Sempre più spesso negli ultimi anni mi è venuto da esclamare “Eeh, bel mi' Stali'”, quando vedo cose che non mi sconfinferano, lasciando perplesso l'uditorio. Ovviamente non ho nessuna nostalgia del famigerato georgiano: conosco benissimo le nefandezze compiute sotto la sua dittatura. A me personalmente basterebbe pensare alla vita che ha fatto passare al compositore novecentesco che amo di più, Dmitri Shostakovitch, per odiarlo.
L'esclamazione quindi è un'interazione fine a se stessa. Ma è soprattutto uno dei ricordi più cari di Bolivio Palmieri. Probabilmente chi ha meno di trent'anni faticherà sempre più a capire che ci sono state generazioni di elbani che hanno sputato sangue (letteralmente) nelle dismesse miniere. Bolivio era uno dei campioni più veraci di quella generazione.
Una generazione che ha attraversato quasi interamente il Novecento, il secolo più convulso della Storia. A ogni scadenza di quarto, quel secolo ha presentato un mondo diverso dal venticinquennio precedente. Chi lo ha vissuto per intero non ha visto la Storia da testimone (come è capitato per esempio alla mia generazione), ma ci si è trovato dentro, spesso drammaticamente, come durante le due guerre mondiali. Finché le persone come Bolivio sono state in vita, quelli come me hanno avuto la fortuna di parlare con testimoni diretti della Storia. Anche se vissuta dalla periferia, come poteva essere l'Elba. Ripeto, c'erano dentro tutti, in prima persona.
Bolivio i drammi della guerra e della miniera li aveva vissuti tutti. Una caduta da un traliccio lo aveva costretto a molti mesi di ospedale in continente. La miniera gli era costata l'amputazione di un dito della mano. Ma non gli aveva mai fiaccato la vena battagliera. Fino agli ultimi anni lo ricordo continuare a spendersi per il sindacato pensionati della Cgil.
Era orgogliosamente comunista, quando i partiti ideologici, pur con i loro difetti, erano prima di tutto un senso di appartenenza. E non rottami da buttare e sostituire da partiti/aziende e movimenti vari, di cui Silvio Berlusconi è stato iniziatore e (cattivo) maestro del presente. Bolivio ha conosciuto solo i primi anni di questa deriva. E non poteva che esserne contro. Per fortuna non ha assistito ai trionfanti berlusconismo e leghismo del nuovo secolo, altrimenti chissà quanta sofferenza. Quando per provocarlo gli dicevo per battuta: Ma sai che questi berlusconiani mi convincono, quasi quasi al prossimo giro Silvio lo voto anch'io! Lui sbottava: “Su, ragiona perbenino! Altrimenti mando 'n culo anc'a te!”. Esclamazione che faceva il paio con: “O anco tu 'un si mica più normale!”, con cui mi rampognava ogni volta (spesso) che irridevo a una situazione che a lui pareva invece seria.
Era comunista ma non fino al cieco settarismo. Quando gli chiesi informazioni su Gastone Garbaglia, il fascistissimo direttore delle miniere elbane durante il ventennio, disse: “Gastone era sì un fascistone, ma un brav'omo. Se c'era d'aiutà un paesano, l'aiutava”. Alcuni però mi dicevano che era tremendo, chiedevo. “Te l'ha detto gente no di Capoliveri. O assennò chi 'un lo poteva vedè”.
Però sconti al regime non ne faceva di sicuro. Per dire, non accettava il fatto che la burocrazia fascista gli avesse cambiato nome in Prelivio: “Me lo cambiò quello stronzo di Mussolini!” E lo diceva come se il duce in persona si fosse presentato all'anagrafe capoliverese per fargli dispetto!
Che per la legge si chiamasse Prelivio, a Capoliveri probabilmente lo sapevano al massimo in quattro. E uno di questi era l'unico che così lo chiamasse. Quando gli chiesi il perché, Bolivio rispose: “O quello da giovane era carabiniere! Anc'assai che 'un pensa che Prelivio è il mi' cognome e Palmieri il mi' nome!”
Già, ma perché Bolivio? “La levatrice, che era anarchica, un giorno fa a la mi' mamma: Siete sempre fissati co' 'sti nomi di santi! O chiamatelo co' un nome rivoluzionario! E siccome leggeva un libro su Simon Bolivar, mi fece chiamà Bolivio”.
Come tutte le generazioni del passato aveva un sacro disprezzo per gli sprechi e i consumi. E questo le rendeva molto più moderne della nostra. Adesso ricordo con immenso piacere, ma all'epoca mi metteva un po' in imbarazzo, quando davanti agli altri diceva: “Prendete esempio da questo ragazzo, che si fa quattro volte al giorno a piedi du' chilometri, da casa al lavoro, a volte anche sotto l'acqua. Invece voi dovete piglià la macchina anche pe' fa' 50 metri. Pe' voi la benzina dovrebbe costà 50mila lire il litro, altro che dumila!”.
Un'altra esclamazione tipica di Bolivio era l'”Ammazzàlli tutti!” che chiudeva ogni discussione vertesse su autori di misfatti di qualsiasi natura. Una volta, ricordo, la rincarò anche con un “E se il giudice li assolve, ammazzà pure a lui!” Sia chiaro, esattamente come il “Eeh, bel mi' Stali'!”, versione casereccia del “Addà venì Baffone!”, si trattava solo di sfoghi verbali di un buon uomo, nei fatti lontano da ogni violenza, ma che aveva un ferreo senso di ripulsa per le ingiustizie e le prevaricazioni, che troppo spesso nella vita aveva dovuto vedere.
I suoi coetanei mi raccontavano che questo tratto del carattere lo aveva ereditato da uno zio, Napoleone, che al pari suo usava esprimersi con le stesse asprezze: “Quando, pe' dì, c'era 'no sciopero 'n cava, Napoleone diceva: Biogna andà da' capi e ammazzalli tutti! Ma poi 'un faceva mica nulla. Era un bonaccione anco lui, come il nipote”.
D'altra parte Bolivio aveva un modo di fare schietto che conquistava subito. Non mi stupiva quando mi disse che un regista tedesco, che stava girando un film a Capoliveri, vedendolo in piazza a chiacchierare con gli amici di sempre, gli facesse fare una comparsata. Con quella faccia segnata dalla miniera, era la meglio elbanità incarnata.
Negli ultimi anni quegli accrocchi di pensionati sulle panchine della piazza, alla speruccia di sole, non mi sono sembrati più gli stessi, senza di lui, che era il dominus delle discussioni, con la bella voce baritonale, magari arrochita dall'età, ma mai fioca o spezzata.
Ora sono vent'anni esatti che ci manca. Ma anche questo fa parte del gioco della vita. Che a volte ci riserva la fortuna di incontrare belle persone.
Andrea Galassi
p.s. La foto di Bolivio è tratta dal libro “Capoliveri Ritratto d'un amico difficile”, di Henky Hentschel, Monaco, 1982.