Quest’estate, passando accanto a un tavolo di un ristorante, ho sentito un uomo che conosco e che mi è molto simpatico dire con disprezzo ai suoi commensali: «E poi [il tale] è anche comunista…». Come una sentenza definitiva che sminuisce la credibilità di un’altra persona.
Mi sono tornate in mente le frasi che venivano dette dagli elettori democristiani di qualcuno che a Marciana Marina faceva politica o semplicemente votava della parte “sbagliata”: “E’ una brava persona… però è comunista”, oppure, «E’ un ragazzo intelligente… peccato sia comunista”, “E’ un vagabondo… si vede che è comunista”.
Poi, come un flash, mi è venuto in mente che il babbo di quell’uomo simpatico che parlava con disprezzo di un “comunista”, era comunista, era iscritto al Partito Comunista Italiano sezione di Marciana Marina che, ai tempi di Enrico Berlinguer arrivò ad avere 170 iscritti e diventò il più grande Partito de La Marina, superando perfino un altro grande partito defunto che fino ad allora era stato egemone: la Democrazia Cristiana.
Cosa è successo tra quella tessera del PCI del babbo e il disprezzo per i comunisti del figlio? E’ cambiato il mondo ed è stata seppellita e smembrata una storia popolare, gli ideali sono rimasti schiacciati sotto il cadavere dell’ideologia.
Eppure, i comunisti italiani e marinesi erano popolo e sangue e nervi di un’Italia che credeva davvero nel futuro.
Dalla guerra i comunisti marinesi uscirono come gli unici che avevano tenuto davvero testa al fascismo, erano quasi tutti comunisti i marinesi schedati dalla polizia segreta fascista, furono i comunisti e i socialisti a rimettere in piedi a Marciana Marina una politica che era finita sotto gli stivali nazifascisti, ad insegnare l’ABC della democrazia, parole nuove, a un Paese che - nonostante la sua storia mazziniana e garibaldina che ancora si legge nei nomi di strade e piazze e nel mosaico massonico di sassi davanti alla chiesa di Santa Chiara – si era consegnato docilmente al Duce e ai sabati fascisti, vestendo i propri figli da Balilla e da piccole italiane.
Io i comunisti li ho conosciuti quando il mi’ Babbo Veleno mi portò a una riunione nella sezione del PCI, che era in Piazza di Sopra, dove c’è il finestrone ad arco, salita la prima rampa di scale tra la Secca e quello che era il negozio di Anna Laura. Da lì, a volte, con un giradischi scalcinato, i comunisti suonavano Bandiera Rossa e l’Internazionale quando Don Zeni suonava le campane per l’uscita della messa. Quella volta il giradischi non suonava: la riunione si tenne al lume di candela perché i comunisti si erano scordati di pagare la bolletta e l’Enel aveva tagliato la luce al PCI.
Non mi ricordo naturalmente di cosa si parlasse – e non potevo capirlo – quel che mi ricordo è una stanza piena di fumo, con soli uomini, pescatori, contadini, manovali, falegnami, qualche commerciante, disoccupati che facevano lavoretti… molti li conoscevo perché erano amici, anche di bevute e padrone e sotto, del mi’ babbo, altri li vedevo per la prima volta, con indosso ancora i loro vestiti da lavoro. Quel che mi ricordo era l’attenzione con la quale ascoltavano il compagno venuto dal continente che gli spiegava cosa stava succedendo in qualche parte del mondo a loro sconosciuta. Quel che mi ricordo sono le loro poche, timide domande. Quel che mi ricordo è come un buio quadro del Caravaggio (che allora non sapevo chi fosse, come probabilmente chiunque fosse in quella stanza), volti scolpiti dal chiarore rosso delle sigarette e da quello pallido delle candele, attenti, concentrati a capire parole difficili, soprattutto per chi di loro – come il mi’ babbo – era analfabeta o sapeva a malapena leggere e scrivere. Una cosa era certa: nessuno di loro aveva letto e avrebbe mai letto i testi sacri del marxismo-leninismo e la Russia era un mito lontano, buono per discussioni da bar, quello che interessava loro era come cambiare il destino immutabile al quale sembravano assegnati. Erano gente semplice che aveva rialzato la testa, una cosa imperdonabile ancora oggi.
Anche quando poi i comunisti ho cominciato a frequentarli davvero, a diventare uno di loro, abbeverandomi a libri che Veleno non sapeva nemmeno esistessero, quello che mi colpiva in quei nuovi compagni era che erano comunisti perché volevano un avvenire migliore per i loro figlioli, volevano che non patissimo l’ingiustizia che avevano patito loro, volevano, confusamente, un mondo migliore dove la felicità (ma forse uso un termine sbagliato che loro non avrebbero usato) non si conquista opprimendo gli altri.
E’ vero, tra loro c’erano anche stalinisti che mi mettevano spavento, ma dietro quei miti, quella facciata feroce, quella specie di religione pochissimo praticata dei fondatori del comunismo e dell’Unione Sovietica – che sparì con Berlinguer e l’avvento di una nuova generazione – c’era un popolo, c’era un Partito di popolo prudente perché consapevole della sua forza e del suo ruolo, criticato per questo da chi era più a sinistra del PCI. I comunisti, quel popolo che prendeva la tessera con la falce e martello e che votava il primo simbolo in alto a sinistra sulla scheda elettorale, sapeva poco di dogmi di partito, dei sacri testi che io avevo letto e che invece di darmi certezze mi avevano caricato di dubbi, ma riteneva il voto un sacro dovere e si atteneva alle indicazioni di un Partito del quale si fidava e che aveva scelto candidati che spesso loro non conoscevano, ma che sapevano che avevano fatto la gavetta, il loro nome stampato sulle liste elettorali era il frutto di anni di apprendimento democratico, civile e amministrativo nelle mille sezioni fumose come quella marinese. Scuole di democrazia, come le sezioni democristiane e socialiste.
I Comunisti si fidavano così tanto della forza collettiva del loro Partito che solitamente votavano solo in testa e le preferenze per i candidati comunisti erano tanto rare quanto erano abbondanti quelle date dagli elettori democristiani.
Ho cercato inutilmente foto di iniziative comuniste a Marciana Marina – che sono state tante perché il PCI era la forza politica più attiva – ma non ne ho trovate, nemmeno delle Feste de l’Unità. C’è qualche foto di persone e gruppi, niente di più.
I Comunisti non si fotografavano perché la loro presenza era nell’agire, perché da soli, singolarmente, sapevano di essere poco e insieme erano una forza.
Il tanto criticato centralismo democratico del PCI, che aveva meccanismi democratici, è ora brutalmente usato da Partiti senz’anima e senza popolo per imporre agli elettori personaggi senza storia, e i Partiti sono scatole vuote sulle quali si sale e si scende come fossero autobus gratuiti, all’ideologia si è sostituito il vuoto del pensiero unico, al ragionamento il ringhio, agli ideali gli egoismi diventati diritti che si sono mangiati il futuro. E se i comunisti sono alla fine riusciti a dare una vita migliore ai loro figli, i nostri figli e nipoti ci gridano dalle piazze che gli abbiamo rubato il futuro, che glielo abbiamo avvelenato, che li abbiamo trasformati in merce a basso costo.
Lo so, stiamo parlando di un altro mondo, di una storia che poi è cambiata, schiacciata sotto l’insostenibile peso di errori e orrori, ma i comunisti italiani, quegli uomini e quelle donne, quel popolo, avevano qualcosa in comune che ci manca: erano diversi ma stavano insieme perché, consapevoli senza saperlo, che, come diceva qualcuno, “L’unica forza del proletariato è l’organizzazione”. Oggi, in questa politica prêt-à-porter, si cerca il cavillo, il pelo nell’uovo, il rancore personale, l’antipatia per decidere qual è il Partito che rappresenta di più il nostro stato d’animo del momento. E’ sparito il futuro, è sparito un orizzonte comune. Votiamo pentendoci, come fosse un’operazione quaresimale, non una festa della democrazia.
Quel figlio sprezzante che non conosce la storia del babbo è la nostra dannazione, la dannazione di un paese senza memoria di una cattiva politica che sputa su quella che fu una storia di alfabetizzazione democratica, di Partiti popolari, radicati nel popolo che vivevano nel popolo. Quello che è successo dopo, quello che sta succedendo oggi, questa minestra inacidita fatta di slogan che cambiano ad ogni stagione, è stato un tradimento di quei proletari caravaggeschi che mi hanno insegnato a guardare il mondo attraverso il fumo e le luci spente.
Umberto Mazzantini
Nella foto (1979) un comizio marinese del Senatore Umberto Terracini - Padre Costituente e firmatario della Costituzione