Come è triste il mio paese d'inverno, ha quasi l'aspetto di un paese abbandonato.
Oggi è Domenica, sono uscito al mattino e sono andato in piazza.
In giro non c'era nessuno nonostante la Messa imminente, chiusi i due bar della piazza. Non c'entra niente la pandemia, è la desolata normalità di ogni domenica.
Lontano il clamore delle domeniche che ho vissuto nella mia infanzia.
Allora, anche nei giorni feriali d'inverno, il paese era sempre animato e vivace, anche se molti, uomini e donne, erano a lavorare in campagna. Intenti a coltivare le vigne che occupavano le nostre vallate, dalla montagna al mare o nei boschi di castagni a raccoglierne i frutti, curarli e procurarsi la legna per il fuoco.
La domenica no, non si lavorava. Una volta accudito il bestiame, per chi lo aveva, gli uomini si riversavano nei bar della piazza, alcuni, con le donne e i bambini, andavano a Messa. Finita la Messa ci trovavamo in piazza per giocare e dai bar affollati giungevano le imprecazioni di chi perdeva alle carte e le risate quando qualcuno raccontava una storiella o sfotteva chi aveva perso la partita. Oggi il paese vive solo da giugno a settembre, poi va in letargo.
I camini non fumano più, non si sentono le donne parlarsi da una finestra all'altra mentre stendevano i panni ad asciugare, sempre più rappezzati. Rari sono rimasti anche i vasi di fiori che facevano mostra vicino alle case.
Non ci sono bambini a rincorrersi nei vicinati, solo qualche gatto qua e là che contende ad altri il suo territorio.
Più vado avanti, più il cuore si stringe, silenzio di tomba. Comincio a salire, non ve l'ho detto, il mio paese è fatto solo di scale, di volte e, di tanto in tanto, un vicinato che spiana o una piazzetta con la sua fonte.
È un eterno racconto, ma che nessuno racconta più. Chissà, forse non interessa a nessuno o, forse, ci si vergogna di raccontarlo per paura che non interessi a nessuno. Abbiamo sempre bisogno che qualcun'altro venga a parlare di noi, come se non fossimo capaci di raccontarci o, peggio, come se non avessimo niente da raccontare.
Con questi pensieri continuo a percorrere i miei vicinati, salire le scale di granito, consumate dal tempo e dai passi, riparate qua e là senza amore, senza il minimo rispetto per la storia. Eppure, a guardare bene, queste pietre ne hanno di cose da dire.
È solo questione di occhi, questione di cuore.
Arrivo, con questi pensieri, fino alla mia auto, cerco le chiavi e parto, a cercare un caffè, a cercare qualcuno, perché anche in questa stagione c'è gente che vive, che non va in letargo e, soprattutto, che ti presenta il conto quando ti accorgi che c'è.
Antonio Berti