Non eravamo parte dei "poveri" quelli veri, che andavano a prendere la minestra dell'ECA (Ente Comunale di Assistenza), no, grazie a mio padre che lavorava come due bestie, ogni giorno festività incluse, e pure a mio fratello, che già da adolescente seguiva le sue faticate orme, ma anche grazie alla oculatezza di mamma Rosina che amministrava al meglio le magre finanze familiari, sono cresciuto nel dopoguerra ferajese, nutrito, vestito e calzato in maniera decente. Non era poco per l'epoca.
Ero nato (in una casa di due stanze col "gabinetto" all'esterno e senza acqua corrente) al Brunello, e quando a Pasqua del 1952 ci trasferimmo in centro, in Via Guerrazzi, la "nuova" abitazione, con addirittura tre camere (vabbé, una era di passaggio ma c'era), e nientemeno che il "bagno" in casa, con tanto di WC, sembrò agli occhi dei miei quattro anni, "moderna" e sterminata.
Ricordo ogni minuto particolare di quella casa di Via Guerrazzi (più comunemente chiamata Via di Porta a TeRa), e di cosa si scorgeva dalle sue finestre: le "Macerie" lasciate dalle bombe, ancora non sanate (dove oggi sorge il palazzo del Tribunale), le altre ferite alla Linguella, oltre la Darsena, con la "ToRe di PassaNante" (noi feRajesi con le doppie non abbiamo mai avuto troppa dimestichezza) sventrata dalle bombe, enorme osceno dente cariato.
Ma due opposti elementi-caratteristiche mi ricordo ancora di quel luogo: il freddo, contrastato nei giorni più rigidi solo dalla stufa di ghisa (comprata da Lanciotto), che bruciava legno in sala, ma ancor di più il caldo, che calava dal tetto in parte non soffittato, spietatamente, anche di notte, e impediva il sonno o lo rendeva vulnerabile da qualsiasi rumore; il caldo, contro il quale c'erano poche e punte difese, perché, come si diceva in quel versante occidentale marcianese che aveva contribuito a mescolare i miei cromosomi: "quando fa freddo ti còpri, e se fa più freddo ti ricòpri, ma quando fa caldo che ti sei cavato anco l'ultima maglia, se fa più caldo, che ti cavi? La pelle?"
Facendo di necessità virtù eravamo però abituati fin da piccoli ad accettare gli elementi atmosferici estremi a conviverci, nelle case non c'erano neppure i frigoriferi, figuriamoci se qualcuno stava a pensare di poter pensare di raffreddare artificiosamente l'aria.
Ma crescendo, ci siamo "sciupati", la mia generazione e quella immediatamente successiva hanno dato prova di una "imbecillità globale", nella ricerca spasmodica ed egoistica del comodo, del "confortable" (yes Fratini) contribuendo a fare di questo pianeta sempre più un invivibile forno.
Premesso che ancora vivo in una casa senza aria condizionata, non sono un santo, mi assumo una parte di colpe, ho bruciato inutilmente tonnellate di carburante in spostamenti superflui, sprecato una quantità spaventosa di acqua, energia elettrica etc. Ci ho messo troppo tempo a capire ed accettare di compiere alcune (poche) buone pratiche, soprattutto nell'interesse di chi mi sopravviverà.
Tuttavia ci provo a spiegare una cosa che dovrebbe essere intuitiva.
Cari concittadini girando quella manopola che abbatterà nelle vostre case, esercizi commerciali, uffici le temperature interne di 10 gradi, vi godrete delle frigorie sì, ma genererete anche contemporaneamente sia direttamente che indirettamente, all'esterno ancora più calorie, fornendo il vostro contributo di invivibilità presente e soprattutto futura dell'ambiente.
Certo, voi non ci sarete più: sarete a farmi compagnia dai Bianchi o dai Neri in Via Mentana, ma ci saranno i vostri e miei nipoti e pronipoti a maledire la nostra stupidità.
Mi è venuto a pensare a due nostri discendenti, ad esempio seduti alla Facciatoia di San Piero, ad osservare le rovine ormai subacquee di quella che oggi è Marina di Campo, con uno che dice all'altro: "... e pensa che tutto questo è successo anche perché quei bastardi, tra l'altro, volevano gira' in mutande per casa d'inverno, e sta' con le palle in diaccio d'estate..."