A guardare i programmi sportivi in tv e a leggere i giornali si prende atto che, spesso e volentieri, in bella mostra ci sono loro, i procuratori sportivi, perché è argomento d’oro profetizzare sulla sorte dei loro assistiti, per cui la domanda sorge spontanea: saranno mica loro che spostano gli equilibri?
Se hanno tutta questa risonanza, che nemmeno Yuri Chechi ai tempi d’oro, evidentemente sì.
No, dico, ma ce li vedete questi qui, egocentrici arroganti (alcuni), catapultati una quarantina d’anni fa chiusi in stanza al cospetto di, che ne so, Boniperti o Dino Viola, Mantovani o Lugaresi, Anconetani o Costantino Rozzi, Massimino o Sibilia?
Ce li vedete a dettar legge in quel contesto lì?
Sì, certo, come no: all’uscio, ma non della porta, del portone; oppure, a seconda del personaggio di che trattasi, appesi all’attaccapanni, come minimo.
Ma tant’è, il mondo (del pallone e non) ora va diversamente.
Postare in rete video di serpentine, acrobazie e mirabilie di pargoli nel pieno dell’infanzia, siamo proprio sicuri che sia nell’interesse dei pargoli stessi?
Volete voi questo calcio, quello in cui a volare con la fantasia è, più che altro, tra un bercio ed un’imprecazione, qualche genitore folgorato/a (anche le signore, hai voglia) da un’illusione di cartapesta? Io no.
Rivoglio il calcio di un tempo, quello in cui a sognare ad occhi aperti erano i bambini e basta.
Rivoglio quelle partite nei campetti sparsi in qua e in là, nei cortili o dove capitava.
Rivoglio quelle partite con le porte fatte coi giacchetti o i sassi più grossi, con traversa e pali e immaginari, come i confini del campo del resto.
Rivoglio quelle partite dove il pallone ufficiale era il super tele svolazzante o il tango di gomma, oppure eccezionalmente di cuoio spelacchiato rimediato chissà dove.
Rivoglio quelle partite senza l’arbitro, tanto non serviva, perché all’atto pratico nessuno imbrogliava, o meglio, nessuno si faceva infinocchiare da nessuno, era la prima regola.
Rivoglio quelle partite dove tutti, robusti e mingherlini, prepotenti e timidi che fossero, odiavano la sconfitta, era la seconda regola.
Rivoglio quelle partite dove ognuno dava l’anima anche e soprattutto per sovvertire le gerarchie, perché poi la volta dopo, quando si rifacevano le squadre, tra i bravi era un onore essere scelti per primo e tra gli scarsi un’onta per ultimo.
Rivoglio quelle partite dove se ti facevi la bua, guai a frignare.
Rivoglio quelle partite col portiere volante, a porta unica, a porticine o tutti contro tutti.
Rivoglio quelle partite dove ma sì dai, a tre angoli è rigore. E di tacco se a porticine.
Rivoglio quelle partite dure, tirate alla morte, dal risultato finale come nel basket e ben oltre.
Rivoglio quelle partite a tutte le ore, buio compreso, immuni da caldo e sete, freddo e pioggia, che quando rincasavi più tardi del dovuto, o infradiciato, erano dolori.
Rivoglio tutto questo come regola, non come eccezione: è fattibile? Mi sa tanto di no.
Il calcio giovanile del nuovo millennio è solo e soltanto al campo sportivo, sintetico d’ordinanza - niente più ebbrezza del fango, niente più fascino di scivolate interminabili, niente più ingegno nel calciare di punta palloni pesanti come macigni - e poi? Non si sogna quasi più, si fa il compitino telecomandati nel labirinto dei cinesini, il più delle volte assopiti in scrupolose applicazioni tattiche.
Casomai il sogno è quello di convertire in pratica moduli di gioco teorici, derivanti da filastrocche di numeri con cui sovente ci si riempie la bocca… se poi lo stop a seguire (pardon, controllo orientato) va in fallo laterale, pazienza; se poi la crema di queste generazioni, quando cresce, non si qualifica a ripetizione per i mondiali, pazienza un’altra volta.
La strada: come ti forgia il carattere (e anche la tecnica e i riflessi se è per quello) lei, non ce n’è.
Ma questo è un altro discorso. O forse no.
Rivoglio l’essenza del gioco del calcio.
Rivoglio veder palleggiare con naturalezza per più di cinquanta tocchi. Anche dai grandi, certo.
Rivoglio la fantasia al potere.
Rivoglio il libero sfogo del dribbling in tutte le sue infinite forme.
Rivoglio la sfrontataggine del tunnel.
Rivoglio la spensieratezza del colpo di tacco, ormai questo sconosciuto, censurato com’è.
Rivoglio il coraggio nel tirare in porta al volo da più di trenta metri.
Rivoglio lo stopper, il mediano, il terzino, l’ala e la mezz’ala; tenetevi pure il centrale, l’interno, l’esterno e il trequartista (o presunto tale).
Rivoglio il contropiede, quello vero, che con due passaggi di prima sei in porta, macché sterili ripartenze e costruzioni dal basso da kamikaze.
Rivoglio, anche soltanto per difendere sui calci piazzati (è una supplica!) le marcature a uomo, così almeno, quando l’avversario segna, il colpevole magari si responsabilizza un po’.
Tutte le categorie e serie pullulano di bomber, quasi mai dei fenomeni, da venti e passa gol all’anno: mah! Logica voleva che i fenomeni (quelli sì), se andavano in doppia cifra, era grasso che colava.
In ambito professionistico invece andiamo come andiamo, con la rivoluzione da urlo che c’è stata.
Rivoglio i numeri dall’1 all’11.
Rivoglio il pallone a scacchi bianchi e neri.
Rivoglio le partite alla domenica pomeriggio, la schedina del totocalcio e solo quello.
Rivoglio il 90° minuto come una volta, senza tante scollature e cosce lunghe.
Rivoglio, dulcis in fundo, la domenica sportiva con i suoi servizi irripetibili, con le immagini che dell’azione non ci si capiva nulla da quanto le telecamere erano piazzate a pelo d’erba, ma vuoi mettere la poesia di quei testi, un mix di competenza in materia, cultura e folklore?
Rendevano magia quei servizi, perché anche se non vedevi, ci arrivavi lo stesso con la fantasia.
Già, la fantasia, gira e rigira si ritorna sempre lì…
Stop signori, fine dei tuffi nostalgici, passiamo ora alla realtà, alla cosa, una sola ahimè, che si può ripristinare, maledettamente sul serio e subito.
Mi rivolgo dunque a voi, esimi governanti del calcio.
Fate del gioco più bello del mondo ciò che volete, tecnologia a supporto, merchandising (in inglese fa più effetto), diritti tv, calendari frastagliati, amichevoli e coppette - mica tanto, tra un pochino anche i mondiali, a Natale (sic!) - nei giardini sfarzosi del sultano, ed ogni quant’altra diavoleria vi passi per la testa, ma, per l’amor di cielo: l’arbitro fosforescente no.
Assolutamente no, ridatecelo vestito come si deve.
Rivoglio poter apostrofare l’arbitro, quando prende un abbaglio, “corvo neroooo”.
Non è una supplica, è una pretesa.
Eccheccazzo.
Michele Melis