Tra le sensazioni “fisiche” del mio essere giovane che ricordo con maggiore piacere, c’è la nuotata delle otto di sera alle Ghiaie che andavo a farmi nei giorni in cui montavamo con i “tubi Innocenti” (tonnellate di ferro e centinaia di metri di incannucciate) il “villaggio” della festa dell’Unità nei Giardini.
Il sudore di tutto un pomeriggio impastato con la polvere, le mani sporche di ruggine ed indolenzite per quello stagionale esercizio operaio, i muscoli tesi dai ripetuti sforzi compiuti, come per incanto si scioglievano in quell’acqua calda, liscia e pulita mentre il sole se ne calava dietro Capo Bianco e la spiaggia veniva abbandonata anche dai più “tiratardi” tra i bagnanti finalmente vinti dal richiamo della frittura di paranza, del melone e prosciutto, della fetta di cocomero.
Ricordo che dopo essermi “allargato” per un po’ tornavo a terra lentamente nuotando con la testa fuori dell’acqua abbracciando con lo sguardo tutta candida striscia di sassi con sullo sfondo qualche luce che iniziava timidamente a farsi notare.
La sentivo più mia la spiaggia della sera, (benché di giorno non ancora assediata da lettini, ombrelloni e ammennicoli come oggi) mi appariva depurata, “resettata” - si direbbe attualmente - dai vocii, dall’insopportabile fetore degli abbronzanti allora di moda “Coppertone” ed “Ambra Solare” dai numerosi “foresti” che li riconoscevi subito, perché sulle ghiaie avanzavano con difficoltà, con i pieni allargati come i paperi.
Una sera dell’estate 1978, a Festa dell’Unità iniziata, dopo un pomeriggio in cui alla rotonda dei giardini si era tenuto un “incontro-dibattito” con Giorgio Napolitano (proprio lui), andai a farmi la solita nuotata, ma nel caso, forse richiamato dal copione del destino, o meno poeticamente perché c’era corrente di terra che mi avrebbe fatto faticare a tornare indietro, restai sottocosta, andando ad Est, “doppiando” la punta del Gronchetto, e finendo sotto la “Muraglia”: una parete a picco davanti e molti metri di un fondale improvvisamente distante sotto, un angolo di una bellezza struggente dove di esseri umani (a parte le vestigia dei bastioni) non c’era traccia alcuna.
Fu allora che avvertii un forte “stchaff”, una botta sull’acqua che mi fece volgere di scatto la testa; a meno di cinque metri da me c’era un delfino (tursiope avrei più tardi imparato a precisare), che mi guardava e mi pareva stupito almeno quanto io di lui, solo che in quell’occhio, chissà perché, lessi anche un irridente cetaceo pensiero: “Che cazzo di pesce è questo coso bianchiccio che nuota così male?”. Ma dopo tre/quattro secondi evidentemente il mio occasionale conoscente pensò di avere cose più importanti da fare, come ad esempio rimediare la cena, inarcò la sua potente groppa e sparì, lo vidi “riaggalare” molto distante in direzione di Capo Vite, poi mai più.
Mi rendo conto di non aver mai scritto, e pure raccontato poche volte a voce di questo episodio, forse influenzato da quanto accadde di lì a pochi minuti, quando, al solito, raggiunsi casa dei miei, che abitavano ad un tiro di schioppo, per fare la doccia, e tutto “infanato” raccontai a mio padre dell’accaduto …
“E allora – mi smontò gli entusiasmi – hai visto un dorfino ‘n mare, sai che novità! L’avessi trovato a fa’ funghi sul Monte de le Puppe … - e poi - ma Napolitano che ha detto?”