Navigando "a tutto vapore" nella terza età (e sperando di raggiungere la quarta) capita di perdere la memoria di gran parte dei primi anni che si sono vissuti. Capita anche però che restino impressi, come azzeccati incipit di un romanzo, dei singoli episodi, dei fatti che ci avevano sorpresi, colpiti, emozionati.
Il 1956 si era aperto con il grande freddo di gennaio/febbraio, un gelo inusitato per i ferajesi "viziati" da inverni clementi, con tanta neve che aveva "cagliato" a terra e si era trasformata in lastre di ghiaccio destinate a resistere giorni e giorni. Ma un altro "fatto" di quell'anno, nei mesi in cui le giornate erano più lunghe e i pantaloni più corti, doveva restarmi come indelebile ricordo.
Ve lo racconto così come è rimasto custodito per circa 70 anni.
La "location", si direbbe oggi, era la parte alta di Via Guerrazzi (o via di Porta a Tera come più spesso la si chiamava), laddove oggi c'è la rampa che conduce alle fortezze e l'ingresso del tunnel dell'uscita veicolare dal centro storico, c'era uno slargo, una piazzetta, che tornava utile sia per farci "il fuoco di Santa Lucia" per l'Ascensione, e che ogni giorno diventava punto di raduno e gioco per la "bastardaia" di Via Guerrazzi (ma i foresti non potranno mai capire con quanto affetto e tolleranza si usava il termine "bastardi", per definire noi vivaci frugoli, figli del primo dopoguerra).
Mi par di ricordare che in quel momento sulla piazzetta dalla quale si dominava parte della Darsena, fossimo in quattro, tutti tra i sette e gli otto anni: con me (posso sbagliarmi eh), c'erano Piero Caprai, Patrizia Cherici e Marcello Giardini.
Di punto in bianco vedemmo materializzarsi in mare, oltre la Tore di Passannante, una nave che mi parve enorme, confrontata con la "corvetta", il "Portoferraio" che attraccava davanti alla Porta a Mare.
E la nave, che compiva la sua traversata inaugurale, era completamente "pavesata a festa" (ad usum padani: ornata di una fila ininterrotta di bandiere multicolori da prua a poppa).
Avevamo un primo vero modernissimo traghetto, che ingoiava e sputava auto, che partiva ed arrivava con qualsiasi mare, una certezza fatta nave.
Negli anni successivi avrei aspettato a banchina che dal portellone di prua uscisse la Lancia Aurelia del padre della mia prima "fidanzatina", che veniva all'Elba per la villeggiatura "long during" come si usava all'epoca, ci sarei salito una infinità di volte, ero a bordo il 3 Novembre del '66, con un mare che già "mordeva" parecchio, e che il giorno dopo avrebbe spezzato e spostato di 14 metri la diga foranea del porto di Piombino. L'Aethalia mi avrebbe portato a fare il militare e 15 mesi dopo mi avrebbe riportato in "borghese" alla mia isola, alla sua aria, via dal Continente, con solo lo "spolverino" delle acciaierie di Piombino a ricordarlo.
Quando la pensionarono me ne feci una ragione: era invecchiata prima di me, e anni dopo salutai con soddisfazione l'ingresso in linea di una nuova Aethalia, mi pareva un giusto celebrare una buona memoria.
Mi incazzai invece quando fu "detitolata" - nonostante l'amicizia che mi aveva legato a chi era stato omaggiato del nuovo nome - mi parve uno sgarbo all'isola ed alla sua gente, anche se balenottere e new toremar ce ne avrebbero fatti (e fanno) di peggiori.
L'altro ieri abbiamo pubblicato la notizia della terza "Aethalia" che navigherà sulla rotta del canale, ed un mare di gente ha letto quell'articolo, qualcuno ha commentato favorevolmente, qualcuno meno, certo comunque che c'è un vasto interesse sul vettore che vestirà la divisa di Blu Navy.
Teniamoci dalla parte della ragione: l'ultima Aethalia, è vero, più che nuova, come d'uso, sembra "lavata con Perlana", ma le caratteristiche tecniche annunciate parrebbero interessanti. Facciamole intanto un'apertura di credito.
Vedremo se si meriterà di chiamarsi Aethalia.