Stanotte è morta una mia cara amica, una bella signora con profondi occhi tristi, riservata e silenziosa dispensatrice di amore senza contropartite. Aveva quattro zampe, un naso umido e fresco, orecchi dritti, pelo splendente e si chiamava Meda. Era una Border Collie con un aristocratico pedigree transalpino, finita in una famiglia proletaria elbana, una fattrice in pensione che ha disceso e risalito l’Italia insieme al suo più grande amore: mio fratello Mario, che ha seguito fino alla morte e che andava a trovare al cimitero, esattamente dove è tumulata l’urna con le sue ceneri.
Dopo quel funerale che ci ha straziati Meda ci ha adottati, concedendoci la sua preziosa fiducia, accompagnando e sorvegliando nonna Jole come fanno i cani pastore, innamorandosi perdutamente di Thomas e di Marianne.
Come ha detto Marianne, riusciva a riempire i vuoti del nostro vivere quotidiano, si infilava nelle nostre vite in punta di piedi, con il ticchettio sincopato del suo passo sbilenco e trotterellante, con un uggiolio riconoscente, un bacio umidissimo, uno sguardo parlante, con quella gratitudine con la quale ci ha salutato ieri scodinzolando per l’ultima volta, consapevole della fine di un cuore che molto aveva vissuto e corso e che le gambe e i polmoni non potevano più reggere.
Meda è morta stanotte, senza disturbare, come fanno le vecchie signore perbene, è morta da cane senza paura, in piedi, orecchi dritti e pelo scintillante, la abbiamo trovata come se corresse dietro al quel gregge che non ha mai avuto ma che governava quando galoppava nei suoi sogni, nei quali a volte abbaiava come non ha mai fatto da sveglia.
Con la mia amica abbiamo attraversato le nostre vallate e colline in giorni di sole e di vento, di nuvole e neve, lei persa dietro la sua insondabile trama di odori con i quali i cani conoscono i mondo, io dietro i miei pensieri. Mi ha portato a scoprire primavere ed inverni, lucciole e cinghiali, mi ha guidato nei boschi ombrosi della mia infanzia, ai magazzini abbandonati che avevo scordato, e quando credevo di averla persa era lei che mi ritrovava, perché ero io perso dietro fantasie e preoccupazioni che i cani non hanno, perché annusano e leggono il libro non scritto di terra ed acqua della vita che noi non conosciamo più.
Ora Meda riposa all’ombra di tre lecci, illuminata da un raggio del tiepido sole autunnale del giorno in cui ha scelto di lasciarci.
Non credo al Paradiso, ma forse la Dea Madre Lupa primigenia ha piantato in qualche posto dell’universo una foresta che dispensa le pigne fragranti che Meda ci portava per concederci l’onore di giocare con lei, tornando lupa per ore di ansare felice di rincorse e ritorni. Se esiste quel bosco, Meda ha sicuramente trovato Mario ad aspettarla ed insieme ogni giorno risaliranno la strada magica di ragni e martore che porta a Val di Cappone ed alle vigne dello Zega, dove passarono insieme le loro giornate solitarie e le loro notti odorose di lavanda selvatica, tra grilli e stelle, tra serpenti e mufloni.
Un giorno, quando la donna che amo mi darà l’ultima carezza, spero che la Dea Madre dei Lupi, che non ha sicuramente i pregiudizi degli Dei umani per i miscredenti come me, mi dia il permesso di andare a cogliere la più grossa pigna fragrante nel bosco di Meda, la porterò, insieme ad un pezzo di parmigiano che la mandava in estasi, a quella bella signora a Val di Cappone, nell’altra mano avrò il grosso libro con la copertina rossa che Mario ha lasciato letto a metà sul suo letto di ospedale. Lo finiremo insieme, leggendo di popoli e Dei scomparsi mentre Meda rincorre e riporta felice la pigna più grossa dell’universo.
Se fra cento anni qualcuno di voi vorrà venirci a trovare, ci troverete lì, seduti davanti al tramonto che incendia e poi scolora il mare tra La Marina e l’Enfola. Poi le stelle trafiggeranno la notte, Meda sognerà le sue pecore e ascolteremo l’assiolo e l’usignolo cantare.
Umberto