Giovanni veniva dalle navi da crociera e approdò al ristorante La Fiaccola, in Piazza di Sotto (del Cotone) a Marciana Marina, dove divenne subito caposala. Tornò a La Marina probabilmente per amore.
Io ero ancora un bimbetto (non mi ricordo se facevo ancora i conti o già il cameriere) e non sapevo ancora che di quel ragazzo col naso grosso, la voce tonante e un’allegria brusca sarei diventato un giorno compagno, ma intanto guardavo meravigliato i camerieri pedalare ai suoi ordini e l’apparecchiatura e il servizio della Fiaccola cambiare, mentre Mario Berti, il padrone pittore e un po’ poeta del ristorante, guardava il tutto con compiaciuta soddisfazione dal passapranzi e Alfio dispensava più battute del solito.
Con Giovanni finì l’usanza di non accettare chi ordinava solo un primo o un secondo (cosa impensabile oggi), ma ne introdusse un’altra che curava lui personalmente: quando qualcuno a fine pranzo – di solito qualche tedesco, ma non sempre – ci chiedeva in tè o un cappuccino, noi dovevamo chiamarlo e lui lasciava ogni incombenza e si precipitava a spiegare che alla Fiaccola cappuccini e tè non ne facevamo ma che c’era un bar, a meno di cento metri di distanza, che faceva quelli che erano considerati i migliori tè d’Italia e che per i cappuccini era almeno tra i primi 10 della nazione: il Gran Bar La perla. E aggiungeva di chiedere direttamente a Sergio e di dire che li mandava Giovanni.
Le prime volte che successe, gli urli e gli improperi di Sergio della Perla, che considerava un sacrilegio fare un tè e un’onta servire un cappuccino al di fuori del canonico orario della colazione, li sentivamo dalla Fiaccola e Giovanni se la rideva sotto i baffi mentre sporzionava un pesce con maestria o ci indirizzava ai tavoli con piatti e bottiglie. Poi Sergio della Perla cominciò a ripagarlo con la stessa moneta e il pellegrinaggio di tedeschi amanti del buon tè e del cappuccino fuori orario cominciò a prendere anche il percorso contrario – dalla Perla alla Fiaccola – fino a che i due amici non firmarono una tregua estiva che lasciò i tedeschi senza più nemmeno l’illusione del tè.
Ma Giovanni aveva lasciato l’oceano per amore perché si era fidanzato con Maria (delle Sorelze) ed era ritornato al suo mare domestico – che poi avrebbe percorso sui traghetti della Toremar – dove scappava appena finito il turno di lavoro per prendere il guzzo e andare a fare il bagno con Maria. E un giorno portò la fidanzata alla Fiaccola, fiero e scherzoso, e la fidanzata rispondeva a tono e lo guardava con occhi che non avevo mai visti, e Giovanni la guardava come non lo avevo mai visto guardare nessuno.
Lì mentre osservavo quella complice gioia, ho capito che tutto quel che ci raccontavamo sull’amore nelle nostre ricostruzioni di bimbi non era vero: l’amore era quella roba lì che avevo davanti: due esseri umani che per me erano già grandi – e che in realtà erano ancora giovanissimi – che avevano deciso di affidarsi l’uno all’altra. Due complici in viaggio, in attesa che la vita procedesse verso la vita e altre vite.
A me che già sognavo l’amore furioso che leggevo nei libri, quella coppia che si capiva essere già definitiva sembrò quasi esotica, ma però solida come non ne avevo mai conosciute. La mi’ mamma e il mi’ babbo Jole e Veleno non li avevo quasi mai visti scambiarsi una tenerezza, non ero abituato a vedere la gioia complice che c’era tra quella giovane donna e quel giovane uomo. Ecco cos’era l’amore. Poi scoprii che era una roba difficile. Poi ho avuto la fortuna di incontrare una ragazza svizzera.
Di Giovanni, di Giovanni Pisani, ho altri ricordi, anche politici, di una politica che ci ha fatto compagni e poi visto prendere strade diverse, lui mi ha probabilmente sempre un po’ considerato il bimbetto della Fiaccola, io ci vedevo forse ancora il brusco capocameriere che ci faceva filare, polemico, ma sempre pronto allo scherzo, ironico come pochi. Le cose tra noi sono rimaste così, anche quando mi fermava per strada per segnalarmi una cosa che non gli garbava, per chiedermi di intervenire come Legambiente.
Non ho potuto ricordarlo quando se n’è andato senza avvertire nessuno. Lo faccio ora - passato il tempo che credo sia abbastanza per garantire la riservatezza di quest’uomo vulcanico e appartato allo stesso tempo - per ringraziarlo di quel che mi ha fatto scoprire in un giorno d’estate di un anno che non ricordo. Quando guardando il mare dal Cotone vedevi il futuro.
Umberto Mazzantini