Le parole sono come pesci, guizzano, le prendi all’amo o nel sacco luccicante di un’altra rete straniera, vivono, migrano, si estinguono cambiano senso e danno senso, scompaiono, si inabissano, ritornano a galla quando meno te lo aspetti, nella memoria o in una frase di un vecchio. E restano lì, a scodinzolare all’aria, a cercare un altro respiro e un altro mare in cui notare.
Ci sono parole dimenticate terrestri e marine, dinosauri e ittiosauri, ma quelle di mare sono più luccicanti, bagnate, salate, misteriose e saporite. Spariscono, si inabissano e ricompaiono dopo un tempo infinito, come uno zifio col suo sorriso di anatra, o sfolgorano all’improvviso nella memoria, come una stella marina rossa buttata dal mare su un tappeto fresco di aliba.
Le parole si dimenticato: nessuno sa più cosa voleva dire ciuttata (tuffo di testa) o insalatina (tuffo di piedi, a candela… chissà perchè?) e la cocomerata - che era il ricordo di feste popolari col palo insevato al moletto quando si spaccavano i cocomeri annidati sotto le gambe e le chiappe con un balzo per toccare il fondale – è diventata tuffo a bomba. Il marinese, che è un linguaggio bastardo senza dignità di dialetto, una parlata di frontiera a metà tra l’italiano corrotto dei marinai e il corso italianizzato dei contadini, è stato livellato dalla scuola e dalla televisione e nuovi pesci si tuffano dal Moletto del Pesce.
E anche i pesci sono cambiati: le Dragane velenose della nostra infanzia sono diventate tracine e sono scomparse, insieme alla sabbia, di fronte alla spiaggia della marina. Non si vedono più Coravalli a pattugliare le fondamenta vive del molo, sono diventati ombrine e non si fanno più trovare, se non raramente in qualche piatto di ristorante.
E le Petate, con le quali innescavamo le nostre lenze per pescare cazzi di re, cacì, fischi e le perchie, tigrate come piccole tigri marine, hanno un nome e cognome: Paguro Bernardo. E solo ora abbiamo capito che la casa conchiglia nella quale nascondono il loro addome molle era rubata ad altri, ma frantumarla con un sasso per sfrattare l’occupante abusivo non era un atto di giustizia. La casa è un diritto, diceva qualcuno.
Sono rimaste le Margherite, i grossi granchi dalle lunghe chele irti di punte, ma sempre più elbani di adozione le chiamano granceole. E’ un nome che sta sfumando, che resiste solo perché è floreale, evocativo, da menù.
Presto ci dimenticheremo di Zeri e Frugaglie e sciapichelli. I piccoli Gorani che saltavano a migliaia inseguiti dai Ragni (branzini), facendo rabbrividire la pelle del mare, per finire in fritture paradisiache, sono diventati rari come un elefante di foresta, un nome che in molti non evoca più niente, nemmeno il sapore.
E nessuno fa più la zuppa di granite, le littorine, le lumachine di mare appuntite, color del granito degli stessi sassi affioranti che affollavano insieme ai granchi neri. Migliaia di esseri, numerosi come le parole di un vocabolario, scomparsi in silenzio, assassinati da un velo di benzina, da un cambiamento impercettibile, da una nuova abitudine, proprio come le parole che perdiamo lungo la strada del tempo e della memoria.
Resta - ancora per quanto? – tra quel che rimane di quegli scogli e tra i nuovi ammucchiati, il granchio frullone, il favollo, con le sue chele terribili e la sua carne appetitosa nascosta sotto un dura corazza.
Sparite le grandi lampate/lampade pelose (patella ferruginosa) ci accontentiamo di quelle più piccole per fare sempre più rare pastasciutte. E ci siamo mangiati le parole: abbiamo scoperto le lampate reali, con i loro riflessi di madreperla, bucate come gli orecchi “tribe” di una bella ragazza, si chiamano in realtà orecchie di Venere e che la Venere del Tirreno doveva avere orecchi più piccoli di quella dell’Adriatico.
Il Ferone ciarliero e fischiante è ormai diventato un tursiope e la Tacca di fondo non ci racconta più dello squalo bianco che era, di tonni e tonnare.
Il pesce buldrocche è sparito insieme al blecche che incatramava i sassi della spiaggia e i nostri costumi da bagno.
Piangono ancora la notte al largo, lontane da tutti, le parlantelle, le berti maggiori e minori, forse per incantare pesci e pescatori con le parole scomparse che catturano all’alba e che ogni tanto affiorano dal mare eterno, come creature dimenticate eppure vive.
Umberto Mazzantini