“Il passato non è mai morto. Non è neanche passato”, scriveva William Faulkner; e a guardare i notiziari di questi tempi la sua riflessione appare di tutta evidenza. L’illusione della pace mondiale dopo la Seconda guerra mondiale è nata dal desiderio di non rivederne mai più gli orrori: ma era pace armata, e dunque ‘conteneva’ la guerra -e infatti si parlava di “Guerra fredda”, di “Cortina di ferro”-; e la guerra si manifestava in tanti “conflitti locali” definiti “minori” solo perché lontani dagli occhi e dalle nostre case -o magari più o meno vicini ai nostri interessi economici-.
Ogni giorno sentiamo di essere insidiati dal “Bellum omnium contra omnes” -“la guerra di tutti contro tutti”- con cui l’inglese Thomas Hobbes (1588-1679) descriveva lo “stato di natura”: una guerra permanente e universale, uno stato in cui, non esistendo alcuna legge, ogni uomo guidato dal suo istinto cerca di eliminare chiunque si frapponga al soddisfacimento dei propri desideri. Per questo Hobbes proponeva un “contratto sociale” con il quale l’individuo -rinunciando in parte all’arbitrio del proprio istinto e alla propria libertà- accettava di condividere con gli altri individui l’impegno al rispetto di una legge esterna e assoluta capace di distinguere torto e ragione, e assicurare la convivenza umana.
Cent’anni dopo ci provò Jean-Jacques Rousseau (1712-1778): partiva dall’idea che gli uomini fossero per natura “buoni” e che le istituzioni sociali avessero introdotto differenze e violenze -“Il primo che dopo aver recintato un terreno disse: «questo è mio!» e trovò altri tanto ingenui da credergli fu il primo vero fondatore della società civile” e dell’ingiustizia-. Era dunque necessario tornare allo “stato di natura” e per questo individuava lo strumento idoneo nuovamente in un “contratto sociale” che fosse espressione della “volontà generale”, e in virtù del quale la comunità di associati spinti dalla necessità diventa “popolo”. Ma sappiamo come sono andate a finire le utopie di Hobbes e di Rousseau.
Ancora cento anni dopo Karl Marx e Friedrich Engels nel Manifesto del Partito Comunista” (1848) affermano che “la storia di ogni società esistita fino a questo momento, è storia di lotte di classi”, combattuta tra oppressi e oppressori. Il “Manifesto” compie un’analisi storica delle forze contrapposte, di volta in volta incarnate in classi corrispondenti ai modelli produttivi -schiavi/padroni, contadini/proprietari terrieri, artigiani mercanti/operai garzoni, ecc.-, fino alla società nata dopo la “Rivoluzione industriale”, contemporanea agli autori, scandita in due classi principali: la borghesia e il proletariato. L’esito previsto -con la crescente proletarizzazione delle classi subalterne e la necessità per loro di liberarsi dallo sfruttamento; e la necessità interna al modello capitalistico che la borghesia ha abbracciato, di incrementare lo sfruttamento in nome del maggior profitto- è l’abbattimento della classe borghese e del capitalismo, e la vittoria inesorabile del socialismo. Ma, centosessanta anni dopo l’intellettuale socialista Giorgio Ruffolo, ancora osservava “Il capitalismo ha i secoli contati”.
La guerra ha una storia lunghissima. Già alle origini della nostra cultura i greci arcaici ne avevano narrato le origini. Con un mito, come facevano allora: “Ὁ μῦθος δηλοῖ”, “il Mito spiega”. Il dio della guerra è Ares -per i Romani: Marte-; figlio di Zeus -Giove- (padre degli dei e degli uomini, dio della folgore e della luce, del sereno e delle tempeste); sposo di Afrodite -Venere-, idealizzazione della bellezza e dell’amore. Ares e Afrodite hanno avuto almeno sei figli: Deimos, Phobos, Eros, Anteros, Imeros, Armonia.
Deimos è divinizzazione del terrore che la guerra suscita; Fobos la divinizzazione della paura che si prova di fronte alla guerra; Eros (Cupido) è il dio dell'amore fisico e del desiderio; Anteros il dio dell'amore corrisposto, e dell'amore che reclama e rivendica giustizia per i tradimenti; Imeros è la personificazione dell'amore impetuoso, del desiderio amoroso incontrollato; Armonia è la dea dell'amore romantico, dell'armonia e della concordia (anche fra soldati nemici).
Deimos e Fobos, secondo una delle molte “variazioni sul tema”, accompagnavano Ares in guerra -assieme alla dea Enio (l’urlo di battaglia, il furore: forse sorella dello stesso Marte; forse anche una delle sue spose)- ed erano i suoi aurighi. Dunque il dio della guerra era accompagnato in battaglia da due divinità che raffiguravano due forme della paura che la guerra suscitava: sgomento e terrore. “Il mito spiega” come senza provare paura e subire lo sconcerto della violenza e del pericolo non esiste neppure l’eroe. E a ben pensare, anche gli altri quattro figli di Ares hanno a che fare con i diversi aspetti della guerra, rappresentandone per contrappunto altrettante cause -Eros e Anteros, esemplarmente della guerra di Troia vista dalla parte di Elena e Paride e dalla parte di Menelao; Imeros della guerra scatenata dall’amore impetuoso (e dal suo contrario, l’odio, il rancore)-, o, nel caso di Armonia, l’antitesi, la pace.
“Il passato non è mai morto. Non è neanche passato”. Dopo quasi tremila anni la guerra incombe, con le sue motivazioni più o meno razionali, con le ragioni indefinibili, con le sofferenze inestinguibili (che neppure Amore-Venere riesce a vincere). E soprattutto con lo sgomento, il terrore, lo sconcerto, la paura. Tutti sembrano aborrirla, la guerra; ma puntualmente intervengono “giustificazioni” che ne allontanano la fine. Tutti sperano nella Pace.
Ma stando a quello che la realtà di ogni giorno ci racconta, anche la guerra “ha i secoli contati”.
Luigi Totaro