Dal primo gennaio ad oggi sono stati 35 i nuovi casi di sieropositività scoperti nella provincia di Livorno. I dati sono stati presentati in vista della giornata mondiale di sensibilizzazione contro l’Aids del 1° dicembre da Spartaco Sani, direttore delle Malattie Infettive dell’Azienda USL Toscana nord ovest e da Riccardo Pardelli, responsabile della sezione Aids del reparto.
“L’Hiv nonostante se ne parli poco – dice Sani – è un infezione sempre presente e continua ad essere un problema sanitario di grande rilevanza. Dopo il triste e allarmante primato del 2010, quando furono registrati 43 nuovi casi, a Livorno e provincia ogni anno si registra un numero stabile di nuove infezioni: e dopo i 31 casi del 2016 e i 36 casi del 2017 anche nel 2018, con 35 casi, è stata fatta una nuova diagnosi ogni 10 giorni. I sieropositivi residenti nella provincia livornese arrivano così a quota 576 di quali 430 maschi (75%) e 146 femmine (25%). I pazienti seguiti ad oggi nel reparto di Malattie Infettive sono circa 700 e l’90 per cento di loro sono in terapia”.
Le terapie negli anni sono cambiate parecchio e oggi i pazienti con Hiv conducono una vita quasi normale e le stesse donne sieropositive, se adeguatamente seguite, partoriscono bambini perfettamente sani: risultati fino a pochi anni fa impensabili. “Ma ad essere cambiata nell’ultimo decennio è soprattutto la modalità di trasmissione – continua Sani – oggi è una malattia a quasi esclusivo contagio per via sessuale, con la modalità eterosessuale la più frequente: ciò significa che l’HIV può di fatto interessare chiunque. Ancora oggi una buona parte dei pazienti giungono tardivamente alla diagnosi quando hanno la malattia conclamata e scoprono contemporaneamente di essere sieropositivi e di avere l’AIDS. Dei nuovi casi, un numero significato è costituito però anche da infezioni recenti: ciò significa che il virus circola attivamente, trasmesso attraverso rapporti sessuali con persone che non sono consapevoli, per molteplici motivi, di essere sieropositivi”.
Da qui l’importanza dell’esecuzione del test, soprattutto quando si pensi di aver avuto occasioni di incontro del virus come nel caso rapporti sessuali non protetti, promiscui, con persone che non si conoscono, storie passate di tossicodipendenza o di rapporti sessuali con persone che avevano avuto storie di dipendenza eccetera. “Non si deve avere paura di fare il test – afferma Riccardo Pardelli – e non solo perché viene garantito con sicurezza l’anonimato, ma perché è utile sia per il paziente, che se scopre di essere sieropositivo precocemente ha una aspettativa di vita simile alle persona non malate, e per la comunità, avendo la possibilità di non trasmettere la malattia agli altri".