per lui, pensare a cambiare nome al Partito Comunista era come bestemmiare in chiesa. E quella era, con tutte le apostasie del caso e del momento, la sua chiesa.
Di Remo mi ricordo lo scombiccherato cenacolo che veniva ad abbeverarsi della sua arguzia al distributore del porto, mentre teneva banco discutendo di argomenti che andavano dalla perfezione del culo delle donne di passaggio alla guerra nucleare, dal Vaticano al tempo. E fu lì che una signora che si era fermata ad ascoltare quegli improbabili meteorologi e che, guardando il cielo azzurro con qualche nuvoletta, ebbe l’ardire di chiedere che tempo avrebbe fatto, Cesarino rispose per tutti: «Signora, piovesse tanto che bisognerebbe anda’ a polpà’ su le secchette di Monte Capanne».
Ma di Remo mi ricordo soprattutto tre episodi che tracciano un ritratto della sua umanità e fanno capire cosa fosse ancora a quel tempo la politica in un piccolo paese alla periferia dell’Impero.
A Marciana Marina c’erano le elezioni comunali e, allora, il segretario della sezione del PCI entrava di “diritto” in lista. Il giovanissimo segretario ero io. Da Portoferraio e Livorno vennero i segretari zonale e della potente Federazione provinciale a chiudere una lista che, lo sapevamo, avrebbe quasi sicuramente perso contro il sindaco Nello “Piccio” Bonanno, medico del paese e avversario di politico e compagno di carte di Remo. Ma, dopo la mia introduzione, la discussione non decollava, l’imbarazzo era palpabile e i bisbigli molti. I compagni continentali si chiedevano cosa stesse succedendo e cominciavano a spazientirsi. Alla fine, in fondo a quella piccola sezione affollata, si alzò lentamente Remo Adriani e spiegò: «Umberto, la tu’ nonna ha fatto 5 figlioli con tre omini diversi e non ne ha sposato nemmeno uno». Insomma. In quel covo fumoso di aspiranti rivoluzionari – dove però donne non se ne vedevano e sarebbero arrivate solo con la generazione più giovane – aleggiava lo scandalo della vita da donna libera della mi’ nonna Natalina che conviveva con uno che, tra l’altro, era anche fascista. I Comunisti (maschi) allora erano così: rivoluzionari a parole e bacchettoni nella vita, e la liberazione della donna si fermava all’uscio di casa, un uscio che mi venne sbattuto sul muso da Remo che, probabilmente era il meno convinto di tutti a chiuderlo. Io, naturalmente ubbidii, come si faceva allora. E loro sapevano che lo avrei fatto. Perdemmo alla grande.
Era lo stesso Partito che, dopo poco, avrò avuto 20 anni, mi mise in lista, come candidato di bandiera per le elezioni alla Camera dei Deputati e, con mia grande sorpresa, il PCI diventò per un giorno il partito più votato di Marciana Marina. I marinesi, che sono notoriamente liberali e libertini, avevano votato il bimbo di Natalina e Jole, sorprendendo anche i comunisti bacchettoni.
Poi Remo mi assunse al suo distributore, strappandomi al mio lavoro di lavapiatti al Ristorante La Fiaccola, è fu lì, di fronte all’antica Torre del porto, che ci colse la notizia dello scoppiò della bomba della strage alla stazione di Bologna. Allora non c’erano Internet e i telefonini e quel che era successo lo sapemmo dopo ore, come da un altro mondo, già orribilmente vecchia, mentre Remo scazzava sulla panchina con Cesarino tornato dalla pesca e con qualche perdigiorno. A Remo lo dissi io, che poi avrei dovuto scrivere il manifesto su quella tragedia, che si sarebbe rivelata indicibile, da affiggere nella bacheca dei comunisti in Piazza di Sopra, che era il Facebook o il Twitter politico di allora. Remo disse che era sicuramente una strage fascista, l’ultima e la peggiore della lunga serie che aveva bombardato e insanguinato treni, banche e piazze.
Un ricco signore che stava preparandosi a fare più di mille litri di benzina al suo motoscafone ci disse che era la solita storia: “come fate a incolpare i fascisti?”. Remo, che era già anziano ma conservava una stazza e una grinta che incutevano ancora paura, lo mandò gentilmente affanculo. Nessuno aveva più voglia di scherzare o di guardare le tette della ganza in topless del tipo, stesa sulla prua del motoscafo, e Remo sfilò la pompa dal bocchettone del motoscafo, mandò nuovamente affanculo, stavolta non gentilmente, il danaroso cliente che protestava, chiuse il distributore per lutto e mi mandò a scrivere il manifesto per piangere quei poveri morti.
Il terzo episodio in realtà sono due e a Remo costarono più caro che il mancato pieno al grosso motoscafo.
Pochi giorni dopo la strage si presentò al distributore un simpatico ragazzo di Bologna, alto e dinoccolato, che mi chiese di fargli 50 lire di miscela per la sua vespa che era rimasta a secco, al che gli feci notare che 50 lire erano poco più di una goccia, ma lui aveva solo quelle e alla fine, dopo molte divertite insistenze, cedetti, Quando alzò il sellino della vespa però, all’interno fece la sua comparsa un grosso adesivo nero con il simbolo del Movimento Sociale Italiano e un qualche slogan fascista. Io abbassai il sellino e dissi al ragazzo che le 50 lire di miscela poteva andarla a fare all’altro distributore in Paese. Allora il tizio mi disse che se non gli facevo la miscela avrebbe chiamato il padrone. «Fai pure» risposi pregustando già la scena, e lui, incauto e incosciente, lo fece. Remo, impegnato in una discussione filosofica sulla cottura della granfia di polpo con Cesarino e compagnia, si alzò abbastanza incazzato dalla panchina e venne a sentire cosa stava succedendo. «Perché non fai la miscela a questo ragazzo?», io gli suggerii: «Guarda sotto il sellino». Remo alzò il sellino, guardo il ragazzo che protestava come si guarda uno che vomita e gli disse: «Bimbo, se non ti levi alla svelta dai coglioni o se non levi quella roba, all’atro distributore ti ci porto io a calci in culo» e il distributore del “Fichetti” era a mezzo chilometro di distanza. Il giovane prese il vespino a secco e scappò via terrorizzato, raggiungendo in tempo record, a spinta, la distanza di sicurezza da Remo.
Forse il giorno dopo, mentre aspettavamo la cisterna per caricare i depositi di benzina e gasolio, arrivò in moto uno dei figli di un ricchissimo cliente di Remo, di qualche anno più grande di me e notoriamente fascista, e parcheggiò proprio su uno dei tombini di carico. Remo mi mandò ad avvertirlo che stava arrivando l’autobotte e a chiedergli che andasse a parcheggiare altrove. Ma il motociclista in realtà aspettava proprio me e mi disse che lui faceva come cazzo gli pareva, la moto restava lì e che per quelli come me aveva la cura e, alzando la maglietta, mi fece vedere una pistola infilata sotto la cintura.
Remo si era accorto che qualcosa non andava, mi vide fare un passo indietro e probabilmente sbiancare e attraversò la strada con già in mano il grosso uncino di acciaio che usavamo per scoperchiare i tombini. Io gli dissi che il tizio non si voleva spostare e di stare attento perché aveva una pistola. Il tipo sogghignava soddisfatto per averci messo paura, Remo lo guardò, gli mise la punta dell’uncino alla carotide e gli disse. «O ti levi di culo o ti stacco la testa». Il fascista inghiotti in un secondo tutta la sua sicumera, tolse il cavalletto alla moto e se ne andò rombando, proferendo minacce e insulti.
Il giorno dopo, quando andai ad aprire il distributore trovai tutte le gomme delle pompe tagliate, compresa quella lunga che serviva a rifornire le barche, e delle scritte anticomuniste. Un danno enorme che provocò anche il fermo del distributore per qualche giorno finché non arrivarono le gomme nuove, ma che Remo, tra un moccolo e l’atro, accettò come la normale conseguenza di aver avuto a che fare con dei fascisti. Ma quei due tipi neri girarono alla larga dal distributore e non si fecero più vedere per tutta l’estate. Ah, il più simpatico dei due, crescendo, sarebbe diventato di sinistra.
Buon 25 Aprile, compagno Remo Adriani
Umberto Mazzantini