Nello la guardia, ex sottufficiale di Marina che aveva tramutato la sua divisa di guerra in quella di vigile urbano, era il nostro carissimo nemico e, quando sentivamo il fatidico "Ragazzino, qui la palla!", sapevamo di essere spacciati, e lo sapeva anche il padrone del pallone – mai noi che i soldi per comprarne uno ce li sognavamo – che se lo sarebbe visto sequestrare,
Nello la guardia, che aveva una rete di spie che lo avvertivano delle nostre partite peripatetiche tra Piazza di Sopra e di Sotto e in mille altri buchi scovati, accorreva anche quando all’ennesimo spaccamento di vetro del Bar Atlantic, Aldo Paolini lo chiamava per avere un conforto legislativo e scovare il centravanti maldestro che, invece di infilare il panchino/porta aveva centrato la porta vetrata.
Nello era per noi un grosso gatto in divisa, con tanto di baffetti ben curati, sempre in agguato, con il cappello leggermente inclinato sulla destra, quasi a bilanciare il portamento della testa inclinato a sinistra, che non doveva poi essere il suo lato preferito, anche se credo che segretamente votò, per solidarietà d’arma e antichi ricordi di cannoniere, per l’Ammiraglio Nicola Murzi quando si presentò per i socialisti e i comunisti a contendere il Comune al sindaco democristiano Nello "Piccio" Bonanno, senza riuscirci per un soffio e un comizio finale sbagliato.
Nello la guardia era il gatto e noi i topi che spesso non riusciva a catturare. Ma era anche il nostro divertimento e la nostra lezione e i nostri anni di bimbi non sarebbero stati gli stessi – e non ci saremmo divertiti così tanto e con così tanto poco – senza la paura e l’attesa che la "legge" arrivasse a interrompere le nostre partite proibite. E quel gioco ci piaceva così tanto che lo continuammo anche dopo che allestimmo, con 6 giovani lecci dritti come fusi e abbattuti a pennatate, le due porte da calcio nel campo "ufficiale" ma sassoso della Soda, tra il fosso e le vigne di Giovannone, di fronte all’ultimo pagliaio di Chichio che bruciò suo nipote, il figliolo più piccolo di Tore il bidello e Lorenza, durante un esperimento da piromane fallito, che gli fece però guadagnare il soprannome incancellabile di Bruciapagliai.
Nello, che aveva lo strano tic di soffiarsi sull’indice e il medio appoggiati sul pollice (Ragazzino … fuffufù … qui la palla!) era uomo ligio al dovere ed è ricordato per essersi fatto la multa da solo. Arrivò sul lungomare e si trovò di fronte a una specie di sogno: una fila mai vista di macchine in divieto di sosta. Preso dalla frenesia della caccia, diventato da gatto tigre, parcheggiò la sua cinquecento dove capitava e, libretto alla mano, comincio a vergare multe a tutte le auto presenti, non saltando però nemmeno la sua. Uno sbaglio di cui prese atto quando andò a riepilogare la mattanza e che pagò di tasca propria senza battere ciglio, anche se il ciglio doveva essere un po’ inumidito.
Insomma, Nello la guardia era la legge e noi i fuorilegge e si favoleggiava di un tesoro di palloni sequestrati che custodiva come trofei inaccessibili nella sua casa alle Sprizze. Un bottino sul quale avremmo volentieri voluto mettere le mani e rimetterci tra i piedi. Poi un giorno venne Krusciov – il mi’ cugino, il terzo figliolo di Pietro lo spazzino, non il presidente dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche – che non giocava mai a pallone, ma che passava il suo tempo a esplorare ciliegi, melograni, aranciaie e susini e conosceva posti a noi segreti, e ci disse, con noncuranza, che aveva trovato il deposito di palloni sequestrati di Nello la guardia. Era dove doveva essere, in uno sgabuzzino addossato alla casa bianca del vigile urbano alle Sprizze. Ci volle poco per pianificare la spedizione di esproprio riappropriativo: prendemmo le misure e il tempo agli spostamenti della guardia e, mentre Nello era indaffarato a rincorrere per il paese giocatori di pallone quel giorno particolarmente attivi e fugaci, noi partimmo a piedi verso le Sprizze con due sacchi di juta e Krusciov, salendoci sulle spalle, si introdusse in una finestrella dello sgabuzzino da dove poco dopo cominciarono a uscire volando palloni di ogni foggia, noti e dimenticati, persino uno spettacolare e desideratissimo di cuoio, probabilmente il trofeo al quale Nello era più affezionato, che infilammo fino a che ci stavano nei sacchi e poi ce la telammo per redistribuirli alla Marina, ma alcuni ce li tenemmo come premio e riconoscimento per la nostra impresa.
Alla guardia ci vollero anni per risequestrarceli tutti e molti vennero tagliati e bucati prima che potesse farlo, quando finivano in orti, cortili, terrazzi o direttamente nelle case tra vetri spaccati. Come quando, di ritorno da una partita infinita alla Soda, non avendone avuto abbastanza, ci fermammo a tirare due calci in mezzo all’incrocio davanti alla falegnameria Papi alla Fornace e rompemmo un grosso vetro. Ma quella volta, nonostante la fuga, il danno era così grosso che non venne Nello a prenderci per l’orecchio ma i carabinieri.
Nello la guardia, accertato il furto, da buon investigatore che ci conosceva bene, capì subito chi era stato e noi sapevamo già che ce l’avrebbe fatta pagare.
L’occasione capitò presto. Arrivò un rifornimento al negozio di tessuti di Annalaura Martini, che allora non era ancora la moglie di Pasquale Berti, e per noi era ogni volta una festa: i grossi scatoloni avevano un’ossatura di sbarre dure di cartone che usavamo per battaglie a legnate senza misericordia, poi, non ancora sfiniti, avevamo messo uno scatolone lungo in mezzo alla piazza, sdraiato sull’asfalto scheggiato che ci faceva da proibito campo sportivo, e il gioco era quello di centrare la bocca spalancata dello scatolone con un pallone, con un solo tiro di rigore, fermi di fronte alla grotticella della Madonna, appoggiata tra la chiesa e la canonica, dove gracidavano le raganelle che Don Zeni aveva tolto dalla fonte battesimale, dove le avevamo messe noi, dopo averle catturate a Siccione, per lo spavento delle donne che andavano in chiesa.
Mentre eravamo lì che prendevamo la mira, Nello la guardia si materializzò dal nulla dietro di noi e prese per un orecchio, torcendocelo con evidente soddisfazione, me e Mimmo Iddu Cavallo. Gli altri guerrieri di cartone si dileguarono ad osservare la scena sotto gli alberi e sul sagrato di Santa Chiara, mentre Nello con un sorrisetto beffardo ci trascinava, uno a destra e uno a sinistra, a togliere lo scatolone dal mezzo alla piazza. Io e Mimmo ci guardammo in tralice mentre la guardia ci portava alla nostra punizione esemplare e ci accordammo telepaticamente: giunti allo scatolone, con il medesimo gesto rapido e sorprendente, prendemmo lo scatolone per gli orecchi, come Nello faceva con noi, e lo incappellammo sull’esterrefatta guardia che, per la sorpresa ci lascio gli orecchi e scomparve dentro il cubo di cartone per quanto era lungo. Un gesto sconsiderato, di una destrezza irripetibile, che venne accolto dal boato di approvazione e ammirazione degli altri bimbetti, dalle risate degli uomini che fumavano Nazionali ai tavolini sotto il tendone del bar Atlantic e dall’umiliazione immeritata dell’uomo in divisa che, quando ce la fece a uscire dalla trappola trovò la piazza deserta. Una bravata che pagai caro quando il giorno dopo la mi’ mamma mi prese a granatate e mestolate, dopo che Nello l’aveva fermata per la strada per raccontargli la mia impresa e altre cosucce che non sapeva di me.
Per mesi evitammo accuratamente Nello e quella che credevamo sarebbe stata la sua vendetta che non venne mai. La verità era che Nello la guardia era un nostro maestro di strada che ci insegnava il lecito e l’illecito, un uomo con una concezione della legge di altri tempi. E il suo "Ragazzino … fuffufù … qui la palla!" ci è mancato subito, non appena la sua divisa impeccabile non si è vista più in paese.
Perché quella guardia coi baffi era in realtà i nostri pantaloni corti diventati lunghi, la nostra innocenza diventata malizia e il nostro paese diventato un altro, come è giusto e normale che sia.
Umberto Mazzantini