Tra i ricordi più belli che conservo c’è quello di un concerto degli Inti Illimani tenutosi in una serata estiva degli anni ’70, su un Piazzale della Linguella non ancora spaccato in due dal muro della Capitaneria e gremito da migliaia di persone.
La suggestione della musica andina, del sentire una volta tanto in diretta quelle sonorità che diffuse dalle radio e da altoparlanti metallici, avevano fatto da colonna sonora del film della nostra vita, era accresciuta da una fortuita circostanza: dietro le figure dei musicisti che si stagliavano vestiti nei loro lunghi mantelli nero sul palco le linee della fortezza sormontate da un cielo buio continuamente squarciato dalle saette di un temporale in avvicinamento, ma che avrebbe atteso giusto la fine di quell’indimenticabile concerto per rovesciarsi sulla piazza.
Ho ancora stampate nella memoria due cose che Jorge, tra una canzone e l’altra, disse dal palco: una battuta feroce ed una perla di democrazia.
Quasi all’inizio del concerto il musicista in buon italiano esclamò: “Quanta gente! - e indicando con la mano sinistra delle lussuose barche ormeggiate a banchina, a poppa delle quali si stavano comodamente assisi “yachtman & yachtlady” - Ci sono anche loro che non hanno pagato il biglietto… Già, loro sono abituati a non pagare …” provocando diffuse risate tra il pubblico, fischi e l’immediata ritirata dalla vista degli “spettatori abusivi” che avevano ricevuto la stilettata.
Successivamente quando il gruppo aveva appena finito di suonare “El pueblo unido jamas serà vencido”, insieme un grido di dolore del popolo sudamericano massacrato dai dittatori, ed inno dell’antifascismo di tutto il mondo, con il refrain ripreso da migliaia di voci, un gruppo di ragazzi inizio a scandire “CILE-ROSSO – CILE-ROSSO”
Con la stessa mano che aveva indicato gli evasori del biglietto (e sicuramente di ben altro) ma aperta davanti al pubblico Jorgher disse: “NO compagni, CILE LIBERO! a farlo diventare rosso caso mai ci penseremo dopo”
Perché cari lettori vi ho sottoposto alla lettura di questo pippettonesco “amarcord ferajese”? Perché trovo delle similitudini situazionali tra quegli anni e i nostri giorni. Intendiamoci quello dei cileni era un dramma sterminatamente più grande (là ad esempio i giornalisti che non si adeguavano al verbo del capo, non ci si limitava a metterli nelle liste di proscrizione ed a coprirli di insulti, ma più efficientemente si torturavano e gli si sparava) ma stessa può essere la medicina, per guarire dal malessere sociale la nostra nazione: è necessario unire e non dividere la gente perbene
Di fronte alla caduta della credibilità degli interpreti (vecchi, nuovi e nuovissimi) della politica ed ai pericoli degli avventurismi populisti (equamente distribuiti tra destra, centrosinistra e lo pseudo “oltre”), la risposta non può che essere che quella della “grande intesa”, e non sobbalzate perché quella di cui parlo non è il patto tra segreterie che ci governicchia, ma un’intesa tra la gente normale e comune, onesta, che paga le tasse, che pratica la tolleranza, che crede nel confronto, che rispetta l'ambiente, che dispone di spirito di servizio e che si informa. Gente quindi che non porta il cervello all’ammasso come chiedono i capataz nazionali e locali.
Un processo necessariamente lungo, perche ci sarà da ricostruire quegli strumenti della democrazia che la Costituzione definisce “partiti” e magari anche nuovi ed efficienti soggetti della partecipazione democratica.
Contro lo sfascio culturale ed etico imperante deve scendere in campo la cultura, la coerenza dei comportamenti personali, l’onestà, ed occorre iniziare dal futuro, dalle nuove generazioni, dalla scuola e dalla formazione. Non ci serve solo una Chiesa ma anche uno stato a misura di Papa Francesco, uno stato mite caritatevole e solidale, ma pure capace di incazzarsi per le ingiustizie del mondo.
Più nella contingenza, e passando dalle stelle alle stalle, dobbiamo affrontare le prossime elezioni locali che sono alle porte.
Anche qui c’è bisogno di contrastare l’ascesa dei “furbi interessati” e degli “ambiziosi sciocchi” che già si propongono come salvifici interpreti del nuovo (mentre sono mossi dagli stessi interessi, finanziati dagli stessi soggetti che inquinarono la politica locale degli ultimi decenni).
Occorre avere il coraggio l'originalità e la spregiudicatezza di mettere insieme le migliori idee di governo, i nostri migliori cervelli senza andare troppo per il sottile sulla collocazione politica o sulla non collocazione, per un governo di salute culturale pubblica senza padrini e senza padroni, indipendente dai voleri dicomitati d'affari, segreterie e logge, per un governo della cosa pubblica che ci tolga da questo incontestabile pantano.
Poi, parafrasando Jorge degli Inti Illimani, se Portoferraio e L’Elba dovranno essere bianche, azzurre, verdi, rosse o a pois, sarà affare da chiarire in tempi diversi.