Ogni giorno, da settimane e per settimane ancora, volontarie e volontari di Legambiente, si alzano presto per cercare le tracce delle tartarughe marine sulla sabbia delle spiagge dell’Isola d’Elba. Io lo faccio ogni sabato – se posso – a Marina di Campo, ma se si vuole arrivare anche a Galenzana prima degli asciugamani e degli ombrelloni bisogna partire dalla Foce, dai suoi campeggi addormentati, un bel po’ prima dell’alba, quando la spiaggia e il mare sono ancora bui e l’isola riposa tra l’acqua e le stelle, come uno scuro branco di capodogli.
La luce dello smartphone illumina la sabbia e i passi sulla battigia, a volte dura, fine e compatta come cemento a volte morbida e cedevole. Illumina file di sdraio e di ombrelloni chiusi che a volte toccano quasi il mare e da dove si sentono sussurri, risate, canti stonati e baci ben dati. Ragazzi e ragazze dormienti o che aspettano l’alba assonnati, che a volte si tuffano in mare, come fanno da sempre i ragazzi credendo di fare qualcosa di nuovo e che per loro è davvero nuovo come il mondo.
Lungo la spiaggia i rimasugli alcoolici di quelle notti su una spiaggia che ormai è una grande piazza dove il giorno si confonde con la notte. Come mi ha detto un gestore di un punto blu: “Le tartarughe se ne vanno a Pianosa perché qui c’è troppo casino. So’ tartarughe, un so’ mica sceme”.
E nella notte e nell’alba, se ci si incrocia, ci si saluta tutti, tartawatcher, guardiani dei bagni e ragazzi, come se essere lì su quella sabbia ci rendesse tutti complici di qualcosa.
Poi, attraversato il porto e risalita la scalinata che porta alla Torre, tutto ritorna silenzio interrotto dal canto roco e ripetuto di un gallo che già annusa l’alba. E la strada per Galenzana porta all’alba, a una spiaggia silenziosa e deserta, di fronte alla quale galleggiano barche di turisti, su un mare chiuso come un lago sul quale si rispecchia un’alba di porpora scura che diventa ciclamino.
La grossa tartaruga marina che qualcuno ha visto vicino alla spiaggia un paio di giorni fa non ha nidificato, forse anche lei se ne andrà a Pianosa.
Il ritorno, arrivati in cima alla salita della chiesina, è una camminata nell’alba che scompare, nel cielo che si rischiara e quando ricompare Marina di Campo, il paese si già si sveglia e sbadiglia. Rumori attutiti e liti chiassose di passeri tra i pini.
I ragazzi e le ragazze abbandonano la spiaggia, avvolti in asciugamani e nel sonno, migrano verso qualche bar e qualche letto, lasciandosi dietro i resti della notte che gabbiani e piccioni ispezionano impettiti alla ricerca di tutto quel che è mangiabile.
E appena l’alba finisce spuntano gli uomini e le donne che raccolgono i rifiuti, che preparano bar e ristoranti, che riallineano sdraio e ombrelloni. Perché dobbiamo credere che nulla sia successo, come se la notte non ci sia stata, come se l’alba non sia mai passata a colorare il cielo e a riportare il sole.
Sono l’avanguardia ignota dei lavoratori dell’estate, dello sciame di camioncini coi lampeggianti gialli che corrono mentre fa giorno per riorganizzare le vacanze. Sono gli uomini e le donne che ripuliscono la notte e risistemano il giorno, che apparecchiano le spiagge e il mondo.
Fra poco la spiaggia sarà di altri, ma questa è l’ora del passaggio, l’ora che finisce quando la ruspa arriva sulla sabbia e la livella. E’ il tempo sospeso delle tartarughe che in qualche spiaggia tornano in mare dopo aver faticosamente fatto il nido, è l’ora ancora fresca e sana, di chi ogni giorno si sveglia per cercare le tartarughe, delle signore in bici, dei pescatori e delle loro lunghe canne piantate nella sabbia. E’ l’ora di chi lavora per tenere pulito e rassettare il mondo. E’ l’ora di chi va a letto tardi e di chi si sveglia presto.
Un incrocio del tempo e di vite che vale la pena vivere.
Umberto Mazzantini