Col mio caro acquisito nipote Pietro, anni fa, seguivo la cronaca di una partita di Rugby trasmessa dalla Rai e commentata da due soggetti le cui venature dialettali tradivano una chiara origine veneto-nordestina.
I due, le cui voci un po' impastate avevano cominciato a farci sospettare di trovarci davanti ad un caso di avvinazzamento (o forse, visto la location, aggrappizzamento) continuavano a "chiosare" l'evento sportivo in corso con metafore e similitudini sempre più oscure, ma sempre più punteggiate dall'ilarità del co-commentatore, finché uno dei due non se ne uscì con uno sbalorditivo: "... è come andare al cinema, la domenica, da solo, e lasciare a casa il tuo cane! Ahahah!". A quel punto la spiritosaggine (nel senso etilico del termine) coinvolse pure me e mio nipote.
Quanto sopra per riflettere sulle diverse strade che si possono battere per arrivare all'effetto comico, giungendo a desumere che quella della involontarietà (talvolta sconfinante nel surreale come nel caso quella del tizio citato) è senza dubbio la più affollata.
Altra faccenda - lo sa bene chi ha calcato almeno un po' un palcoscenico - è riuscire ad ottenere il sorriso o la risata del pubblico "costruendo" una battuta con l'intelligenza, la padronanza del linguaggio.
Per fare un esempio ci torna "a pippa di cocco" (opportunamente, per i foresti) un fulminante commento della vicenda delle tamerici tagliate a Magazzini, un "capolavorino" del Signor Rosario che ha prodotto una lirica parafrasi dannunziana:
"Ascolta.
Piove dalle nuvole sparse.
Piove sui pini scagliosi ed irti.
Sulle tamerici pioviscola
che una f@v@ taglia
per giocare a briscola..."