La settimana di Ferragosto, il caldo torrido e la siccità di potenza africana hanno messo a nudo la piaga più bruciante dell’Elba: la crisi idrica. Nonostante l’ASA, la società erogatrice, faccia i salti mortali nel cercare di alleggerire i disagi, nel raschiare il fondo del barile delle esauste riserve dei pozzi d’oltremare della Val di Cornia, nell’organizzare con il meglio delle tecnologie elettroniche il possibile e l’impossibile della distribuzione in un territorio ad altimetria irregolare, la Grande Sete sta mettendo alle corde i 30mila residenti e almeno 200mila vacanzieri, fiaccandone la resistenza e provocando inevitabili fuggi fuggi. Per quanto vuoi ridurre al minimo vitale l’uso dell’acqua, quando i rubinetti diventano asciutti per lungo tempo non ci sono appelli al risparmio che aiutino.
Peraltro, se erano scontati i turni di erogazione a macchia di leopardo, è inspiegabile il perdurare dei silenzi dei responsabili dell’ASA e persino dei mass-media sulla gravità della situazione. La gente la scopre soffrendola sulla propria pelle, senza che nessuno l’abbia messa in guardia. Un conto sono gli appelli alla parsimonia, un altro l’avviso sulla portata della crisi. Anche se in molti sperano di salvarsi con i depositi in casa, gli utenti sono presi alla sprovvista dalla fornitura idrica a singhiozzo e apparentemente senza criteri. Nei paesi civili, quando si attraversa un crisi idrica di tale portata, si organizzano i turni con una capillare informazione (comunicazione su giornali e radio tv, manifesti murali ecc.) su tempi e modalità della distribuzione. Non è credibile che l’ASA, una società all’avanguardia nel campo e al servizio di mezza Toscana, non sia in grado di promuovere e programmare la comunicazione dell’emergenza.
Romano Bartoloni