Lorenza me la ricordo una delle ultime volte che l’ho vista: sotto un timido sole invernale, seduta insieme alla mi’ mamma su una panchina sghimbescia appoggiata sulla copertura di cemento del fosso della Soda. Era li che si davano appuntamento insieme ad altre donne che non ci sono più, l’estate all’ombra degli eucalipti e col freddo sotto un raggio di sole, cercandolo come fanno le vecchie gatte, e passavi e le vedevi lì, quasi sempre in silenzio, ad ascoltare il rumore della vita che passa.
Era come vedere vecchi libri sgualciti di una biblioteca familiare, libri piene di storie, cominciati a scrivere quando ancora c’erano i pagliai e gli asini che mangiavano carrube dolci e fave granite dure come il legno.
Bimbe di un’isola contadina e di pescatori, ancora ottocentesca, al lume di candela, a remi. Ragazzine che più che del primo amore e del primo bacio si ricordavano, come un’epifania, la fine della guerra, che videro con i loro occhi impauriti prima i tedeschi biondi e poi gli uomini neri che li sostituirono, che ascoltarono da una radio gracidante che era finalmente arrivata la pace, che assaggiarono, quasi fossero cibo proibito degli dei, le prime banane e il primo cioccolato, le scatolette, il latte in polvere e condensato.
Donne che seppero della bomba atomica, che videro arrivare la plastica, le lavatrici e i frigoriferi, la cagnetta Laika, Yuri Gagarin e Valentina Tereškova nello spazio e Neil Amstrong sulla luna. Donne che videro passare il tempo del mondo e il mondo mutare così velocemente come nessun’altra aveva visto cambiare prima. Che videro le donne, le donne mute, prendere voce, colorare i vestiti, studiare, diventare qualcuno, non solo la moglie di, come era ancora toccato a loro.
Eppure, se chiedevate a Lorenza e a Jole e alle vecchie che prendevano il sole alla Soda di cosa avessero parlato nelle ore interminabili, scaldandosi al sole come lucertole, vi rispondevano di nulla, o vi raccontavano un pettegolezzo, una piccola sventura familiare, la vita minuta che passa, come sempre è passata nel vortice della storia che le ha travolte e salvate, portandole fino alla vecchiaia, ad anni che non pensavano di poter raggiungere.
E forse quelle donne antiche sotto il sole e gli alberi che sognavano le ragazze che furono, non erano solo libri non letti e che non leggeremo mai, erano gli alberi di una foresta che, senza bisogno di parlare, si tenevano insieme con le loro radici, si raccontavano mute di una vita tribolata e comune, una pace finalmente, contente per il semplice fatto di essere lì.
E ad ogni Lorenza che se ne va, ad ogni donna che dimenticheremo, ad ogni vecchia che guardavamo al sole su un panchino, perdiamo un albero di quella foresta di vita, ricordi, paura e meraviglia, che ha retto, generato e curato il mondo, mentre gli uomini facevano la guerra e la pace.
Umberto Mazzantini