Mia mamma nel 1944 aveva 20 anni ed insieme a sua madre, mia nonna, nel giugno di quell’anno si trovavano ospitate da parenti ed amici di famiglia a Monserrato; erano “sfollate”, avevano cioè dovuto abbandonare la casa in paese, a Porto Azzurro, e si erano dovute rifugiare in un luogo ritenuto più sicuro e meno sottoposto a possibili bombardamenti o ad altre azioni di guerra.
In casa comunque non avrebbero potuto continuare a starci, perché, nel frattempo, questa era stata requisita dai tedeschi per i propri usi.
Mio nonno era stato affondato con il rimorchiatore dove era imbarcato in Sicilia e di lui non si avevano notizie (tornerà poco dopo all’Elba dopo un difficile viaggio attraverso un Paese fatto di macerie e poco altro); di mio zio, giovane Tenente d’artiglieria, fatto prigioniero dopo l’8 settembre dai Tedeschi ad Atene, mia mamma e mia nonna, in quel lontano giugno del 1944, non sapevano più nulla oramai da diversi mesi. (anche lui tornerà in Italia a guerra abbondantemente finita dopo 2 anni di prigionia in vari Lager tedeschi destinati ai soldati italiani, circa 600.000 uomini, che non vollero mai riconoscere, in cambio della libertà, la Repubblica Sociale Italiana; quando arrivò a Portoferraio, nell’estate del 1945, mio zio Carlo era una larva umana di 45 chili).
Monserrato era divenuto una sorta di popolata frazione di Porto Longone (Porto Azzurro verrà dopo solo dopo qualche anno) dove convivevano, con poche risorse ed in poco posto, specialmente donne, bambini ed uomini anziani; trovavano lì rifugio, imboscati, anche diversi giovani che, dopo l’8 settembre del 1943, avevano disertato ed erano ritornati all’Elba.
Al momento dello sbarco alleato le truppe tedesche abbandonarono il paese e le truppe di liberazione presero possesso del territorio; vi furono violenze, malversazioni, vandalismi e tutto il campionario di brutalità di cui l’Uomo è capace quando si trova in guerra.
Mia mamma si ricordava di gesti coraggiosi di padri e più in generale di uomini, a volte non più giovani che, con fare deciso e risoluto, avevano molte volte impedito che si desse corso a stupri verso giovani donne; altre volte il tentativo di difesa non era riuscito ed allora atrocità e violenza avevano avuto, purtroppo, il sopravvento.
A dire di mia madre, i giovani africani (senegalesi e marocchini) erano completamente fuori di testa; si diceva che fossero stati debitamente ingozzati di sostanze che facessero loro dimenticare l’imminenza dello sbarco, dove, è risaputo, morire è più facile di sopravvivere; era diffusa fra la popolazione la certezza che il Comando, francese, dello sbarco, in una sorta di vendetta da tempo preparata e originata da quanto vissuto dal popolo francese durante l’occupazione tedesca, avessero concesso alle loro truppe la possibilità di compiere, per un certo numero di ore, azioni cruente a loro piacimento e discrezione, con la certezza di non doverne, in futuro, rispondere davanti alle competenti autorità.
Ho voluto ricordare questi episodi perché mi sembra abbastanza incomprensibile quanto accaduto in questi giorni a proposito dell’annunciata e poi annullata giornata di commemorazione dello sbarco alleato all’Elba risalente al quel giugno di tanti anni fa.
Se si dovesse ragionare come tanti hanno fatto in questi giorni, noi italiani, a quasi settanta anni dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, in quanti paesi potremmo commemorare i nostri soldati morti in quella guerra?
Forse in Grecia od in Albania, dove, DA OCCUPANTI, siamo stati non da meno, per atrocità commesse verso la popolazione, dei nostri alleati tedeschi?
Vogliamo parlare della Ex-Jugoslavia e specialmente dei territori attualmente croati, dei tanti campi di concentramento di nostra esclusiva gestione, dove facemmo morire, DA OCCUPANTI, migliaia di persone?
Si potrebbe toccare anche il continente africano e ricordare a noi tutti le condizioni in cui abbiamo tenuto le Nazioni facenti parte dell’Impero, da noi OCCUPATE negli anni precedenti e dove reclutavamo, con la costrizione, le nostre truppe coloniali, buone per gli attacchi alla baionetta contro i carri inglesi o per sminare e bonificare i terreni per i nostri fanti.
Italiani brava gente si è dimostrato, alla prova di quanto realmente accaduto, niente di più che un luogo comune.
Siamo stati OCCUPANTI anche in Russia e abbiamo causato inutilmente la morte di migliaia di persone di quelle popolazioni prima di dover contare poi i nostri morti, in numero superiore a 100.000; giovani mandati a morire senza armamento ed abbigliamento idoneo, senza rifornimenti di alcun genere, senza un motivo.
Quale dovrebbe essere il sentimento nei nostri confronti, popolo italiano, da parte di tante persone, in tanti Paesi non solo europei, che ancora oggi ricordano avvenimenti sanguinosi, avvenuti a causa delle guerra, voluta da un dittatore che però aveva l’appoggio incondizionato della stragrande maggioranza del popolo italiano?
Poco tempo fa, con tutti gli onori del caso, con un’apposita cerimonia, alla presenza di autorità militari e civili ed in forma ufficiale dell’Ambasciata di Francia, furono restituiti al Paese d’origine, i poveri resti, ritrovati per caso in un bosco in loc. San Martino/Colle Reciso, di un sottufficiale dell’Esercito francese perito nelle ore susseguenti allo sbarco.
Il Sergente apparteneva ad un reggimento di tiratori senegalesi e probabilmente faceva parte della catena di comando del proprio reparto; come mai nessuno si pose il problema, prima di dare il via al cerimoniale, di indagare se, qualcuno dei sottoposti dello sfortunato Sergente, si fosse macchiato di reati nei confronti delle popolazioni elbane?
Guido Provenzali