La mia Costarella è una strada ancora sterrata in una mattina di sole radente, a primavera, mentre con Franco Galletti, forse avevamo 14 anni, scendevamo dalle curve dello Zega, provenienti da chissà dove e intorpiditi da una notte infreddolita di salsicce arrosto e scaldata di pessimi liquori, ci trovammo davanti Mario Papi, solo e stazzonato, allampanato come è sempre stato, scaturito chissà da dove e perché, che proseguì con noi la strada in discesa, scudisciandoci con l’ironia di chi ci sembrava molto più grande di noi (avrà avuto si e no 16 anni).
Fu allora che intorpiditi anestetizzati di sonno e cazzate, sentimmo il muggito di un motore ferito e vedemmo una macchina, l’ultima che non ci aspettavamo, del rally dell’Elba, che seguivamo senza interesse vero da un paio di giorni, sbucare dalla polvere delle derapate sulle curve strette dello Zega e puntarci addosso come se non ci fossimo.
Io e Franco ci buttammo in un salto abbandonato di polvere e buscioni, Mario corse avanti con le braccia aperte, svolazzante e ridente come un grosso pipistrello della frutta che avevo visto in un libro sull’Australia, solo davanti alla macchina che mangiava la strada come un lupo affamato. Sparì nella polvere e nel rumore, nella luce radente di un’alba appena finita.
Con Franco guardammo terrorizzati la strada nella nuvola di polvere aspettandoci di vedere l’indicibile, ma quando la polvere si posò Mario svolazzava ancora davanti a noi come un pipistrello e ci prendeva per il culo perché il nostro tuffo tra i buscioni ci aveva ridotto ad un impasto di sangue, terra e vestiti strappati.
Per un po’ credemmo che Mario Papi potesse volare… e forse quel giorno di primavera, prendendo slancio proprio sulla ripida e verde discesa della Costarella, oggi sconciata dal cemento, lo fece davvero e forse non ha più smesso di farlo per una vita troppo breve, finché non è volato via davvero.
Con Franco quella strada la avevamo percorsa per anni per andare a rubare castagne ai marcianesi, poi è stata la strada degli allenamenti di corsa, dove Franco ci infliggeva brucianti lezioni scattando come un centometrista che ci lasciava ad arrancare su salite inclementi, è stata la strada di gare sconsiderate e di disastrosi pattoni in vespa, di qualche generosa ragazza che ripagavamo con uva e fichi rubati e con l’odore del fieno e il canto dei grilli in notti stellate.
Chissà cosa ne penseranno Mario Papi e Franco Galletti, nel bar “Campari” del paradiso degli angeli polverosi, di quanto sta succedendo oggi su quella strada che fu uno dei confini invalicabili della nostra infanzia ed una delle scorciatoie dell’avventura e delle pazzie della nostra gioventù, dove tutti imparammo un po’ a prendere il volo?
Umberto Mazzantini