“Ma la vecchiezza è una Roma, senza burle e senza ciance, che non prove esige dall’attore, ma una completa ed autentica rovina”.
Durante la mostra delle opere di Andrea Pazienza che organizzammo nel 94 alla Grotta Azzurra (e che probabilmente resta l’evento espositivo più bigliettato nella recente storia ferajese), questi allegri versi di Boris Pasternak, scrittore e poeta russo perseguitato dai comunisti (veri), Premio Nobel che l’assessore non ha mai letto, furono scanditi un’infinità di volte dal video che corredava la mostra.
Tante volte risuonarono quelle parole tra le volte della sala, che per i tre temerari che, per offrire agli elbani ed ospiti qualcosa di meno provinciale, cafone e ghiozzo del solito, si sciagattarono un’estate, rimettendoci pure soldi (vale a dire Alessandra Foresi, Massimo Zottola e chi scrive), esse erano diventate una sorta di comico tormentone.
In qualsiasi occasione bastava che uno dei tre attaccasse “Ma la vecchiezza …” perché gli altri proseguissero in mono o in stereo con tono da litania: “è una Roma senza burle e senza ciance, che non prove esige dall’attore, ma una completa ed autentica rovina!”
Orbene, sapete cari lettori, cosa ci ha fatto ripescare dal pozzo della memoria quei quattro versi? La foto della faccia di un attore, già maestro di burle e di ciance, devastata da una vecchiezza vissuta senza la dignità dell’invecchiare, segnata da inutili stregonerie e artifici che non fermano il tempo, la faccia di un patetico Narciso che legge, nello specchio creato dalla superficie di quella che ormai è diventata una sudicia pozzanghera dell’esistere, l’immagine di una completa ed autentica rovina.
Roba da Plasil vedere quella faccia di prima mattina, ancor prima del caffè … per fortuna che il foglio elettronico ne propone un’altra più amena accanto: quella di un poeta molto più grande di Pasternak, un ex-comunista che si bea di usare il termine “comunista” come un randello, anche contro chi comunista non lo è mai stato. La faccia del cantore del padrone che, con grande sprezzo del ridicolo, scrisse l’ode immortale: A Silvio - Vita assaporata/ Vita preceduta/ Vita inseguita/ Vita amata./ Vita vitale/ Vita ritrovata/ Vita splendente/ Vita disvelata/ Vita nova.
Leggo pure che il mellifluo e molliccio ex-ministro della Cultura (come dire che tutto è possibile, pure intitolare ad Erode una scuola d’infanzia) da bardo leccatore si è trasformato nientemeno che in aspirante eversore, paventando o minacciando addirittura una guerra civile; sintetizziamo in endecasillabi : “Da forte pugnerò contro lo Stato – se non si salva il culo del mio amato”.
Leggo, ed anche se quello che afferma costui è di una inaudita gravità istituzionale, mi scappa da ridere, non mi riesce di collegare le sue ballonzolanti cicce, la sua vocina da fine dicitore di fiere paesane, ad alcunché di guerresco e marziale, men che mai di guerrigliero. Vedo una gelatina con l’armatura, mi immagino un budino con l’elmetto, vagheggio il poeta brindare “hasta la victoria siempre!” sorseggiando un Silvio-Libre (brodo di dado, viagra e rum) , ed ho già in mente il titolo del film: “La Guerra dei Bondi - La sanguinosa lotta dei Barbapapà!”